...in figlia

Orazio e Artemisia Gentileschi
 

30/10/2001

Artemisia Gentileschi nasce a Roma l’8 luglio del 1593 da Orazio Gentileschi e Prudenza Montoni. Sin dai tredici anni studia l’arte pittorica con il padre Orazio, che ne apprezza le qualità, come testimonia in una lettera del 1612. La giovane pittrice impara a dipingere dal modello come il padre ha appreso dalla lezione caravaggesca. Orazio spinge la figlia verso i soggetti storici, genere davvero inconsueto per una donna, ma l’assiduo lavoro conduce Artemisia alla sua prima opera autografa: la “Susanna e i vecchioni” di Pommersfelden. Nel 1611 accade l’episodio che muta irreversibilmente la vita e il modo di pensare della giovane Artemisia: subisce lo stupro da parte dell’amico paterno, nonché collega come specialista di prospettive, Agostino Tassi. L’anno successivo Artemisia sposa il fiorentino Pierantonio Stiattesi trasferendosi nella città medicea, mentre Agostino Tassi viene condannato dal tribunale di Roma e bandito dalla città eterna. Al 1612-13 risale il celebre dipinto raffigurante “Giuditta e Oloferne” di Capodimonte, fortemente influenzato dall’omonimo quadro di Caravaggio, e più volte correlato alla vicenda personale di Artemisia, come sorta di azione catartica dopo lo stupro, stessa lettura spesso usata per i molti soggetti con eroine femminili scelti dalla pittrice. A Firenze Artemisia lavora a corte firmandosi con il nome della famiglia paterna, Lomi, probabilmente per guadagnarsi il favore della ricca clientela fiorentina evidenziando le sue origini toscane. Dal 1614 è iscritta all’Accademia di Disegno: in questo periodo gode del favore dei Medici e in particolare della protezione della Granduchessa Cristina. Frequenta figure di spicco come Michelangelo Buonarroti il Giovane e Galileo Galilei. A Firenze realizza capolavori indimenticabili quali la “Maddalena” della Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Artemisia si adegua al gusto fiorentino per la teatralità e la vivacità narrativa, alla preziosità delle stoffe e dei gioielli, in sintonia con lo sfarzo della corte granducale, senza mai rinunciare però all’individualità delle protagoniste delle sue storie. La corte rende Artemisia non solo una raffinata pittrice, ma anche una donna elegante, forse persino una sofisticata intellettuale. Qui impara a scrivere: la sua nuova condizione determinano in lei l’acquisizione di una sicurezza mai avuta in precedenza. Nel 1621 è di nuovo a Roma dove si impone all’attenzione degli intenditori d’arte grazie a dipinti di “historie”, ma rimane esclusa dalle grandi committenze pubbliche. Probabile causa di questa esclusione la predilezione per i nudi, destinati al mercato privato, ma soprattutto il suo sesso. I grandi protagonisti del momento a Roma sono Passignano, Pomarancio, Cavalier d’Arpino. Negli anni Venti dipinge “Giaele e Sisare”, “Ritratto di un gonfaloniere”, “Giuditta e Oloferne”: sono esempi di come Artemisia si sappia adeguare al gusto classicistico voluto soprattutto dalla famiglia di Gregorio XV Ludovisi di Bologna, che porta chiaramente in auge la pittura di Reni, Guercino, Lanfranco, Domenichino, successori della scuola carraccesca. Nel 1627 Artemisia è a Venezia dove riceve committenze persino da Filippo IV (“Ercole e Onfale”). Due anni dopo passa dalla città lagunare a Napoli, sempre grazie ai contatti spagnoli: lavora per la sovrana di Spagna. Sul finire degli anni ‘30 compie un viaggio a Londra, per assistere il padre malato, di circa due anni, dopo i quali fa ritorno a Napoli eseguendo opere chieste da don Fabrizio e don Antonio Ruffo. Di questo periodo ci restano pochi dipinti, ma tra questi c’è lo splendido “Susanna e i vecchioni” di Brno. Artemisia si spegne nel capoluogo campano in un’imprecisata data tra il 1652 ed il 1653.

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