Dal 20 ottobre all’11 febbraio a Palazzo Barberini
Bizzarre Allegorie: a Roma l’arte di Arcimboldo
Giuseppe Arcimboldo, Primavera, 1573. Olio su tavola, cm 66,7x50,4. Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
Francesca Grego
16/10/2017
Roma - Arriva per la prima volta nella Capitale la rara e preziosa arte di Arcimboldo: 20 capolavori, tra disegni e dipinti, celebreranno l’estro dell’autore delle “teste composte” a Palazzo Barberini dal 20 ottobre all’11 febbraio.
Ad arricchire la mostra di confronti e rimandi sono copie, imitazioni, opere di colleghi e contemporanei, ma anche oggetti curiosi provenienti dalle wunderkammer della dinastia asburgica, per un totale di circa un centinaio di pezzi esposti.
Un’occasione non comune, vista la difficoltà di ottenere prestiti dei dipinti di Arcimboldo, resa ancor più interessante dalla direzione curatoriale di Sylvia Ferino-Pagden, tra le maggiori studiose dell’artista, nonché ex direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna, che ne conserva lavori fondamentali.
Provengono da Basilea, Stoccolma, Vienna, Denver, Houston, Monaco di Baviera, oltre che da prestigiose collezioni italiane, le composizioni di frutta, fiori, ortaggi o oggetti che strappano un sorriso ingannando l’occhio con stupefacenti illusioni.
In mostra notissimi capolavori come le serie delle Stagioni e degli Elementi, dipinti per i regnanti della Casa Reale d’Asburgo, L’Ortolano, Il Giurista e Il Cuoco, ma anche arazzi, ritratti e le vetrate realizzate per il Duomo di Milano, insieme ai preziosi disegni acquerellati per le feste della corte austro-ungarica, di cui l’artista fu vulcanico regista, costumista e scenografo.
E poi curiosi oggetti provenienti dalle wunderkammer imperiali, alla cui formazione Arcimboldo contribuì come artista e come consigliere, segnalando a Massimiliano II e Rodolfo II le più ardite meraviglie da acquistare.
Furono proprio i lunghi soggiorni a Vienna e a Praga, infatti, a regalare le maggiori soddisfazioni al pittore lombardo, al punto da meritargli il prestigioso titolo di Conte Palatino.
Se le sue composizioni conquistano per lo spirito giocoso, la figura di Arcimboldo è avvolta da un alone esoterico: pittore, poeta, filosofo, era iniziato ai misteri della cabala e dell’alchimia, oltre che legato agli ambienti del Neoplatonismo caratteristici di certa cultura dell’epoca.
Nei suoi lavori nulla è come sembra: a volte basta capovolgere il dipinto per accedere a una realtà prima invisibile (il cesto di frutti o ortaggi che si trasforma in un volto), in altri casi l’artista invita l’occhio dei sapienti a decifrare simboli e allegorie rivelatrici di complesse corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo.
La sua pittura brillantemente materiale canta dunque l’immaterialità dell’universo, aggiungendo elementi nuovi al filone cinquecentesco del “buffo” inaugurato dalle caricature di Leonardo e alla tradizione più antica delle grottesche, cui pure si ispira.
Dimenticato per lunghi secoli, Arcimboldo fu riscoperto nei primi decenni del Novecento da Dadaisti e Surrealisti, che lo apprezzarono per la vena ludica, il gusto per il mimetismo animale e vegetale, nonché per i rimandi della sua arte a realtà invisibili, pur non comprendendone appieno il simbolismo.
Oggi la potenza visiva delle sue creazioni si commenta da sé: oltre il Manierismo cinquecentesco, oltre le avanguardie del Novecento, i capolavori di Arcimboldo veleggiano nel regno eterno delle icone, dove ogni spiegazione è superflua.
Leggi anche:
• Il doppio volto di Flora secondo Arcimboldo
• La vita di Giuseppe Arcimboldo
• FOTO: Il fascino alchemico di Arcimboldo
Ad arricchire la mostra di confronti e rimandi sono copie, imitazioni, opere di colleghi e contemporanei, ma anche oggetti curiosi provenienti dalle wunderkammer della dinastia asburgica, per un totale di circa un centinaio di pezzi esposti.
Un’occasione non comune, vista la difficoltà di ottenere prestiti dei dipinti di Arcimboldo, resa ancor più interessante dalla direzione curatoriale di Sylvia Ferino-Pagden, tra le maggiori studiose dell’artista, nonché ex direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna, che ne conserva lavori fondamentali.
Provengono da Basilea, Stoccolma, Vienna, Denver, Houston, Monaco di Baviera, oltre che da prestigiose collezioni italiane, le composizioni di frutta, fiori, ortaggi o oggetti che strappano un sorriso ingannando l’occhio con stupefacenti illusioni.
In mostra notissimi capolavori come le serie delle Stagioni e degli Elementi, dipinti per i regnanti della Casa Reale d’Asburgo, L’Ortolano, Il Giurista e Il Cuoco, ma anche arazzi, ritratti e le vetrate realizzate per il Duomo di Milano, insieme ai preziosi disegni acquerellati per le feste della corte austro-ungarica, di cui l’artista fu vulcanico regista, costumista e scenografo.
E poi curiosi oggetti provenienti dalle wunderkammer imperiali, alla cui formazione Arcimboldo contribuì come artista e come consigliere, segnalando a Massimiliano II e Rodolfo II le più ardite meraviglie da acquistare.
Furono proprio i lunghi soggiorni a Vienna e a Praga, infatti, a regalare le maggiori soddisfazioni al pittore lombardo, al punto da meritargli il prestigioso titolo di Conte Palatino.
Se le sue composizioni conquistano per lo spirito giocoso, la figura di Arcimboldo è avvolta da un alone esoterico: pittore, poeta, filosofo, era iniziato ai misteri della cabala e dell’alchimia, oltre che legato agli ambienti del Neoplatonismo caratteristici di certa cultura dell’epoca.
Nei suoi lavori nulla è come sembra: a volte basta capovolgere il dipinto per accedere a una realtà prima invisibile (il cesto di frutti o ortaggi che si trasforma in un volto), in altri casi l’artista invita l’occhio dei sapienti a decifrare simboli e allegorie rivelatrici di complesse corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo.
La sua pittura brillantemente materiale canta dunque l’immaterialità dell’universo, aggiungendo elementi nuovi al filone cinquecentesco del “buffo” inaugurato dalle caricature di Leonardo e alla tradizione più antica delle grottesche, cui pure si ispira.
Dimenticato per lunghi secoli, Arcimboldo fu riscoperto nei primi decenni del Novecento da Dadaisti e Surrealisti, che lo apprezzarono per la vena ludica, il gusto per il mimetismo animale e vegetale, nonché per i rimandi della sua arte a realtà invisibili, pur non comprendendone appieno il simbolismo.
Oggi la potenza visiva delle sue creazioni si commenta da sé: oltre il Manierismo cinquecentesco, oltre le avanguardie del Novecento, i capolavori di Arcimboldo veleggiano nel regno eterno delle icone, dove ogni spiegazione è superflua.
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