Al cinema dal 3 novembre
L'Ombra di Caravaggio - La nostra recensione
Riccardo Scamarcio, L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Samantha De Martin
01/11/2022
Un uomo tormentato, sovversivo nell’aspetto, pronto a sfoderare la spada dal fianco per scatenare la rissa, la barba, i velluti un po’ consunti, i capelli scarmigliati dal taglio un po’ anarchico, cerca e ritrova nel proprio volto lo sguardo di Golia.
Di mestiere fa il pittore, i pantaloni aderenti come un paio di jeans, le scarpe sporche di fango, una camicia cosparsa di ogni vernice, spesso di sangue, colore incrostato sulle mani, sotto le unghie. E lui stesso, Caravaggio lo “scornacchiato”, assomiglia a una tela, come i personaggi che il suo sguardo rapisce dalla Suburra romana - e dalla Chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove Filippo Neri toglie la fame ai tanti derelitti - per trasferire nei quadri quella realtà putrida fatta di ladri e prostitute pronti a prestare i loro volti alle madonne e ai santi più celebri della storia dell’arte. Rissoso frequentatore di taverne e donne di strada, il Caravaggio di Michele Placido è l’espressione più autentica di quel “vero” che da sempre ossessiona l’artista che depone sulla tela i tanti cristi in croce trovando nella realtà quei Vangeli che conosce a memoria e alla cui lettura si commuove.
Dal 3 novembre L’Ombra di Caravaggio, una co-produzione italo-francese siglata da Goldenart Production con Rai Cinema e per la Francia Charlot, Le Pacte e Mact Production porta al cinema la complessa esistenza di Michelangelo Merisi (interpretato da Riccardo Scamarcio) con Michele Placido a firmare il suo quattordicesimo film da regista, Sandro Petraglia, Fidel Signorile e lo stesso Placido alla sceneggiatura, e un cast di grandi nomi. La colonna sonora del film è composta da ORAGRAVITY, il duo formato da Umberto Iervolino e Federica Luna Vincenti, ed edita da Edizioni Curci e Goldenart Production.
Riccardo Scamarcio (Caravaggio) e Isabelle Huppert (Costanza Colonna) nel film L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Ribelle e inquieto, devoto e scandaloso, indipendente e trasgressivo, il Caravaggio 2.0 che Placido (LEGGI: INTERVISTA A MICHELE PLACIDO) porta al cinema è un artista pop venuto a Roma, a quell’epoca centro del mondo, per attingere da quell’universo di immigrati, preti, prostitute, pellegrini, cardinali, principi e malviventi, e che oggi vivrebbe la sua vorticosa esistenza in uno studio qualunque di Londra o New York. A fronte di una chiesa controriformista che chiede statue, cupole e dipinti per celebrare la propria opulenza in un gigantesco cantiere delle meraviglie, Caravaggio, al pari di un regista neorealista ante litteram, vicino all’ala pauperista della chiesa, cerca invece un ritorno ai valori evangelici. Lo trova in Filippo Neri e nelle donne della sua vita, nella marchesa Costanza Colonna (Isabelle Huppert), molto più di un’amica, che lo protegge fin dall’infanzia, in Lena (Micaela Ramazzotti), una delle prostitute più famose di Roma, rappresentata spesso come Maria, la madre di Gesù, e poi in Annina, il volto di uno dei suoi più grandi capolavori, La morte della Vergine, oggi al Museo del Louvre di Parigi, “la morte più viva che sia mai stata dipinta”.
Micaela Ramazzotti (Lena), L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Colpisce l’intensità con la quale il regista allestisce la scena della Morte della Vergine, e non solo, con una teatralità che commuove. Una teatralità alla quale il Placido “parolaio” e uomo di teatro non poteva rinunciare. Piacciono questi echi di teatro che affiorano dall’allestimento della spettacolare festa del Cardinal Dal Monte allestita a Villa Aldobrandini, nell’apparecchiamento della Conversione di San Paolo e della Crocifissione di San Pietro, nel dialogo potentissimo con Giordano Bruno. Nel sublime confronto tra Caravaggio e il frate domenicano (Gianfranco Gallo), girato nei sotterranei di Napoli a rappresentare le prigioni nella Roma del tempo, c’è tutta la ricerca della verità agognata da due uomini. Come il filosofo degli infiniti mondi anche Caravaggio gioca a dadi con la morte da quando pesa su di lui la terribile condanna.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo, Roma
Nel film i protagonisti diventano opere d’arte viventi. Se per Caravaggio la realtà viene prima di ogni cosa, anche il regista fa sì che la pelle, i piedi, le pulsioni, i vizi, il sangue, gli sguardi dei suoi soggetti scompiglino le corde dello spettatore prima di depositarsi sulla tela. Lo studio dove il pittore realizza i suoi capolavori, ambientato nel film a Cinecittà, è un via vai di bottegai, prostitute, nobili e prelati grandi collezionisti d’arte come il Cardinale Francesco Del Monte. Così Placido, ed è questo uno dei punti di forza del film, snocciola una serie di personaggi, solitamente poco considerati, ma contemporanei di Caravaggio, emblematici per annusare il contesto storico del pittore e forse un po’ anche la sua arte, oltre che i fermenti di un’epoca, il Seicento, dove a Roma la Vallicella diventa la variegata fucina della sua verità.
La Roma di Caravaggio è anche la Roma di Orazio e Artemisia Gentileschi e ancora di Filippo Neri, di Scipione Borghese e del Cavalier d’Arpino.
Michele Placido, Riccardo Scamarcio (Caravaggio) e Louis Garrel (l'Ombra) ne L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Lungi dall’essere protagonista di una scena laccata, scolasticamente delineata da una sfilza di opere corredate da didascalia, il Caravaggio di Michele Placido vive alimentandosi dalla realtà, dalla veracità degli accenti romaneschi che esplodono dalla bocca di Ranuccio (Brenno Placido) e di suo fratello (Michelangelo Placido). La sfida che consisteva nella ricerca dell’aderenza storica e in una ricostruzione d’epoca che non mirasse alla spettacolarizzazione retorica ma piuttosto alla sostanza materica degli ambienti risulta vinta. Come probabilmente anche la trovata dell’Ombra (Louis Garrel) un agente segreto del Vaticano, a tratti nel film un po’ troppo statico, al quale Papa Paolo V decide di commissionare una vera e propria indagine che mette sul banco degli imputati Caravaggio e la sua arte. Sarà lei a decidere se concedere o meno la grazia che il pittore chiedeva dopo la sentenza di condanna a morte per aver ucciso in duello un suo rivale. E sarà l’Ombra, l’unico personaggio di fantasia del film, ad avviare le sue attività di spionaggio sul pittore che, con la sua vita e con la sua arte, affascina, sconvolge, sovverte.
Al termine del film sarà questo stesso personaggio di fantasia a decretare un finale che potrebbe apparire antistorico. Ma la licenza d’autore può anche concedersi di giocare con il mistero fittissimo che si cela intorno alla fine di Caravaggio.
Riccardo Scamarcio nel film L'ombra di Caravaggio I Courtesy 01 Distribution
Molto attento risulta nel film il lavoro sugli arredi e gli oggetti di scena, dai libri ai quadri di Caravaggio, che rispecchia la volontà di superare una rappresentazione iconografia già vista. Le opere sono state preparate su tela con basi materiche che al momento della stampa sono state patinate proprio per rendere le texture dei quadri molto più veritiere rispetto alle semplici riproduzioni fotografiche. Seguendo l’incessante peregrinare di Caravaggio da un posto all’altro, lo spettatore incontra diverse location che frantumano gli stereotipi dei luoghi del maestro, in un’ambientazione sporca, decisamente lontana dalla tentazione di una rappresentazione iconografica o patinata. La presenza dei luoghi nel film si fa potente e trascina dagli sfarzosi palazzi pontifici e nobiliari come Villa Chigi, dove è stata ambientata parte della dimora dei Colonna, alle osterie popolari, tra le chiese e le fortezze, lungo i sotterranei di Caracalla trasformati in strade cittadine piene di sporcizia, brulicanti di cloache e mendicanti.
Ritroviamo Napoli con le sue chiese del Rinascimento e inizio Barocco napoletano, dove sono state ricostruite la Cappella Contarelli e la Cappella Cerasi, ma anche Sant’Agostino (la Curia di Roma non ha permesso che le riprese venissero effettuate all’interno delle chiese romane). A Castel Dell’Ovo prendono invece vita i sotterranei di Malta con la Decollazione di San Giovanni, una delle ultime opere di Caravaggio prima del ritorno a Napoli.
Michelangelo Merisi Da Caravaggio, Decollazione di San Giovanni Battista, 1608, Olio su tela, 361x320 cm, Concattedrale di San Giovanni, La Valletta, Malta
In questa sfida priva di patinature retoriche, finalizzata a restituire tutta la dimensione terrena, umana, dolorosa e carnale del pittore e del suo tempo, convincono i costumi per i quali Carlo Poggioli si è ispirato agli abiti che Caravaggio amava indossare, sottolineando talvolta il legame tra l’abbigliamento e i cambiamenti nell’esistenza del pittore che, dagli abiti molto semplici e poveri nella prima fase della sua vita, passa a un guardaroba un po’ più vario e colorato quando la sua fama comincia ad affermarsi.
Al netto di salti temporali un po' troppo altalenanti che riflettono l’incessante peregrinare del maestro, ma che in alcuni momenti fanno un po’ smarrire lo spettatore rallentando un po’ il focus sul protagonista, la fotografia di Michele D’Attanasio convince, il finale sorprende. E se davvero l’amore è sinonimo di verità - un po' come l'universo di Giordano Bruno realizzato da un Dio altrettanto infinito, da amare infinitamente - il messaggio finale consegnato da Placido attraverso la frase di Virgilio, ripresa da Caravaggio, Omnia vincit amor, è davvero l'epilogo perfetto di quella ricerca del vero che Caravaggio ha difeso con convinzione fino alla fine dei suoi giorni.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Amor vincit Omnia, Gemäldegalerie, Staatliche Museum, Berlino
Leggi anche:
• Michele Placido racconta il suo Caravaggio, il "regista" solitario che cercava la verità nella pittura
• Nove splendidi dipinti da riconoscere nel film L'Ombra di Caravaggio
• L'Ombra di Caravaggio, dal 3 novembre solo al cinema
• Riccardo Scamarcio è Caravaggio nel nuovo film di Michele Placido
Di mestiere fa il pittore, i pantaloni aderenti come un paio di jeans, le scarpe sporche di fango, una camicia cosparsa di ogni vernice, spesso di sangue, colore incrostato sulle mani, sotto le unghie. E lui stesso, Caravaggio lo “scornacchiato”, assomiglia a una tela, come i personaggi che il suo sguardo rapisce dalla Suburra romana - e dalla Chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove Filippo Neri toglie la fame ai tanti derelitti - per trasferire nei quadri quella realtà putrida fatta di ladri e prostitute pronti a prestare i loro volti alle madonne e ai santi più celebri della storia dell’arte. Rissoso frequentatore di taverne e donne di strada, il Caravaggio di Michele Placido è l’espressione più autentica di quel “vero” che da sempre ossessiona l’artista che depone sulla tela i tanti cristi in croce trovando nella realtà quei Vangeli che conosce a memoria e alla cui lettura si commuove.
Dal 3 novembre L’Ombra di Caravaggio, una co-produzione italo-francese siglata da Goldenart Production con Rai Cinema e per la Francia Charlot, Le Pacte e Mact Production porta al cinema la complessa esistenza di Michelangelo Merisi (interpretato da Riccardo Scamarcio) con Michele Placido a firmare il suo quattordicesimo film da regista, Sandro Petraglia, Fidel Signorile e lo stesso Placido alla sceneggiatura, e un cast di grandi nomi. La colonna sonora del film è composta da ORAGRAVITY, il duo formato da Umberto Iervolino e Federica Luna Vincenti, ed edita da Edizioni Curci e Goldenart Production.
Riccardo Scamarcio (Caravaggio) e Isabelle Huppert (Costanza Colonna) nel film L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Ribelle e inquieto, devoto e scandaloso, indipendente e trasgressivo, il Caravaggio 2.0 che Placido (LEGGI: INTERVISTA A MICHELE PLACIDO) porta al cinema è un artista pop venuto a Roma, a quell’epoca centro del mondo, per attingere da quell’universo di immigrati, preti, prostitute, pellegrini, cardinali, principi e malviventi, e che oggi vivrebbe la sua vorticosa esistenza in uno studio qualunque di Londra o New York. A fronte di una chiesa controriformista che chiede statue, cupole e dipinti per celebrare la propria opulenza in un gigantesco cantiere delle meraviglie, Caravaggio, al pari di un regista neorealista ante litteram, vicino all’ala pauperista della chiesa, cerca invece un ritorno ai valori evangelici. Lo trova in Filippo Neri e nelle donne della sua vita, nella marchesa Costanza Colonna (Isabelle Huppert), molto più di un’amica, che lo protegge fin dall’infanzia, in Lena (Micaela Ramazzotti), una delle prostitute più famose di Roma, rappresentata spesso come Maria, la madre di Gesù, e poi in Annina, il volto di uno dei suoi più grandi capolavori, La morte della Vergine, oggi al Museo del Louvre di Parigi, “la morte più viva che sia mai stata dipinta”.
Micaela Ramazzotti (Lena), L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Colpisce l’intensità con la quale il regista allestisce la scena della Morte della Vergine, e non solo, con una teatralità che commuove. Una teatralità alla quale il Placido “parolaio” e uomo di teatro non poteva rinunciare. Piacciono questi echi di teatro che affiorano dall’allestimento della spettacolare festa del Cardinal Dal Monte allestita a Villa Aldobrandini, nell’apparecchiamento della Conversione di San Paolo e della Crocifissione di San Pietro, nel dialogo potentissimo con Giordano Bruno. Nel sublime confronto tra Caravaggio e il frate domenicano (Gianfranco Gallo), girato nei sotterranei di Napoli a rappresentare le prigioni nella Roma del tempo, c’è tutta la ricerca della verità agognata da due uomini. Come il filosofo degli infiniti mondi anche Caravaggio gioca a dadi con la morte da quando pesa su di lui la terribile condanna.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo, Roma
Nel film i protagonisti diventano opere d’arte viventi. Se per Caravaggio la realtà viene prima di ogni cosa, anche il regista fa sì che la pelle, i piedi, le pulsioni, i vizi, il sangue, gli sguardi dei suoi soggetti scompiglino le corde dello spettatore prima di depositarsi sulla tela. Lo studio dove il pittore realizza i suoi capolavori, ambientato nel film a Cinecittà, è un via vai di bottegai, prostitute, nobili e prelati grandi collezionisti d’arte come il Cardinale Francesco Del Monte. Così Placido, ed è questo uno dei punti di forza del film, snocciola una serie di personaggi, solitamente poco considerati, ma contemporanei di Caravaggio, emblematici per annusare il contesto storico del pittore e forse un po’ anche la sua arte, oltre che i fermenti di un’epoca, il Seicento, dove a Roma la Vallicella diventa la variegata fucina della sua verità.
La Roma di Caravaggio è anche la Roma di Orazio e Artemisia Gentileschi e ancora di Filippo Neri, di Scipione Borghese e del Cavalier d’Arpino.
Michele Placido, Riccardo Scamarcio (Caravaggio) e Louis Garrel (l'Ombra) ne L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Lungi dall’essere protagonista di una scena laccata, scolasticamente delineata da una sfilza di opere corredate da didascalia, il Caravaggio di Michele Placido vive alimentandosi dalla realtà, dalla veracità degli accenti romaneschi che esplodono dalla bocca di Ranuccio (Brenno Placido) e di suo fratello (Michelangelo Placido). La sfida che consisteva nella ricerca dell’aderenza storica e in una ricostruzione d’epoca che non mirasse alla spettacolarizzazione retorica ma piuttosto alla sostanza materica degli ambienti risulta vinta. Come probabilmente anche la trovata dell’Ombra (Louis Garrel) un agente segreto del Vaticano, a tratti nel film un po’ troppo statico, al quale Papa Paolo V decide di commissionare una vera e propria indagine che mette sul banco degli imputati Caravaggio e la sua arte. Sarà lei a decidere se concedere o meno la grazia che il pittore chiedeva dopo la sentenza di condanna a morte per aver ucciso in duello un suo rivale. E sarà l’Ombra, l’unico personaggio di fantasia del film, ad avviare le sue attività di spionaggio sul pittore che, con la sua vita e con la sua arte, affascina, sconvolge, sovverte.
Al termine del film sarà questo stesso personaggio di fantasia a decretare un finale che potrebbe apparire antistorico. Ma la licenza d’autore può anche concedersi di giocare con il mistero fittissimo che si cela intorno alla fine di Caravaggio.
Riccardo Scamarcio nel film L'ombra di Caravaggio I Courtesy 01 Distribution
Molto attento risulta nel film il lavoro sugli arredi e gli oggetti di scena, dai libri ai quadri di Caravaggio, che rispecchia la volontà di superare una rappresentazione iconografia già vista. Le opere sono state preparate su tela con basi materiche che al momento della stampa sono state patinate proprio per rendere le texture dei quadri molto più veritiere rispetto alle semplici riproduzioni fotografiche. Seguendo l’incessante peregrinare di Caravaggio da un posto all’altro, lo spettatore incontra diverse location che frantumano gli stereotipi dei luoghi del maestro, in un’ambientazione sporca, decisamente lontana dalla tentazione di una rappresentazione iconografica o patinata. La presenza dei luoghi nel film si fa potente e trascina dagli sfarzosi palazzi pontifici e nobiliari come Villa Chigi, dove è stata ambientata parte della dimora dei Colonna, alle osterie popolari, tra le chiese e le fortezze, lungo i sotterranei di Caracalla trasformati in strade cittadine piene di sporcizia, brulicanti di cloache e mendicanti.
Ritroviamo Napoli con le sue chiese del Rinascimento e inizio Barocco napoletano, dove sono state ricostruite la Cappella Contarelli e la Cappella Cerasi, ma anche Sant’Agostino (la Curia di Roma non ha permesso che le riprese venissero effettuate all’interno delle chiese romane). A Castel Dell’Ovo prendono invece vita i sotterranei di Malta con la Decollazione di San Giovanni, una delle ultime opere di Caravaggio prima del ritorno a Napoli.
Michelangelo Merisi Da Caravaggio, Decollazione di San Giovanni Battista, 1608, Olio su tela, 361x320 cm, Concattedrale di San Giovanni, La Valletta, Malta
In questa sfida priva di patinature retoriche, finalizzata a restituire tutta la dimensione terrena, umana, dolorosa e carnale del pittore e del suo tempo, convincono i costumi per i quali Carlo Poggioli si è ispirato agli abiti che Caravaggio amava indossare, sottolineando talvolta il legame tra l’abbigliamento e i cambiamenti nell’esistenza del pittore che, dagli abiti molto semplici e poveri nella prima fase della sua vita, passa a un guardaroba un po’ più vario e colorato quando la sua fama comincia ad affermarsi.
Al netto di salti temporali un po' troppo altalenanti che riflettono l’incessante peregrinare del maestro, ma che in alcuni momenti fanno un po’ smarrire lo spettatore rallentando un po’ il focus sul protagonista, la fotografia di Michele D’Attanasio convince, il finale sorprende. E se davvero l’amore è sinonimo di verità - un po' come l'universo di Giordano Bruno realizzato da un Dio altrettanto infinito, da amare infinitamente - il messaggio finale consegnato da Placido attraverso la frase di Virgilio, ripresa da Caravaggio, Omnia vincit amor, è davvero l'epilogo perfetto di quella ricerca del vero che Caravaggio ha difeso con convinzione fino alla fine dei suoi giorni.
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