Gli ultimi intrventi
Cappella degli Scrovegni
30/04/2002
Nel 1971, sette anni dopo l’ultimo intervento conservativo, l’inquinamento ha già causato nuovamente segni di degrado delle pareti dipinte da Giotto. A questo fenomeno si aggiunge anche il terremoto che nel 1976 colpisce il Friuli. Accelerati i tempi, quindi, all’Istituto Centrale per il Restauro, diretto da Giovanni Urbani, spetta il compito di rimettere mano agli affreschi, al fine di ottenere un risultato più duraturo.
Fra il 1977 ed il 1979 l’ICR effettua indagini che permettono di individuare cause e meccanismi dei processi di degrado. Inquinamento, polverosità e umidità vengono identificati come i principali rivali della Cappella padovana.
Tra il 1988 ed il 1992 si è iniziato il rilevamento sistematico dello stato conservativo della decorazione pittorica. Le indagini diagnostiche hanno segnalato la necessità di interventi urgenti sulle zone più a rischio, in specie nel Giudizio Universale, nell’Annunciazione, nella Disputa con i Dottori, l’Andata al Calvario, il Ritorno a casa di Maria.
Il restauro ha mirato a risanare l’edificio, ha posto controvetrate schermanti (per impedire al sole di influire sull’interno), sostituito lampade ad incandescenza con altre a luce fredda, chiuso la porta centrale, da cui entravano polveri in quantità eccessiva, per riaprire quella laterale sinistra, rese impermeabili le pareti. A qualche anno dopo (1995-96) risale un intervento basilare: l’allestimento di un Corpo Tecnologico Attrezzato (CTA) che possa fare da filtro tra ambiente interno della cappella e ambiente esterno, sorta di apparato multifunzionale che, sistemato in corrispondenza dell’entrata, permetta di tenere l’ambiente al riparo dalle impurità. Gli stessi visitatori (limitati a 25 per turni di un quarto d’ora) vengono “depurati” da questo apparato, entrato in funzione il 31 maggio del 2000.
Solo dopo questa data si è potuto iniziare a pensare agli affreschi. La prima analisi ha coinvolto lo stato di adesione della pellicola pittorica, in specie l’azzurrite, all’intonaco sottostante. Si è ricostituita, laddove era persa, l’adesione tra gli strati preparatori e il supporto murale; si è pulita la superficie pittorica da depositi atmosferici ma anche da collanti aggiunti da restauri precedenti; si sono rimosse le stuccature compiute negli interventi passati e che andavano ad integrare una lacuna o a nascondere la testa dei chiodi di consolidamento dell’intonaco.
Tutto il progetto, fatto di interventi indiretti (sull’edificio) e diretti (sulle pareti), ha adottato alte percentuali di sperimentalità, nonostante il quale è rimasto in piedi l’impegno formale e pubblico sottoscritto all’inizio dei lavori: restituire alla fruizione un monumento di rilevanza universale in un lasso di tempo il più ristretto possibile.
Direttore degli interventi da poco chiusi è stato Giusepe Basile, già a capo dei restauri di Assisi. Il gruppo di lavoro si è avvalso della collaborazione di grandi restauratori, ma anche di allievi della scuola di restauro dell’ICR. Un importante contributo scientifico è stato fornito da enti e istituzioni nazionali ed internazionali, nonché da un Comitato scientifico costituito, tra gli altri, da Angiola Maria Romanini, recentemente scomparsa.
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