Al cinema il 27, 28 e 29 settembre

The Arch. La nostra recensione

Un'immagine da The Arch., Sydney | Regia di Alessandra Stefani | Courtesy Scarabeo Entertainment / Adler Entertainment
 

Samantha De Martin

24/09/2021

“Il viaggio apre orizzonti mentali, ci interroga, funziona solo se accettiamo di allontanarci da noi stessi, dai luoghi in cui ci sentiamo al sicuro. In questo viaggio le idee degli architetti sono mappe di uno spazio interiore, il disegno di una città ideale, il luogo che verrà”.
Un distinto signore in smoking travalica i confini della propria abitazione per abbandonarsi a un’esperienza intensa attraverso quattro continenti, a cavallo di quell’arco - The Arch. appunto - che, alla maniera di un ponte, fisico e temporale al tempo stesso, congiunge oriente e occidente, le architetture di ieri con quelle di oggi, dalle antiche rovine di Teotihuacan alle avveniristiche Axis Towers di Tbilisi, roteanti su se stesse, come in una garbata danza.
Con in tasca la mappa della curiosità, ed in testa il mantra che invita al viaggio autentico, seguiamo Dada, un architetto italiano che, simile a un corifeo, tesse un confronto, meditato e serrato al tempo stesso, con lungimiranti colleghi ai quattro angoli del mondo, dall’Australia all’Italia. E loro, alla maniera di oracoli del nostro tempo, svelano come il destino dell’umanità prenda forma attraverso il mezzo dell’architettura.


Un'immagine da The Arch. | Regia di Alessandra Stefani | Courtesy Scarabeo Entertainment / Adler Entertainment

Il viaggio di Dada è epico, “pazzesco” come riconoscerà lo stesso protagonista alla fine del documentario. Ma Dada potrebbe essere un viaggiatore qualunque, curioso certo, un po’ giornalista, un po’ poeta, che fotografa, si interroga, si perde e si ritrova, scovando la sua bussola nelle conversazioni con colleghi illuminati che gli offrono prospettive inedite sollevando in lui nuove domande. Una in particolare rimane quella più urgente: può l’architettura salvare il futuro dell’umanità, contribuendo a renderci felici?
Per questo motivo The Arch., il documentario di Alessandra Stefani, prodotto da Scarabeo Entertainment e al cinema il 27, il 28 e il 29 settembre, è un’esperienza per tutti e non solo per gli specialisti o gli addetti ai lavori. Come un adagio pronto ad esplodere in un allegrissimo che sembra riproporre le controversie dell’architettura, il film inizia lento per esplodere e coinvolgere.
Attraverso una tessitura armonica, mai discontinua, dei luoghi e delle loro architetture più emblematiche, la regista cuce un racconto perfetto dove le domande di Dada, le sue riflessioni, le meditazioni trovano negli interlocutori risposte convincenti.


Locandina del film documentario The Arch di Alessandra Stefani, prodotto da Scarabeo Entertainment, al cinema il 27, 28 e 29 settembre

Così, entrando nella Business School dell’Università di Sydney, scopriamo che Sue Carr e Dan Cox hanno tratto ispirazione dai trucioli del legno di una vicina falegnameria per realizzare la luminosa scala, un ambiente che trasmettesse calma e pace. In un battito di palpebre voliamo da Bondi Beach a Pechino, tra il frastuono del progresso e gli spazi riempiti di ambizioni, a tu per tu con un’architettura “arma di dimostrazione di massa, tra altezze e volumi che occupano la scena con foga”.

Ascoltando Dae-Hong Minn, direttore dello studio Ratio-SMDP di Chicago, artefice delle Centropolis Towers nel quartiere Insadong della psichedelica Seoul, impariamo che “L’architettura si evolve costantemente. I progressi strutturali si devono all’acciaio e al cemento ad alta resistenza, ma gli altri materiali sono gli stessi di duemila anni fa”.
Al cospetto del China Zun, il grattacielo più alto di Pechino, scopriamo con Wuren Wang le potenzialità della ceramica e il segreto per costruire edifici di alta qualità.
Finalmente il concetto di sostenibilità si svela anche ai profani, mentre ci sorprende un’architettura in grado di accelerare il processo di guarigione di alcuni pazienti riducendo del 30% la degenza in un reparto.


Un'immagine da The Arch., Toronto | Regia di Alessandra Stefani | Courtesy Scarabeo Entertainment / Adler Entertainment

Scivolando da Tbilisi - dove la modernità incalza tra l’architettura brutalista e dove le Axis Towers di Alexander Mezhevidze, con il loro involucro di pietra e vetro creano un forte contrasto con il panorama post-sovietico - approdiamo all’Hyatt Regency Andares a Guadalajara, un complesso multifunzionale che culmina nel secondo hotel più alto del Messico, il progetto più famoso di Andrés Cajiga.
Mentre Dermot Sweeny, sostenitore illuminato delle costruzioni ecosostenibili - ne è un esempio la sua opera One York Street a Toronto - ci conquista sfiorando le corde della qualità della vita e del concetto di felicità.

Nel documentario le riflessioni e le domande di Dada diventano aforismi illuminanti, mai scontati, che vorremmo appuntare su un taccino ideale e fare nostri. La sua poesia, all’apparenza ingenua, non stona con il racconto, anzi lo alimenta, corroborando il senso e la potenza delle domande. È necessario costruire qualcosa di nuovo o c’è già qualcosa che possiamo utilizzare, modificare, adattare ai nostri bisogni reali? Gli architetti spariranno o continueranno a rimanere tuttofare capace di sognare, progettare, realizzare?
La risposta nel documentario c’è e Alessandra Stefani la costruisce poco a poco, attraverso prove, tenendo sempre alta l’attenzione dello spettatore che a volte si fonde con Dada, si affeziona, ne condivide le riflessioni facendo suoi i dubbi.


Un'immagine da The Arch. | Regia di Alessandra Stefani | Courtesy Scarabeo Entertainment / Adler Entertainment

Il contributo di Mario Cucinella, fondatore di MC Architects a Bologna, è un fulmen in clausula in questo racconto, in un crescendo intenso, e quasi maieutico, nel quale allo spettatore non resta che annuire e interrogarsi ancora.
Filo prezioso di questa narrazione, oltre alla sorprendente fotografia, la musica. Dal blues di Chicago alla colonna sonora scelta insieme al compositore Valerio Semplici, uno dei fondatori della nota band italiana di musica house Black Box, le note contribuiscono a tessere l’emozione di un viaggio a 360 gradi in un mondo che, dal Messico all'Australia, è pur sempre casa.

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