Tre secoli di restauri
La Cappella degli Scrovegni a Padova
30/04/2002
Le vicende di restauro del ciclo di affreschi nella Cappella degli Scrovegni hanno una storia che prende il suo avvio tre secoli fa.
Al XVIII secolo risalgono testimonianze che parlano di ridipinture a tempera non successivamente riscontrate.
Nel 1817 crolla il portico addossato alla facciata, mentre prima del 1830 il Palazzo Scrovegni, attiguo alla Cappella, viene portato a completa demolizione. Alla metà del secolo Cavalcaselle è il primo a proporre di cementare le murature esterne per salvaguardare gli affreschi. A quella data (1857) la facciata mantiene ancora tracce di decorazione esterna.
Negli anni ’70-‘80 del XIX secolo il restauro viene affidato al pittore padovano Antonio Bertolli, non prima di aver approfondito la situazione di umidità delle pareti. “La Disputa con i dottori” e “La Salita al Calvario”, i due riquadri più deteriorati, vengono staccati e applicati su un supporto di rame per ricollocarli al loro posto dopo aver creato un’intercapedine nel muro, una soluzione per quei tempi ingegnosa e del tutto originale. Il resto delle pitture viene consolidata e pulita, ma mai reintegrata, su preciso divieto della commissione. Le lacune vengono chiuse da semplici stuccature di colore neutro.
Nel 1880 il monumento è acquistato dal Comune e cinque anni dopo gli affreschi ancora presenti sulla facciata esterna vengono eliminati, per salvaguardare la statica dell’edificio.
A metà degli anni ’30 del XX secolo si rilevano di nuovo gravi problemi conservativi per l’intera Cappella, dovuti soprattutto all’umidità e a ristagni di acqua raccoltisi nella zona sottostante all’edificio.
Il terremoto del 1936 e la Seconda Guerra Mondiale rendono l’intervento sugli affreschi meno impellente. La Cappella rimane illesa dai bombardamenti che invece non risparmiano la vicina Chiesa degli Eremitani e la celebre cappella Ove tari decorata da Mantenga..
Agli anni ’50 risale l’asportazione della polvere depositata sui dipinti di Giotto, rimozione di cui si occupa il più noto restauratore italiano dell’epoca, Mauro Pel liccioli.
Dopo quest’ultimo intervento, molto criticato, spetta all’ICR e al suo direttore Brandi assumere la responsabilità tecnica dei nuovi restauri nel 1952. La novità è l’utilizzo di prodotti sintetici fin allora sperimentati solo all’estero. Per la prima volta viene data grande importanza al contesto ambientale dal punto di vista microclimatico. Ormai i tempi sono cambiati e le decisioni in questo campo non vengono più lasciate all’iniziativa del singolo restauratore bensì ad uno staff multidisciplinare di specialisti.
Tra il 1961 ed il 1964 il ciclo grottesco è affidato a Leonetto Tintori. Migliorata la statica della Cappella, si passa a risolvere il lento e progressivo deterioramento del colore. L’ICR, privo dei macchinari adatti ad un’indagine di questo tipo, chiede la collaborazione del Centro di Conservazione dell’Istituto di Belle Arti di New York. Grazie a queste analisi si apprende che il degrado degli affreschi, visibile nel continuo polverizzarsi del colore, è dovuto all’inquinamento atmosferico piuttosto che all’umidità o ai passati restauri, come si è creduto fino ad allora. Il problema, soprattutto in un interno, è del tutto nuovo e ci sono voluti decenni prima di risolverlo completamente.
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