Foto, video e installazioni per un omicidio che sconvolse il mondo
La cronaca dell'assassinio annunciato di Rabin al MaXXI
Rabin, the Last Days, Amos Gita
Ludovica Sanfelice
11/03/2016
Roma - La morte di Rabin, l'amputazione delle speranze
La sera del 4 novembre del 1995 a Tel Aviv, alle 21:30, un colono ebreo estremista di nome Ygal Amir, nascosto nella folla di una manifestazione in Piazza dei Re d'Israele, esplose tre colpi di pistola contro il premier Yitzhak Rabin ponendo fine alla sua vita e arrestando insieme il respiro del processo di pace avviato dal suo governo con gli storici accordi di Oslo.
Sono passati vent'anni da quegli spari alla schiena di una possibile convivenza pacifica tra Israele e Palestina, e a quell'omicidio politico sono seguiti la vittoria democratica del rivale Netanyahu e l'accantonamento del processo, per quanto imperfetto fosse.
La trilogia di Amos Gitai
Il regista Amos Gitai esplora il trauma che quel delitto provocò con gli strumenti di cui dispone, vale a dire l'arte e l'impegno civile, e dopo aver presentato a Venezia il film "Rabin, the last days", mette a fuoco un programma più ampio che avrà la struttura di una trilogia verticale. Il film, una mostra e infine uno spettacolo teatrale.
Siamo al secondo dei tre capitoli. Debutta così al MaXXI di Roma "Chronicle of an assassination foretold", rassegna curata da Hou Hanru con Anne Palopoli, aperta fino al prossimo 5 giugno, e allestita nell'ambito del programma di ricerca che il museo sta portando avanti con il suo osservatorio puntato sul bacino Mediterraneo e sul Medioriente, "perché - come dichiara il presidente Giovanna Melandri - anche attraverso l'arte si può capire il mondo in cui viviamo e perfino le relazioni internazionali che lo attraversano e ancora una volta l'espressione artistica può essere strumento di diplomazia culturale".
L'esposizione
Cinque proiezioni - le manifestazioni anti Rabin a Gerusalemme del 1994 e 1995, la manifestazione per la pace a Tel Aviv nel 1995 e tre filmati dell'uccisione di Rabin - introducono lo spettatore nel teatro di conflitti politici e sociali in cui si realizzò l'amputazione brutale delle speranze del Medio Oriente. Perchè agli occhi di Gitai e non solo quell'omicidio significò perdita e divisione.
Per questo la sala che ospita i frutti della riflessione e le proteste dell'artista è separata diagonalmente in due da un muro "che è lo stesso che si può rintracciare nella storia di Israele, dove da una parte troviamo le dimostrazioni di pace, dall'altra le manifestazioni contro Rabin", spiega Gitai. Le scissioni di un paese amato con il quale non sempre è d'accordo, sono al centro anche delle installazioni - una scultura, una proiezione, tre collage e le fotografie dell'assasinio - che suggeriscono il sovrapporsi, il ripetersi e il riverberarsi della memoria nella complessa realtà presente.
L'eco dell'esposizione esce inoltre dalla sala per risuonare in altri spazi del museo attraverso la diffusione di tre tracce sonore: il suono degli spari dell'assassino tratto dal film "Rabin, the last days", Jeanne Moreau che legge The war of the sons of the lights against the sons of the darkness tratto da "La guerra giudaica" di Flavio Giuseppe, e Hanna Schygulla in "Metamorphosis of a melody" di Amos Gitai che canta Yet each man kills the things he loves da "La ballata del carcere di Reading" di Oscar Wilde con musica di Markus and Simon Stockhausen.
Consulta anche:
Il MaXXI accende i motori: 17 mostre nel 2016
La sera del 4 novembre del 1995 a Tel Aviv, alle 21:30, un colono ebreo estremista di nome Ygal Amir, nascosto nella folla di una manifestazione in Piazza dei Re d'Israele, esplose tre colpi di pistola contro il premier Yitzhak Rabin ponendo fine alla sua vita e arrestando insieme il respiro del processo di pace avviato dal suo governo con gli storici accordi di Oslo.
Sono passati vent'anni da quegli spari alla schiena di una possibile convivenza pacifica tra Israele e Palestina, e a quell'omicidio politico sono seguiti la vittoria democratica del rivale Netanyahu e l'accantonamento del processo, per quanto imperfetto fosse.
La trilogia di Amos Gitai
Il regista Amos Gitai esplora il trauma che quel delitto provocò con gli strumenti di cui dispone, vale a dire l'arte e l'impegno civile, e dopo aver presentato a Venezia il film "Rabin, the last days", mette a fuoco un programma più ampio che avrà la struttura di una trilogia verticale. Il film, una mostra e infine uno spettacolo teatrale.
Siamo al secondo dei tre capitoli. Debutta così al MaXXI di Roma "Chronicle of an assassination foretold", rassegna curata da Hou Hanru con Anne Palopoli, aperta fino al prossimo 5 giugno, e allestita nell'ambito del programma di ricerca che il museo sta portando avanti con il suo osservatorio puntato sul bacino Mediterraneo e sul Medioriente, "perché - come dichiara il presidente Giovanna Melandri - anche attraverso l'arte si può capire il mondo in cui viviamo e perfino le relazioni internazionali che lo attraversano e ancora una volta l'espressione artistica può essere strumento di diplomazia culturale".
L'esposizione
Cinque proiezioni - le manifestazioni anti Rabin a Gerusalemme del 1994 e 1995, la manifestazione per la pace a Tel Aviv nel 1995 e tre filmati dell'uccisione di Rabin - introducono lo spettatore nel teatro di conflitti politici e sociali in cui si realizzò l'amputazione brutale delle speranze del Medio Oriente. Perchè agli occhi di Gitai e non solo quell'omicidio significò perdita e divisione.
Per questo la sala che ospita i frutti della riflessione e le proteste dell'artista è separata diagonalmente in due da un muro "che è lo stesso che si può rintracciare nella storia di Israele, dove da una parte troviamo le dimostrazioni di pace, dall'altra le manifestazioni contro Rabin", spiega Gitai. Le scissioni di un paese amato con il quale non sempre è d'accordo, sono al centro anche delle installazioni - una scultura, una proiezione, tre collage e le fotografie dell'assasinio - che suggeriscono il sovrapporsi, il ripetersi e il riverberarsi della memoria nella complessa realtà presente.
L'eco dell'esposizione esce inoltre dalla sala per risuonare in altri spazi del museo attraverso la diffusione di tre tracce sonore: il suono degli spari dell'assassino tratto dal film "Rabin, the last days", Jeanne Moreau che legge The war of the sons of the lights against the sons of the darkness tratto da "La guerra giudaica" di Flavio Giuseppe, e Hanna Schygulla in "Metamorphosis of a melody" di Amos Gitai che canta Yet each man kills the things he loves da "La ballata del carcere di Reading" di Oscar Wilde con musica di Markus and Simon Stockhausen.
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