Un'opera in quattro volumi per mappare opere e cicli dal Medioevo al XVIII secolo.

Sant'Agostino nella storia delle arti figurative

Giusto di Gand, Sant'Agostino, 1474 circa. Parigi, Museo del Louvre
 

Ludovica Sanfelice

24/07/2015

Roma - Sant’Agostino, Padre, Dottore e Santo della Chiesa Cattolica oltre che sommo pensatore del primo millennio, ha esercitato un ruolo nelle arti figurative che a volerne calcolare il peso ci vorrebbero almeno quattro volumi. Letteralmente. Lo prova la collana “Iconografia Agostiniana” curata da Alessandro Cosma e Gianni Pittiglio, storici dell’arte, specializzati in iconografia e iconologia che insieme hanno messo ordine in un patrimonio sterminato di testimonianze succedutesi nei secoli.

Dalla prima raffigurazione conosciuta - tradizionalmente individuata nel Patriarchio Lateranense sottostante il Sancta Sanctorum - l’effigie del Santo Vescovo di Ippona irraggia diverse epoche ben oltre il suo tempo, spingendosi fino al XVIII secolo e interessando anche i nostri giorni con nuove scoperte.

La ricognizione dei due studiosi ne ripercorre con metodo lo sviluppo complessivo utilizzando come strumenti scientifici l’osservazione dei dettagli e la contestualizzazione storica che fanno dell’iconografia il sistema più utile a risolvere i dubbi sulle identificazioni. Dubbi che la committenza, gli attributi dei personaggi e talvolta anche la loro età posso contribuire a dirimere. A tal proposito Pittiglio cita l’esempio del Sant’Agostino di Antonello da Messina, ammesso nel repertorio perchè universalmente identificato come tale, ma in realtà frutto di un’identificazione affrettata che non tiene conto della barba bianca, riferibile normalmente a sant’Ambrogio. Quest’ultimo infatti fu proprio colui che nella notte di Pasqua del 387 battezzò l’allievo Agostino appena convertito al Cristianesimo: un elemento biografico ovvio ma spesso ignorato dagli storici dell’arte.

Affidandosi ad una mappatura geografica delle opere e dei cicli, la compilazione dei due studiosi offre un’incredibile panoramica sulla storia e sull’arte che racconta come il Doctor Gratiae abbia attraversato i secoli, aggiornando la propria immagine in un ventaglio di riflessi. “Se i primi esempi noti ci presentano la figura del santo vestito come un filosofo antico con la tunica” spiega Gianni Pittiglio, “l’immagine che si diffuse successivamente fu controllata dagli ordini che obbedivano alla sua regola e che commissionarono la sua rappresentazione, piegandone la foggia alle esigenze confessionali e ai significati di cui le opere dovevano farsi messaggere. Soprattutto tra gli eremitani e i canonici regolari, i due ordini che consideravano Agostino come proprio fondatore, nacque una vera e propria lotta per immagini finalizzata a legare il santo alla propria comunità facendolo anacronisticamente rappresentare con la propria veste. Il culmine più esemplare di questa originale disputa si trova nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro, a Pavia, dove sono conservate le spoglie del santo e dove le espressioni dei due ordini si incontrano ‘in battaglia’”.

Il piano dell’opera completa dell’“Iconografia Agostiniana”, che si concluderà con l’analisi delle opere del Settecento, si divide in quattro volumi, per un totale di sette tomi. La pubblicazione appena uscita (ed. Città Nuova, giugno 2015) è quella relativa al Quattrocento e fotografa un’ulteriore evoluzione nella rappresentazione del Santo con innovative soluzioni iconografiche che lo caratterizzeranno nei secoli a venire. Nei due tomi si incontrano grandi nomi della storia dell’arte: da Brunelleschi a Piero della Francesca, da Filippo Lippi a Sandro Botticelli, da Giovanni Bellini a Beato Angelico, da Perugino a Pinturicchio, fino ai cicli dipinti da Benozzo Gozzoli, Jaume Huguet e Michael Pacher, e alle particolarissime miniature della Historia Augustini, con un’ipertrofica vita di Agostino costituita da ben 124 episodi.

Quanto l’opera avviata dagli studiosi sia preziosa e contribuisca a colmare un vuoto lo racconta anche diversamente un episodio recente, relativo al caso del Sant’Agostino appartenuto alla collezione Giustiniani e attribuito a Caravaggio. Nel corso del convegno del 2012 organizzato in quella occasione per accertarne l’attribuzione, Pittiglio e Cosma contribuirono ad escludere la nobile paternità sulla base della semplice osservazione della veste a maniche larghe che avvolgeva il santo ritratto. L’abito con simile foggia entrò infatti banalmente in voga solo nel secondo decennio del Seicento, quando Caravaggio era ormai morto.

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