Le vedute di Dresda: passaggio a Nord-Est
Courtesy of Gëmaldegalerie |
Bellotto
03/02/2001
Bellotto fece parte di quella larga schiera di artisti che da Venezia si mossero, nel corso del Settecento, verso le maggiori capitali europee: i centri del potere, Vienna, Londra e le ricche corti dell’Europa centro-settentrionale, coprirono d’onori e d’oro Piranesi, Tiepolo e Canaletto, e quando non poterono pagare il soggiorno ad altri artisti (si pensi a Piazzetta, Pittoni, Pellegrini, Longhi e Guardi) ne acquistarono senza badare a spese le opere, rendendo alla scuola pittorica veneziana l’ultimo e più alto momento di gloria.
Quando Bellotto si trasferì a Dresda lo fece con la consapevolezza dell’addio alla sua città, straniero alla struggente malinconia che spinse tanti suoi compatrioti, compreso Casanova, al ritorno. Vi trovò un re, Augusto III di Sassonia, che, desideroso di sprovincializzare la città, aveva appena acquistato a Modena la ricca collezione d’opere d’arte dell’ultimo duca d’Este e aveva accolto a corte un nutrito gruppo di architetti, scultori e pittori italiani e francesi.
L’artista veneziano realizzò due serie di vedute della città tra il 1747 e il 1758, una per il re (conservata oggi alla Gemäldegalerie) e l’altra per il primo ministro, conte di Brühl. Dipinse inoltre undici “ritratti” del borgo di Pirna, a pochi chilometri dalla capitale, dove egli stesso risiedeva con la famiglia. I palazzi, le chiese, le enormi piazze, le strade di Dresda, animate da un’umanità operosa, intenta per lo più al commercio, sono trasposti sulla tela in colori (grigi, azzurri e verdi) che virano verso tonalità cupe, lontane dalla lucentezza delle solari vedute veneziane del Canaletto. Potenti giochi di ombre caratterizzano il primo piano, animato spesso dalla presenza di folti gruppi di figure affaccendate. Emerge qua e là un tocco violento di colore rosso.
Fedele interprete di un clima e di un ambiente volto al rinnovamento (la città e i borghi sono ritratti in febbrile attività), Bellotto non se ne sta in disparte: partecipa anzi, con una disposizione d’animo già ottocentesca, trasformando l’equilibrio della serena e distaccata visione canalettiana in un ritratto del paesaggio urbano e campagnolo ombroso e nostalgico
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