Guido Bartorelli: "l’arte è un gioco che sa essere anche molto serio”
L’arte è inganno. A Padova una mostra sul rapporto tra colore, movimento e percezione nell’arte
Marina Apollonio, Dinamica circolare 6Z+H, 1968, diametro 100 cm Padova, collezione dell’artista
Eleonora Zamparutti
13/10/2022
Padova - “Si può dire che l’arte inganna. Da sempre l’arte ha sfruttato l’illusione e le competenze su come influenzare, indirizzare e ingannare l’occhio. Solo disegnando un punto sullo sfondo, si crea un doppio piano che nella realtà non c’è” afferma Guido Bartorelli, professore di Storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Padova e co-curatore della mostra “L’occhio in gioco” allestita presso il Palazzo del Monte di Pietà di Padova fino al 26 febbraio 2023.
L’esposizione riprende nel titolo la famosa mostra The Responsive Eye presentata al MoMA di New York nel 1965, dedicata alle tendenze astratte dell’arte ottica e percettiva allora in voga (di quell’evento ne dà testimonianza un filmato breve, originale girato da un giovane Brian De Palma e disponibile su YouTube), e la declina in una chiave nuova, inedita.
Due sono i binari sui quali viaggia “L’occhio in gioco". Uno a taglio storico, affidato a Luca Massimo Barbero, è dedicato alle ricerche artistiche che si sono concentrate sul colore, l’ottica, il movimento, la percezione articolandosi dal XIII al XX secolo. Un percorso che abbraccia lavori che vanno da astrolabi rinascimentali fino alla contemporaneità di un Anish Kapoor.
L’altro percorso - a cura dai docenti di psicologia Giovanni Galfano, Andrea Bobbio e Massimo Grassi dell’Università di Padova insieme a Guido Bartorelli -, dischiude un magico mondo a cavallo tra arte e scienza che indaga sulle sperimentazioni condotte all’inizio degli anni Sessanta dagli artisti del Gruppo N in collaborazione con gli studiosi di psicologia della percezione di Padova.
Molla scatenante di questa grande mostra da non perdere è l’anniversario degli 800 anni dell’ateneo di Padova di cui fa parte la scuola di psicologia fondata nel 1919. Per l’occasione i professori di psicologia hanno aperto un dialogo con i colleghi di storia dell’arte per indagare come nella città veneta, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, si siano affacciati artisti che hanno messo al centro della loro ricerca il processo del vedere in sé. In quell’epoca sono stati realizzati lavori d’arte che avevano come obiettivo quello di indagare e di penetrare l’atto del vedere, come atto problematico in sé. Un obiettivo che coincideva con le ricerche portate avanti dagli psicologi dell’Ateneo patavino.
Gli anni Sessanta a Padova sono stati un periodo molto fecondo per l’arte e la ricerca scientifica…
“Il Gruppo N si forma nel 1960 e ha una vita abbastanza breve fino al 1964. L’interesse percettivo dal quale muovevano gli artisti arrivava dalla tradizione interna all’arte internazionale. Tra i loro punti di riferimento c’era il Bauhaus che nell’ultima parte della sua storia era insediato a Berlino dove c’era una scuola da dove si diffondeva la teoria della Gestalt, ossia della psicologia della percezione. Padova, come Berlino, come Graz è stata uno dei grandi centri di diffusione di queste teorie.
Ebbene i padovani, molto giovani (erano poco più che ventenni), partono all’inizio a interessarsi al vedere in sé. Poi nel ’62 si rendono conto che a Padova si stanno studiando proprio quei temi con un’autorevolezza internazionale riconosciuta.
Gli artisti padovani frequentano i laboratori di psicologia e gli psicologi iniziano a frequentare le mostre organizzate negli atelier del Gruppo N. E da lì imparano l’uno dall’altro, si assiste ad uno scambio interessantissimo. Gli artisti diventano più consapevoli di quello che fanno, affinano a un grado di grande complessità i loro mezzi nell’ottenere le illusioni ottiche o effetti di figure. Gli psicologi trovano nel lavoro degli artisti nuovi campi di ricerca.
Un caso emblematico è quello dell’effetto “moiré”: termine francese che indica un effetto ottico che si verifica in natura quando abbiamo due strutture simili che si sovrappongono su piani diversi. Si creano degli strani giochi di ombre e ricorrenze di figure che in realtà non ci sono, ma sono l’effetto del fatto che il nostro occhio non riesce a mettere a fuoco istintivamente l’uno e l’altro piano. Questo è un effetto che gli artisti del Gruppo N sfruttano molto. Dopodiché gli stessi psicologi si rendono conto che è un effetto che vale la pena di essere studiato.”
Disco base per zootropio, Wheel of life, edito da H.G. Clarke & Co., Londra 1870 Torino, Museo Nazionale del Cinema © Museo Nazionale del Cinema, Torino | Foto: © Giorgio Tovo
Quali sono gli effetti osservati dagli artisti e dagli psicologi della percezione?
“La sezione che ha come titolo “Il Gruppo N nella psicologia della percezione” inizia con un’esemplificazione degli studi scientifici che si compivano a Padova in quegli anni. Vittorio Venussi e Cesare Musatti avevano studiato l’effetto della stereocinesi, ossia del fatto che il rilievo, che l’arte in genere rendeva usando le ombre, si può ottenere anche facendo ruotare delle strutture con dei cerchi concentrici disegnati. Detto così sembra difficile da spiegare, ma è un po’ l’effetto che abbiamo quando osserviamo ad esempio una spirale che gira. Quando la vediamo girare, sembra che il centro penetri o venga verso di noi a seconda di come guardiamo. Ed è un effetto di tridimensionalità che si ottiene grazie al movimento: i cerchi sembrano piatti quando vediamo tutto da fermo e iniziano a prendere volume quando si mettono in moto. Questo è un esempio di indagine che si faceva a Padova.
Ed è interessante come lo scienziato elabori le sue figurazioni grado per grado anche per sottoporle alle persone su cui verificare l’effetto, mentre l’artista ci dia delle configurazioni estremamente complesse di grande fascino simbolico, analogico. E’ interessante vedere la differenza tra materiali di laboratorio e materiali d’artista.”
C’è anche il contributo di un filosofo alla mostra…
“La filosofa Elisa Caldarola ha scritto un articolo per il nostro catalogo prendendo di petto il problema. La domanda è: perché percepiamo di ambiti totalmente diversi immagini quasi identiche come le tavole dello scienziato che servono per i suoi esperimenti, e le immagini prodotte dall’artista? In verità si tratta di quadri identici che però hanno due vite differenti. Se posso permettermi di riassumere brutalmente, la differenza è data dallo sguardo di chi osserva. Per cui dallo scienziato ci si attende la soluzione di un qualche problema, sono lavori che si guardano per il loro fattore funzionale verso la formazione di nuove conoscenze. Dall’artista invece non si va per la soluzione finale ma si rimane incantati nel notare l’orchestrazione di forme che hanno finalità in se stesse e non nella soluzione di un problema.”
Quale approccio avete avuto nei confronti del visitatore?
“E’ stato molto importante essere cordiali verso il visitatore che magari è a digiuno di arte: ci sono dei pannelli esplicativi e un’utile audioguida. E' una mostra che richiede una certa attenzione per registrare le vibrazioni che si creano tra le forme e i colori. Allo stesso tempo è una mostra che accompagna il visitatore attraverso la storia nel definire certe situazioni di origine padovana come Gruppo N di importanza internazionale. E’ una mostra grande, bisognerebbe avere molto tempo. E’ capace di dare molto ai bambini perché c’è un livello di lettura delle opere basata su effetti percettivi divertenti, quasi un gioco. Uno dei primi giorni di apertura della mostra, ho sentito Edoardo Landi, uno dei componenti del Gruppo N (insieme Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa e Manfredo Massironi), rilasciare un’intervista in cui diceva che i loro maestri, come ad esempio Emilio Vedova, li accusavano di fare dei giochetti. E Landi diceva: “benissimo perché noi vogliamo parlare ai bambini, noi vogliamo mostrare questi lavori sul vedere a chi ha l’occhio innocente e aperto a percepire senza preconcetti”. L’arte è un gioco che sa essere anche molto serio, che sa aprire le conoscenze e portarci a un livello di profondità non scontato.”
L’esposizione riprende nel titolo la famosa mostra The Responsive Eye presentata al MoMA di New York nel 1965, dedicata alle tendenze astratte dell’arte ottica e percettiva allora in voga (di quell’evento ne dà testimonianza un filmato breve, originale girato da un giovane Brian De Palma e disponibile su YouTube), e la declina in una chiave nuova, inedita.
Due sono i binari sui quali viaggia “L’occhio in gioco". Uno a taglio storico, affidato a Luca Massimo Barbero, è dedicato alle ricerche artistiche che si sono concentrate sul colore, l’ottica, il movimento, la percezione articolandosi dal XIII al XX secolo. Un percorso che abbraccia lavori che vanno da astrolabi rinascimentali fino alla contemporaneità di un Anish Kapoor.
L’altro percorso - a cura dai docenti di psicologia Giovanni Galfano, Andrea Bobbio e Massimo Grassi dell’Università di Padova insieme a Guido Bartorelli -, dischiude un magico mondo a cavallo tra arte e scienza che indaga sulle sperimentazioni condotte all’inizio degli anni Sessanta dagli artisti del Gruppo N in collaborazione con gli studiosi di psicologia della percezione di Padova.
Molla scatenante di questa grande mostra da non perdere è l’anniversario degli 800 anni dell’ateneo di Padova di cui fa parte la scuola di psicologia fondata nel 1919. Per l’occasione i professori di psicologia hanno aperto un dialogo con i colleghi di storia dell’arte per indagare come nella città veneta, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, si siano affacciati artisti che hanno messo al centro della loro ricerca il processo del vedere in sé. In quell’epoca sono stati realizzati lavori d’arte che avevano come obiettivo quello di indagare e di penetrare l’atto del vedere, come atto problematico in sé. Un obiettivo che coincideva con le ricerche portate avanti dagli psicologi dell’Ateneo patavino.
Gli anni Sessanta a Padova sono stati un periodo molto fecondo per l’arte e la ricerca scientifica…
“Il Gruppo N si forma nel 1960 e ha una vita abbastanza breve fino al 1964. L’interesse percettivo dal quale muovevano gli artisti arrivava dalla tradizione interna all’arte internazionale. Tra i loro punti di riferimento c’era il Bauhaus che nell’ultima parte della sua storia era insediato a Berlino dove c’era una scuola da dove si diffondeva la teoria della Gestalt, ossia della psicologia della percezione. Padova, come Berlino, come Graz è stata uno dei grandi centri di diffusione di queste teorie.
Ebbene i padovani, molto giovani (erano poco più che ventenni), partono all’inizio a interessarsi al vedere in sé. Poi nel ’62 si rendono conto che a Padova si stanno studiando proprio quei temi con un’autorevolezza internazionale riconosciuta.
Gli artisti padovani frequentano i laboratori di psicologia e gli psicologi iniziano a frequentare le mostre organizzate negli atelier del Gruppo N. E da lì imparano l’uno dall’altro, si assiste ad uno scambio interessantissimo. Gli artisti diventano più consapevoli di quello che fanno, affinano a un grado di grande complessità i loro mezzi nell’ottenere le illusioni ottiche o effetti di figure. Gli psicologi trovano nel lavoro degli artisti nuovi campi di ricerca.
Un caso emblematico è quello dell’effetto “moiré”: termine francese che indica un effetto ottico che si verifica in natura quando abbiamo due strutture simili che si sovrappongono su piani diversi. Si creano degli strani giochi di ombre e ricorrenze di figure che in realtà non ci sono, ma sono l’effetto del fatto che il nostro occhio non riesce a mettere a fuoco istintivamente l’uno e l’altro piano. Questo è un effetto che gli artisti del Gruppo N sfruttano molto. Dopodiché gli stessi psicologi si rendono conto che è un effetto che vale la pena di essere studiato.”
Disco base per zootropio, Wheel of life, edito da H.G. Clarke & Co., Londra 1870 Torino, Museo Nazionale del Cinema © Museo Nazionale del Cinema, Torino | Foto: © Giorgio Tovo
Quali sono gli effetti osservati dagli artisti e dagli psicologi della percezione?
“La sezione che ha come titolo “Il Gruppo N nella psicologia della percezione” inizia con un’esemplificazione degli studi scientifici che si compivano a Padova in quegli anni. Vittorio Venussi e Cesare Musatti avevano studiato l’effetto della stereocinesi, ossia del fatto che il rilievo, che l’arte in genere rendeva usando le ombre, si può ottenere anche facendo ruotare delle strutture con dei cerchi concentrici disegnati. Detto così sembra difficile da spiegare, ma è un po’ l’effetto che abbiamo quando osserviamo ad esempio una spirale che gira. Quando la vediamo girare, sembra che il centro penetri o venga verso di noi a seconda di come guardiamo. Ed è un effetto di tridimensionalità che si ottiene grazie al movimento: i cerchi sembrano piatti quando vediamo tutto da fermo e iniziano a prendere volume quando si mettono in moto. Questo è un esempio di indagine che si faceva a Padova.
Ed è interessante come lo scienziato elabori le sue figurazioni grado per grado anche per sottoporle alle persone su cui verificare l’effetto, mentre l’artista ci dia delle configurazioni estremamente complesse di grande fascino simbolico, analogico. E’ interessante vedere la differenza tra materiali di laboratorio e materiali d’artista.”
C’è anche il contributo di un filosofo alla mostra…
“La filosofa Elisa Caldarola ha scritto un articolo per il nostro catalogo prendendo di petto il problema. La domanda è: perché percepiamo di ambiti totalmente diversi immagini quasi identiche come le tavole dello scienziato che servono per i suoi esperimenti, e le immagini prodotte dall’artista? In verità si tratta di quadri identici che però hanno due vite differenti. Se posso permettermi di riassumere brutalmente, la differenza è data dallo sguardo di chi osserva. Per cui dallo scienziato ci si attende la soluzione di un qualche problema, sono lavori che si guardano per il loro fattore funzionale verso la formazione di nuove conoscenze. Dall’artista invece non si va per la soluzione finale ma si rimane incantati nel notare l’orchestrazione di forme che hanno finalità in se stesse e non nella soluzione di un problema.”
Quale approccio avete avuto nei confronti del visitatore?
“E’ stato molto importante essere cordiali verso il visitatore che magari è a digiuno di arte: ci sono dei pannelli esplicativi e un’utile audioguida. E' una mostra che richiede una certa attenzione per registrare le vibrazioni che si creano tra le forme e i colori. Allo stesso tempo è una mostra che accompagna il visitatore attraverso la storia nel definire certe situazioni di origine padovana come Gruppo N di importanza internazionale. E’ una mostra grande, bisognerebbe avere molto tempo. E’ capace di dare molto ai bambini perché c’è un livello di lettura delle opere basata su effetti percettivi divertenti, quasi un gioco. Uno dei primi giorni di apertura della mostra, ho sentito Edoardo Landi, uno dei componenti del Gruppo N (insieme Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa e Manfredo Massironi), rilasciare un’intervista in cui diceva che i loro maestri, come ad esempio Emilio Vedova, li accusavano di fare dei giochetti. E Landi diceva: “benissimo perché noi vogliamo parlare ai bambini, noi vogliamo mostrare questi lavori sul vedere a chi ha l’occhio innocente e aperto a percepire senza preconcetti”. L’arte è un gioco che sa essere anche molto serio, che sa aprire le conoscenze e portarci a un livello di profondità non scontato.”
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