In mostra fino al 21 settembre

Al Museo di Roma in Trastevere l'omaggio a Tina Modotti, fotografa e militante

Tina Modotti, Tehuanas con cesti sulla testa, 1929
 

Samantha De Martin

14/05/2025

Roma - Dalla "sua" Udine a Città del Messico, passando per Los Angeles, San Francisco, Berlino, Vienna, Mosca, Parigi, Madrid, Tehuantepec, tra donne che lavano i panni nel fiume, fiere e cariche di amore, in soli 45 anni, Tina Modotti ha vissuto pienamente tante vite.
Pablo Neruda la chiamava “sorella”. Ed è soprattutto per questo particolare legame con la fotografa militante che il poeta provò un forte dolore (seguito da indignazione) quando, il 5 gennaio 1942, Tina, colta da malore, si spense per un infarto, a bordo di un taxi che la stava riportando a casa dopo una serata trascorsa a casa dell’architetto tedesco Hannes Meyer in compagnia del suo ultimo compagno, Vittorio Vidali, e di altri profughi spagnoli che avevano combattuto durante la Guerra civile di Spagna contro il Franchismo.
Una morte avvolta da circostanze poco chiare. Da qui l’indignazione di Neruda dopo che l’opinione pubblica aveva tirato in ballo l’omicidio di Julio Mella, avvenuto dodici anni prima, nel quale Tina fu accusata di essere complice.
Le maldicenze attribuirono la scomparsa di Modotti a un delitto politico messo in atto dal compagno della fotografa che, di ritorno dalla Spagna, non volle più saperne di quel Partito Comunista al quale fu devota per un’intera vita. Fu eliminata come donna che vide e seppe molte cose?
C’è tanta vita (accanto agli scatti della fragile e ferrea Modotti) racchiusa nella mostra Tina Modotti, Donna, Fotografa, Militante. Una vita fra due Mondi, al Museo di Roma in Trastevere fino al 21 settembre, percorso espositivo promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, a cura dell’associazione Storia e Memoria Aps di Albano Laziale, in collaborazione con la Segreteria di Cultura del Governo del Messico, l’archivio della Fototeca Nazionale dell’INAH.


Tina Modotti, Calle, 1924

Circa 60 tra fotografie, lettere, testi, documenti e articoli invitano i visitatori a ripercorrere la vita e l’opera della fotografa, attrice e attivista politica italo-americana, figura di raccordo tra la cultura italiana e quella messicana. I suoi lavori raccontano il percorso, l’integrazione, il vincolo sentimentale e artistico con gli ambienti culturali dell’epoca e la radicalizzazione nel Partito Comunista Messicano, fino alle ultime foto scattate durante l’esilio di Berlino, nel 1930. I documenti contribuiscono a illustrare le vicende umane e politiche dell’ultima fase, quale componente del Partito Comunista, nonché dirigente delle Brigate Internazionali del Soccorso Rosso.
Ed eccola con la bandiera o in compagnia delle Tehuane, donne zapoteche, figure quasi mitologiche, organizzate in una forma di matriarcato, praticando l’amore libero e seguendo la religione solo nei giorni di festa.
Nelle fotografie che le ritraggono, uniche nel loro genere, a comporre un interessante reportage sociale, Tina ne coglie con umiltà e realismo la fierezza composta. Sono le sue ultime foto scattate in Messico, prima dell’espulsione dovuta alla sua fotografia rivoluzionaria.


Tina Modotti, Bimbo e un giovane contadino, 1927

Era emigrata negli Stati Uniti da giovane, Tina. Aveva lavorato in una fabbrica tessile prima di trasferirsi a San Francisco dove aveva intrapreso una breve esperienza nel teatro e nel cinema. Qui l’incontro con il fotografo Edward Weston, divenuto suo compagno e mentore. Nel 1923 l'arrivo in Messico, a contatto con l'ambiente artistico e politico dopo la rivoluzione.
I suoi scatti, che spaziano da nature morte a ritratti di lavoratori e attivisti, rispecchiano il crescente impegno comunista. Amica di Diego Rivera, Frida Kahlo e Siqueiros, aderì al Partito Comunista Messicano nel 1927, partecipando nove anni dopo alla Guerra Civile Spagnola con le Brigate Internazionali, operando come infermiera e propagandista.
Dopo la sconfitta dei repubblicani, rientrò in Messico sotto falsa identità. La sua produzione fotografica, rivalutata solo postuma, la consacra oggi come pioniera della fotografia sociale e voce autentica dell’impegno politico attraverso l’arte.