Zoom sul regista di “Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità”, al cinema dal 3 gennaio
Tra Basquiat e Van Gogh: ritratto di Julian Schnabel
Julian Schnabel, Untitled (Self Portrait) oil on canvas, 107 x 101", 2004. © Julian Schnabel
Francesca Grego
27/12/2018
“L’unico modo di descrivere un’opera d’arte è fare un’opera d’arte”: così qualche mese fa Julian Schnabel presentava la sua ultima fatica alla 75° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. E ora Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità si preannuncia come l’evento cinematografico di inizio anno per gli art lovers e non solo.
Nelle sale italiane dal 3 gennaio con la distribuzione di Lucky Red e 3 Marys Entertainment, il film prodotto da Jon Kilik promette di raccontare uno dei pittori più amati di sempre – e più indagati al cinema – da un punto di vista nuovo, quello di un artista che guarda un altro artista fuori dei consueti stereotipi narrativi.
“Il ritratto di Van Gogh che emerge dal film”, ha dichiarato Schnabel, “deriva direttamente dalle mie reazioni ai suoi quadri, non da quello che è stato scritto su di lui”: un’opera di finzione, dunque, che tuttavia vuol mettere a nudo la verità del maestro olandese e “il significato stesso dell’essere artista”.
Ma chi è l’autore di un progetto così audace? Mentre attendiamo di scoprirne i frutti sul grande schermo, con l’interpretazione di Van Gogh che è valsa a Willem Dafoe la Coppa Volpi come miglior attore, andiamo a scoprire da vicino il regista di Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità.
Eccentrico, poliedrico e inarrestabile, in Italia Julian Schnabel è conosciuto soprattutto per titoli cinematografici come Prima che sia notte (Leone d’Argento nel 2000) e Lo scafandro e la farfalla (premio per la migliore regia al Festival di Cannes 2007), dove il suo personalissimo sguardo sul mondo incontra una non comune qualità artistica. E parlando d’arte, impossibile non citare il capolavoro - e opera prima – Basquiat, con un indimenticabile David Bowie nel ruolo del writer newyorkese (1996).
Prima ancora che un regista tuttavia Schnabel è un pittore, e tra i più interessanti della scena contemporanea. Della sua New York, dove vive nel West Village in una grande casa-studio nota come Palazzo Chupì e da lui stesso progettata, porta sulla tela lo spirito libero e cosmopolita, l’energia vibrante e anticonformista, la voglia di sperimentare, mescolare e reinventare la realtà oltre ogni categoria precostituita.
“Il tempo è un respiro”, ha dichiarato in una recente intervista: “Non mi curo del passato, tanto meno del futuro. L’arte è qui e ora”. Così nei suoi quadri giganteschi coniuga con disinvoltura le influenze di Jackson Pollock, di Cy Twombly o del Neo-Espressionismo con l’ispirazione di maestri mediterranei come Caravaggio o Goya. E poi velluti, tele cerate, mappe ingiallite, pezzi di legno, fondi del teatro giapponese, macchie bianche, frammenti di oggetti che rinascono a nuova vita in assemblaggi inediti, perché “senza una decostruzione della materia non ci sarebbe libertà: ho sempre sentito l’esigenza di annientare l’esistente, in modo tale da poterlo travalicare”, ha spiegato una volta Schnabel.
Astratto o figurativo? Naturalmente non ha importanza: l’arte non conosce limiti e “tutte le componenti dell’opera sono parti di un desiderio di trasformare lo spirito”. Quello di Schnabel è un gesto selvaggio, un viaggio sotto la guida misteriosa dell’istinto, “un fatto fisico” che catapulta chi osserva i suoi quadri in una dimensione dominata dalle emozioni.
Che si tratti di tele affollate di segni e colori, di ritratti o degli ormai innumerevoli autoritratti, o ancora dei celebri Plate Paintings – vorticosi collage di piatti di ceramica che sembrano usciti da un sisma – per l’artista newyorkese creare equivale a esistere e la vita va morsa con voracità.
Ad apprezzare la sua pittura al di là dell’immagine di omone stravagante vestito giorno e notte dei suoi inseparabili pigiami, sono stati grandi musei internazionali come il MoMa e il Metropolitan di New York, il Centre Pompidou di Parigi, la Tate Modern di Londra, mentre in Italia i lavori di Schnabel possono essere ammirati al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato e al MAMbo di Bologna.
Per chi è curioso di vederlo confrontarsi con maestri del passato come Van Gogh, fino al 13 gennaio nella capitale francese è in programma “Il Musée d’Orsay visto da Julian Schnabel”, in cui l’artista e cineasta statunitense propone la propria personale selezione di opere scelte all’interno della collezione residente: accanto ai dipinti del pittore dei Girasoli, quadri di Gauguin, Cézanne, Manet, Courbet, insieme in un dialogo inedito e in una nuova scenografia. E, naturalmente, una serie di lavori made in Palazzo Chupì realizzati dal 1980 ad oggi, che danno conto dell’instancabile ricerca di Schnabel.
Se invece desiderate scoprire come il cinema e la pittura si intreccino alla straripante umanità di un personaggio “larger than life”, non resta che affidarvi al documentario L’Arte viva di Julian Schnabel, girato un anno fa da Pappi Corsicato: un ritratto a tutto tondo che tocca la quotidianità, gli affetti e il carisma, l’apparenza ruvida e sprezzante, la tenerezza, l’urgenza creativa che trabocca su un’immensa tela nello studio di New York, le testimonianze di amici come Al Pacino, Bono, Jeff Koons, Laurie Anderson e Jean Claude Carrère, sceneggiatore di Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità.
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Nelle sale italiane dal 3 gennaio con la distribuzione di Lucky Red e 3 Marys Entertainment, il film prodotto da Jon Kilik promette di raccontare uno dei pittori più amati di sempre – e più indagati al cinema – da un punto di vista nuovo, quello di un artista che guarda un altro artista fuori dei consueti stereotipi narrativi.
“Il ritratto di Van Gogh che emerge dal film”, ha dichiarato Schnabel, “deriva direttamente dalle mie reazioni ai suoi quadri, non da quello che è stato scritto su di lui”: un’opera di finzione, dunque, che tuttavia vuol mettere a nudo la verità del maestro olandese e “il significato stesso dell’essere artista”.
Ma chi è l’autore di un progetto così audace? Mentre attendiamo di scoprirne i frutti sul grande schermo, con l’interpretazione di Van Gogh che è valsa a Willem Dafoe la Coppa Volpi come miglior attore, andiamo a scoprire da vicino il regista di Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità.
Eccentrico, poliedrico e inarrestabile, in Italia Julian Schnabel è conosciuto soprattutto per titoli cinematografici come Prima che sia notte (Leone d’Argento nel 2000) e Lo scafandro e la farfalla (premio per la migliore regia al Festival di Cannes 2007), dove il suo personalissimo sguardo sul mondo incontra una non comune qualità artistica. E parlando d’arte, impossibile non citare il capolavoro - e opera prima – Basquiat, con un indimenticabile David Bowie nel ruolo del writer newyorkese (1996).
Prima ancora che un regista tuttavia Schnabel è un pittore, e tra i più interessanti della scena contemporanea. Della sua New York, dove vive nel West Village in una grande casa-studio nota come Palazzo Chupì e da lui stesso progettata, porta sulla tela lo spirito libero e cosmopolita, l’energia vibrante e anticonformista, la voglia di sperimentare, mescolare e reinventare la realtà oltre ogni categoria precostituita.
“Il tempo è un respiro”, ha dichiarato in una recente intervista: “Non mi curo del passato, tanto meno del futuro. L’arte è qui e ora”. Così nei suoi quadri giganteschi coniuga con disinvoltura le influenze di Jackson Pollock, di Cy Twombly o del Neo-Espressionismo con l’ispirazione di maestri mediterranei come Caravaggio o Goya. E poi velluti, tele cerate, mappe ingiallite, pezzi di legno, fondi del teatro giapponese, macchie bianche, frammenti di oggetti che rinascono a nuova vita in assemblaggi inediti, perché “senza una decostruzione della materia non ci sarebbe libertà: ho sempre sentito l’esigenza di annientare l’esistente, in modo tale da poterlo travalicare”, ha spiegato una volta Schnabel.
Astratto o figurativo? Naturalmente non ha importanza: l’arte non conosce limiti e “tutte le componenti dell’opera sono parti di un desiderio di trasformare lo spirito”. Quello di Schnabel è un gesto selvaggio, un viaggio sotto la guida misteriosa dell’istinto, “un fatto fisico” che catapulta chi osserva i suoi quadri in una dimensione dominata dalle emozioni.
Che si tratti di tele affollate di segni e colori, di ritratti o degli ormai innumerevoli autoritratti, o ancora dei celebri Plate Paintings – vorticosi collage di piatti di ceramica che sembrano usciti da un sisma – per l’artista newyorkese creare equivale a esistere e la vita va morsa con voracità.
Ad apprezzare la sua pittura al di là dell’immagine di omone stravagante vestito giorno e notte dei suoi inseparabili pigiami, sono stati grandi musei internazionali come il MoMa e il Metropolitan di New York, il Centre Pompidou di Parigi, la Tate Modern di Londra, mentre in Italia i lavori di Schnabel possono essere ammirati al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato e al MAMbo di Bologna.
Per chi è curioso di vederlo confrontarsi con maestri del passato come Van Gogh, fino al 13 gennaio nella capitale francese è in programma “Il Musée d’Orsay visto da Julian Schnabel”, in cui l’artista e cineasta statunitense propone la propria personale selezione di opere scelte all’interno della collezione residente: accanto ai dipinti del pittore dei Girasoli, quadri di Gauguin, Cézanne, Manet, Courbet, insieme in un dialogo inedito e in una nuova scenografia. E, naturalmente, una serie di lavori made in Palazzo Chupì realizzati dal 1980 ad oggi, che danno conto dell’instancabile ricerca di Schnabel.
Se invece desiderate scoprire come il cinema e la pittura si intreccino alla straripante umanità di un personaggio “larger than life”, non resta che affidarvi al documentario L’Arte viva di Julian Schnabel, girato un anno fa da Pappi Corsicato: un ritratto a tutto tondo che tocca la quotidianità, gli affetti e il carisma, l’apparenza ruvida e sprezzante, la tenerezza, l’urgenza creativa che trabocca su un’immensa tela nello studio di New York, le testimonianze di amici come Al Pacino, Bono, Jeff Koons, Laurie Anderson e Jean Claude Carrère, sceneggiatore di Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità.
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