Nelle sale solo il 17 e il 18 gennaio, su distribuzione Nexo Digital
Segantini, ritorno alla natura - La nostra recensione
Ludovica Sanfelice
12/01/2017
Nato poverissimo nella terra irredenta di Arco in Trentino, Giovanni Segantini si trovò presto orfano. Quando la sua giovane e cagionevole madre morì, lui aveva sette anni e il padre lo separò dai monti e lo portò a Milano, perchè crescesse insieme ai fratellastri. Dagli spazi aperti e potenti dell'infanzia alla gabbia cittadina il trauma fu terribile e lui fuggì molte volte, finchè, arrestato per ozio e vagabondaggio, non venne chiuso in riformatorio.
Sembrerebbe un romanzo di Dickens e invece è solo l'inizio della biografia di uno dei pittori più importanti della scena europea dell'Ottocento. Una scoperta che il grande pubblico potrà fare nelle sale cinematografiche solo il 17 e il 18 gennaio guardando il docu-film "Segantini, ritorno alla natura" di Francesco Fei, distribuito da Nexo Digital in collaborazione con Sky Arte HD e MYmovies.it. "Segantini io l'ho scoperto alla GAM", racconta il regista "Rimasi folgorato davanti all'Angelo della vita, un quadro insieme rinascimentale e simbolista. Una rivelazione per me che ero viziato dai luoghi comuni che portavano a considerarlo, superficialmente, un grande paesaggista in un periodo in cui le forti mode impressioniste imperavano riducendo il resto in posizioni gregaeie".
Incuriosito, Fei ha poi fatto qualche ricerca e oltre la qualità pittorica ha trovato tantissima sostanza umana e artistica.
La seconda parte della storia volge infatti al Romanticismo.
Indigente, apolide, analfabeta, orfano di madre, e quindi in cerca di un rapporto panico con la natura, Segantini ebbe l'integrità si seguire la sua strada, iscrivendosi all'Accademia di Brera, e poi ebbe la fortuna di conoscere l'amore immortale grazie a Bice Bugatti, ragazza di famiglia benestante di cui si innamorò perdutamente corrisposto e con cui crebbe quattro figli tra le montagne, a Maloja: un pugno di case arrampicate tra pascoli nebbiosi, fonti e montagne taglienti.
Qui si fermò e ritenne di aver trovato casa. Qui lavorò tantissimo, tributando all'arte e all'amore una vita sobria, schiva eppur carica del sentimento che fece dei suoi paesaggi riflessioni profonde e moderne, quasi occulte. Sicuramente di lezione per molta pittura successiva.
Il docufilm adotta un linguaggio semplice e insieme articolato, che rende giustizia all'uomo di montagna e si perde tra l'ostile bellezza di quei luoghi che ispirarono sommamente il genio artistico e le sue opere. Ci si colma lo sguardo dei suoi dipinti nell'alternarsi di testimonianze della nipote Gioconda Segantini, interventi di Franco Marrocco, direttore dell'Accademia di Brera, e di Romano Turrini, storico di Arco; si gode della guida dell'esperta Annie-Paul Quinsac, e ci si perde tra i preziosi appunti e i carteggi dell'artista interpretato sullo schermo da Filippo Timi in una serie di pennellate storiche.
"Segantini, ritorno alla natura", trasferisce così al cinema l'azione avviata con la monumentale mostra tenutasi a Palazzo Reale di Milano due anni fa. Un processo di ricollocazione storica di un vero e proprio gigante della pittura. Perciò spargiamo la voce, riempiamo le sale.
Sembrerebbe un romanzo di Dickens e invece è solo l'inizio della biografia di uno dei pittori più importanti della scena europea dell'Ottocento. Una scoperta che il grande pubblico potrà fare nelle sale cinematografiche solo il 17 e il 18 gennaio guardando il docu-film "Segantini, ritorno alla natura" di Francesco Fei, distribuito da Nexo Digital in collaborazione con Sky Arte HD e MYmovies.it. "Segantini io l'ho scoperto alla GAM", racconta il regista "Rimasi folgorato davanti all'Angelo della vita, un quadro insieme rinascimentale e simbolista. Una rivelazione per me che ero viziato dai luoghi comuni che portavano a considerarlo, superficialmente, un grande paesaggista in un periodo in cui le forti mode impressioniste imperavano riducendo il resto in posizioni gregaeie".
Incuriosito, Fei ha poi fatto qualche ricerca e oltre la qualità pittorica ha trovato tantissima sostanza umana e artistica.
La seconda parte della storia volge infatti al Romanticismo.
Indigente, apolide, analfabeta, orfano di madre, e quindi in cerca di un rapporto panico con la natura, Segantini ebbe l'integrità si seguire la sua strada, iscrivendosi all'Accademia di Brera, e poi ebbe la fortuna di conoscere l'amore immortale grazie a Bice Bugatti, ragazza di famiglia benestante di cui si innamorò perdutamente corrisposto e con cui crebbe quattro figli tra le montagne, a Maloja: un pugno di case arrampicate tra pascoli nebbiosi, fonti e montagne taglienti.
Qui si fermò e ritenne di aver trovato casa. Qui lavorò tantissimo, tributando all'arte e all'amore una vita sobria, schiva eppur carica del sentimento che fece dei suoi paesaggi riflessioni profonde e moderne, quasi occulte. Sicuramente di lezione per molta pittura successiva.
Il docufilm adotta un linguaggio semplice e insieme articolato, che rende giustizia all'uomo di montagna e si perde tra l'ostile bellezza di quei luoghi che ispirarono sommamente il genio artistico e le sue opere. Ci si colma lo sguardo dei suoi dipinti nell'alternarsi di testimonianze della nipote Gioconda Segantini, interventi di Franco Marrocco, direttore dell'Accademia di Brera, e di Romano Turrini, storico di Arco; si gode della guida dell'esperta Annie-Paul Quinsac, e ci si perde tra i preziosi appunti e i carteggi dell'artista interpretato sullo schermo da Filippo Timi in una serie di pennellate storiche.
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