A Roma dal 6 maggio al 30 luglio Losing control
Al Pastificio Cerere la riflessione di Giulio Bensasson tra illusione e vanitas
Giulio Bensasson, Non so dove, non so quando, diapositiva d'archivio, 2016, 515 | Courtesy dell'artista
Samantha De Martin
20/04/2021
Roma - L’odore del talco cede alle penetranti sollecitazioni sonore che avvolgono il visitatore rimbombando nel vuoto della sua cassa toracica.
Che cos’è il controllo? Forse un muro bianchissimo di piastrelle maniacalmente pulite, che, pur evocando un rassicurante senso di staticità e pulizia, svelano presto la loro essenza surreale ed illusoria?
Negli spazi del silos del Pastificio Cerere, l’antica fabbrica del quartiere San Lorenzo che ha rifornito la capitale di pasta e farina fino al 1960, e ancora nel sotterraneo del mulino, Giulio Bensasson riflette sul tema del controllo e sulle conseguenze generate dalla sua perdita.
Con Losing Control, a cura di Francesca Ceccherini, in programma al Pastificio Cerere dal 6 maggio al 30 luglio, l’artista romano, classe 1990, costruisce un percorso attraverso due installazioni site specific, esito di una ricerca avviata nel 2019 e rivelatasi profetica alla luce della pandemia.
Spazio Molini, Pastificio Cerere
“Ogni contesto della vita umana - da quello sociale e politico, a quello educativo e religioso - è connotato dalla ricerca del controllo, elemento alla base della generazione di confini, reali o immaginari, e di fenomeni come l’ossessione e l’illusione, che rendono illeggibile o distorto l’esistente nella sua spontanea condizione” spiega l’artista.
Con Losing Control #1, il primo intervento, pensato per il sotterraneo Spazio Molini, Bensasson pone al pubblico la domanda su cosa sia il controllo, lasciandolo libero di fornire una risposta che viene via via smentita nel corso della mostra. Incursioni dell’artista, elementi di disturbo sempre più evidenti, come le mosche, emblema della vanitas, tessono un percorso percettivo dedicato alle forme ossessive di cancellazione.
L’idea del “pulire, detergere, coprire” come eliminazione del memento mori prende forma in tre volumi scultorei, testimoni di un movimento costante e inesorabile di deterioramento. In questo gioco di opposizioni formali e simboliche, l’inserimento di un’intsllazione sonora progettata con Filippo Lilli, e di una scultura olfattiva che sprigiona un profumo di pulito estraneo allo spazio fatiscente, accresce nel visitatore l’effetto di repulsione/attrazione suscitata dal luogo.
Anche la colonna di mattonelle, che non appartiene all’edificio originale ma che viene posta dall’artista e avvolta da uno sciame di rumore disturbante per sparire verso l’alto, genera un senso di vuoto incontrollato.
Giulio Bensasson, Non so dove, non so quando, diapositiva d'archivio 2016 #28 | Courtesy dell'artista
È tuttavia nel silos che Bensasson, attraverso l’installazione Losing Control #2, rende evidente la sua riposta al quesito iniziale. Si esce dagli spazi fatiscenti del mulino per immergersi nel bianco splendente delle pareti del whitecube che caratterizzano l’ex magazzino del grano. Qui una fotografia, un grande light box e piccole diapositive illuminate attraverso visori vintage introducono ai concetti di tempo e bellezza secondo l’artista. Si tratta di vecchie diapositive ritrovate presso lo studio romano di Baldo Diodato dove Giulio ha lavorato tra il 2012 e il 2015 come assistente.
Le immagini, che in origine catturavano un momento preciso e una memoria personale di persone qualunque in posti qualunque, che l'artista disconosce, sono oggi l’esito del lavoro incessante di muffe e funghi che hanno sciolto nel colore ogni rappresentazione. Su queste immagini, dove episodi di vita quotidiana si sfilacciano lasciando spazio all’immaginazione, è il tempo ad avere assunto ogni controllo, originando un processo di decomposizione spontanea che deforma l’immagine originale.
Lo spettatore è invitato a osservare nuovi paesaggi di colore, forme astratte e organiche, universi fluorescenti che ricordano le tele astratte di Klimt. Assomigliano a vanitas del tempo presente, a nature morte riesumate dalla storia recente a cui viene offerta una seconda vita post mortem.
Se in Losing Control #1 il pubblico ha riconosciuto i meccanismi psicotici, propri della società occidentale, legati al desiderio ossessivo di controllare, che induce a rimuovere ogni traccia di caducità dalla propria esistenza, in Losing Control #2 la perdita del controllo, dovuta al tempo, è divenuta un processo generativo. Un processo che distrugge eppure crea, cancellando, e insieme dando vita, a nuovi paesaggi di senso.
Ingresso esclusivamente con prenotazione sul sito del Pastificio Cerere.
Giulio Bensasson, Non so dove, non so quando, Dettaglio dell'installazione 2021 | Courtesy dell'artista
Leggi anche:
• Giulio Bensasson. Losing control
Che cos’è il controllo? Forse un muro bianchissimo di piastrelle maniacalmente pulite, che, pur evocando un rassicurante senso di staticità e pulizia, svelano presto la loro essenza surreale ed illusoria?
Negli spazi del silos del Pastificio Cerere, l’antica fabbrica del quartiere San Lorenzo che ha rifornito la capitale di pasta e farina fino al 1960, e ancora nel sotterraneo del mulino, Giulio Bensasson riflette sul tema del controllo e sulle conseguenze generate dalla sua perdita.
Con Losing Control, a cura di Francesca Ceccherini, in programma al Pastificio Cerere dal 6 maggio al 30 luglio, l’artista romano, classe 1990, costruisce un percorso attraverso due installazioni site specific, esito di una ricerca avviata nel 2019 e rivelatasi profetica alla luce della pandemia.
Spazio Molini, Pastificio Cerere
“Ogni contesto della vita umana - da quello sociale e politico, a quello educativo e religioso - è connotato dalla ricerca del controllo, elemento alla base della generazione di confini, reali o immaginari, e di fenomeni come l’ossessione e l’illusione, che rendono illeggibile o distorto l’esistente nella sua spontanea condizione” spiega l’artista.
Con Losing Control #1, il primo intervento, pensato per il sotterraneo Spazio Molini, Bensasson pone al pubblico la domanda su cosa sia il controllo, lasciandolo libero di fornire una risposta che viene via via smentita nel corso della mostra. Incursioni dell’artista, elementi di disturbo sempre più evidenti, come le mosche, emblema della vanitas, tessono un percorso percettivo dedicato alle forme ossessive di cancellazione.
L’idea del “pulire, detergere, coprire” come eliminazione del memento mori prende forma in tre volumi scultorei, testimoni di un movimento costante e inesorabile di deterioramento. In questo gioco di opposizioni formali e simboliche, l’inserimento di un’intsllazione sonora progettata con Filippo Lilli, e di una scultura olfattiva che sprigiona un profumo di pulito estraneo allo spazio fatiscente, accresce nel visitatore l’effetto di repulsione/attrazione suscitata dal luogo.
Anche la colonna di mattonelle, che non appartiene all’edificio originale ma che viene posta dall’artista e avvolta da uno sciame di rumore disturbante per sparire verso l’alto, genera un senso di vuoto incontrollato.
Giulio Bensasson, Non so dove, non so quando, diapositiva d'archivio 2016 #28 | Courtesy dell'artista
È tuttavia nel silos che Bensasson, attraverso l’installazione Losing Control #2, rende evidente la sua riposta al quesito iniziale. Si esce dagli spazi fatiscenti del mulino per immergersi nel bianco splendente delle pareti del whitecube che caratterizzano l’ex magazzino del grano. Qui una fotografia, un grande light box e piccole diapositive illuminate attraverso visori vintage introducono ai concetti di tempo e bellezza secondo l’artista. Si tratta di vecchie diapositive ritrovate presso lo studio romano di Baldo Diodato dove Giulio ha lavorato tra il 2012 e il 2015 come assistente.
Le immagini, che in origine catturavano un momento preciso e una memoria personale di persone qualunque in posti qualunque, che l'artista disconosce, sono oggi l’esito del lavoro incessante di muffe e funghi che hanno sciolto nel colore ogni rappresentazione. Su queste immagini, dove episodi di vita quotidiana si sfilacciano lasciando spazio all’immaginazione, è il tempo ad avere assunto ogni controllo, originando un processo di decomposizione spontanea che deforma l’immagine originale.
Lo spettatore è invitato a osservare nuovi paesaggi di colore, forme astratte e organiche, universi fluorescenti che ricordano le tele astratte di Klimt. Assomigliano a vanitas del tempo presente, a nature morte riesumate dalla storia recente a cui viene offerta una seconda vita post mortem.
Se in Losing Control #1 il pubblico ha riconosciuto i meccanismi psicotici, propri della società occidentale, legati al desiderio ossessivo di controllare, che induce a rimuovere ogni traccia di caducità dalla propria esistenza, in Losing Control #2 la perdita del controllo, dovuta al tempo, è divenuta un processo generativo. Un processo che distrugge eppure crea, cancellando, e insieme dando vita, a nuovi paesaggi di senso.
Ingresso esclusivamente con prenotazione sul sito del Pastificio Cerere.
Giulio Bensasson, Non so dove, non so quando, Dettaglio dell'installazione 2021 | Courtesy dell'artista
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