Chicago mette le ali

kidman
 

25/02/2004

Los Angeles Rob Marshall, il brillante regista di Chicago, non è tipo da farsi montare la testa solo perché alle 13 nomination agli Oscar conquistate dal suo film si sono aggiunte negli ultimi giorni due prestigiosi riconoscimenti, quello per il miglior film dell’anno da parte del Producers Guild of America (associazione dei produttori cinematogrfici statunitensi) e quello come miglior regista dell’anno da parte del Directors Guild of America (associazione dei registi statunitensi). Eppure, grazie al fatto che gli elettori del DGA sono in gran parte gli stessi che due settimane dopo depositeranno il loro voto per nominare il vincitore dell’Oscar per il miglior regista, il premio del Directors Guild of America è la palla di cristallo che negli ultimi 53 anni ha preannunciato per ben 48 volte il futuro vincitore della statuetta d’oro. “Non posso negare di essere felice del successo ma la cosa straordinaria per me è stata di ritrovarmi accanto a personaggi come Scorsese, Polansky…” la voce tradisce il sincero stupore di un novellino che si ritrova all’improvviso nell’Olimpo dei grandi registi mondiali. Rob infatti fino a pochi mesi or sono era conosciuto soprattutto per aver diretto la versione televisiva di Annie, classico musical per famiglie prodotto dalla Disney. “Chicago però è sempre stato una mia passione, devo averlo visto almeno una quindicina di volte da ragazzo, mi attraeva quell’atmosfera ‘noir’ e il suo cinismo disincantato e leggero”. Quale la differenza tra regia teatrale e regia cinematografica? “Il cinema offre strumenti privilegiati per focalizzare, dirigere e tener desta l’attenzione dello spettatore: stacchi, primi piani, inquadrature particolari…. Il cinema dà al regista una maggiore libertà ma questo significa anche la responsabilità delle scelte” Si capisce che deve essersi confrontato direttamente con il dilemma, perché insiste, “l’estrema duttilità del cinema comporta anche il rischio di fare la mossa sbagliata”. Qualche critico ha sottolineato una certa prudenza nella regia di Chicago, rispetto all’innovativa e straordinaria eccentricità di Moulin Rouge, il musical che aveva suscitato tanti entusiasmi in parte disillusi dalle premiazioni Oscar del 2002. “Moulin Rouge è una fantastica e sorprendente opera pop, il mio lavoro invece si colloca all’interno del classico musical di Broadway. Ho proprio voluto fare un concentrato di Broadway, - insiste - togliendo e limando il superfluo, per estrarne tutto il succo”. Per quanto riguarda gli attori Rob Marshall loda l’impegno, il coraggio e l’allegria con cui hanno accettato di confrontarsi con le difficoltà della musica e del ballo: in effetti la Zeta-Jones è formidabile, canta e danza come se davvero tutta la sua vita dipendesse da questo. La meno prorompente Renée Zellweger è un’attrice deliziosa che ci immerge nelle contradditorie emozioni del suo personaggio. “Il suo ruolo non è certo quello di essere una grande ballerina né una brava cantante, lei è per l’appunto una casalinga che sogna di diventare una star: in parte la povera ragazza di provincia bisognosa di protezione sul modello di Marylin Monroe nel film Fermata d’autobus, in parte una furbetta con pochi scrupoli spinta solo da sete di fama e potere“. Tra i motivi di tanto successo forse il fatto che le motivazioni dei personaggi non paiono distanti dalla nostra realtà: comunque sia il genere musical che dopo anni di stentata sopravvivenza aveva dato nel 2002 un primo colpo d’ali sotto l’impulso del vivace Moulin Rouge, oggi pare aver ripreso a volare. All’improvviso le agenzie ricevono pressanti richieste da parte dei loro attori per ottenere qualche parte anche secondaria in un musical mentre l’accorto staff di Miramax, che in fatto di Oscar ha buon fiuto, sta progettando la versione 2003 di Bulli e Pupe.

 
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