Il futurista “parigino”

 

23/05/2001

Fra gli esponenti del movimento futurista, Gino Severini è senza dubbio il più “parigino” di tutti: già nel 1906 lo troviamo nella capitale francese dove giunge per studiare più da vicino le opere di G. Seurat. A Parigi subito viene rapito da quel fermento culturale e dalle proposte innovative che giovani letterati ed artisti andavano proponendo. Sono gli anni in cui il pittore incontra e conosce fra le strade di Montparnasse personaggi come Modigliani e studia le prime opere cubiste di Picasso e Braque. Nel 1910 compare fra i firmatari del Manifesto della pittura futurista, pubblicato sul giornale francese Le Figaro; il movimento e il dinamismo della pittura futurista viene integrato da Severini con la sintesi di altre lezioni pittoriche, come ad esempio la tecnica divisionista praticata dall’artista insieme a Balla e Boccioni negli anni romani che precedettero il suo arrivo a Parigi, e con le lezioni delle prime esperienze cubiste di Picasso che esercitano, sulla sua produzione pittorica, quell’amore per i tagli su piani differenti, operati sui soggetti rappresentati. Nascono così opere come Le chat noir o La ballerina in blu, dove l’attenzione per la danza contemporanea e la vita notturna dei locali alla moda parigini (cabaret, cafè-chantant), lega la pittura italiana a temi e soggetti più alla moda rispetto al chiuso e provinciale ambito della penisola. Intanto continuano i fitti scambi di idee anche con intellettuali di spicco dei circoli parigini, dove Severini incontra G.Apollinaire e il poeta simbolista P. Fort, del quale sposa la figlia sedicenne Jeanne. Fra il 1912 e il 1914 la pittura dell’artista comincia a prendere la via dell’astrattismo, il movimento dinamico futurista viene riproposto in linee geometriche che danzano in uno spazio senza più referenti reali; nello stesso tempo sperimenta anche i collage cubisti, i quali forniscono ottimi spunti per opere come Omaggio a mia madre e Omaggio a mio padre entrambi del 1912. Ma già nel 1916 con il dipinto Maternità riprende la strada del “ritorno all’ordine”, cercando nelle forme una sintesi fra armonia e rigore matematico. Questo amore per l’ordine lo accompagnerà per il resto della sua carriera, anche quando a seguito di una crisi mistico-religiosa, si troverà a realizzare mosaici per alcune chiese svizzere. Non saranno queste, però, le uniche opere pubbliche dell’artista: nel Palazzo di Giustizia di Milano, nelle Poste di Alessandria, all’Università di Padova eseguirà, ancora con la tecnica del mosaico, alcuni lavori importanti. Tra i suoi vari interessi dobbiamo citare anche la passione per il teatro: prepara infatti bozzetti per le scenografie dei più importanti teatri europei, senza abbandonare però l’attività pittorica, che nelle sue mani non cesserà mai di rappresentare la passione per la sperimentazione stilistica.