A Rovereto dal 17 dicembre al 18 aprile
Canova tra innocenza e peccato. Al Mart un dialogo con i grandi fotografi del XX secolo

Antonio Canova, Ninfa dormiente, 1820, Museo Gypsotheca Antonio Canova, Possagno (TV) | Courtesy Mart
Samantha De Martin
17/12/2021
Trento - Una schiera di ninfe, danzatrici, veneri italiche sfila accanto ai corpi generosi di Irving Penn, ai nudi statuari di Robert Mapplethorpe, ai Big Nudes di Helmut Newton, tracciando un percorso animato dal tumulto dei sensi, in un continuo gioco di rimandi tra peccato e innocenza.
Su tutto un Canova vivo, che parla al pubblico di oggi attraverso il linguaggio universale del corpo.
Nella piazza del Mart la Psiche tatuata dello scultore Fabio Viale - che da alcuni anni sovverte i capolavori dei maestri classici - dà il benvenuto ai visitatori in un viaggio tra sensualità e bellezza, da Antonio Canova a Robert Mapplethorpe.
A tessere i fili del percorso Canova tra innocenza e peccato, in mostra fino al 18 aprile al Mart, sono i due ossimori che accomunano il canone del genio di Possagno all’opera di scultori e fotografi contemporanei.
Prendono così il via a Rovereto le celebrazioni nazionali per il bicentenario della morte del massimo esponente del Neoclassicismo italiano che ha incarnato con la sua opera l’ideale di una bellezza eterna, fondata su principi di armonia, misura, equilibrio.

Fabio Viale, Amore e Psiche, 2021, Courtesy l'artista
Un percorso denso di suggestioni, nato da un’idea di Vittorio Sgarbi, a cura di Beatrice Avanzi e Denis Isaia, indaga attraverso 200 opere come la ricerca di Canova, ricca di rimandi al passato, abbia influenzato i linguaggi contemporanei aprendosi al futuro e lasciando in eredità un ideale estetico che continua a vivere fino a oggi.
In un allestimento dominato dal bianco e dal nero, in una continua oscillazione tra opposte polarità, in un dialogo continuamente rinnovato tra ordine e disordine, integrità e disfacimento, classicismo e contemporaneità, il vero protagonista è il corpo. Perfetto e divino quello che sublima i soggetti di Canova, cui sembrano guardare alcuni scultori del nostro tempo e i fotografi che hanno saputo idealizzarlo esaltandone le forme statuarie, imperfetto, ma non meno espressivo, quello descritto dagli artisti che hanno negato o “tradito” il maestro di Possagno, facendosi promotori di una bellezza anti-canonica e “anti-canoviana” che contempla e contiene il suo contrario.
Un andamento sinoidale abbraccia le cinque sezioni nelle quali le opere dello scultore di Possagno dialogano con gli artisti contemporanei, con quei fotografi che hanno scolpito il corpo con la luce, come Canova ha fatto nel marmo.
Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, 1800, Museo Gypsotheca Antonio Canova, Possagno (TV) | Courtesy Mart
Il fulcro è rappresentato da 14 capolavori provenienti dal Museo Gypsotheca Antonio Canova di Possagno, in particolare tre marmi, tre tempere e otto tra le più famose sculture al mondo in gesso come Amore e Psiche, la Ninfa dormiente, Endimione dormiente, Le Grazie, Venere italica, la Maddalena penitente, Creugante e il Ritratto di Francesco I d’Austria.
Amore e psiche dà il benvenuto ai visitatori del Mart in due versioni, classica e contemporanea. La versione contemporanea dello scultore Fabio Viale - nella quale la levigata superficie del corpo classico viene intaccata dalla bruciatura o dal tatuaggio - lascia il posto ad Amore e Psiche stanti, il gesso che Canova realizzò nel 1800 e che sorprende il visitatore dietro lo scenografico portale d’accesso alla mostra. Il cuore del percorso pulsa attraverso i suggestivi dialoghi tra Canova e i più grandi fotografi di nudo del Novecento, un’autentica indagine condotta in epoche e con mezzi diversi, sulla perfezione della tecnica e della forma, colta e sublimata attraverso il corpo umano.

Helmut Newton, Big Nude I, Paris, 1980, Copyright Helmut Newton Foundation | Courtesy Mart
Cinque dei celebri Big Nude di Helmut Newton incontrano gli otto capolavori di Robert Mapplethorpe e ancora i lavori Irving Penn, mentre, nelle sale successive fanno da controcanto i fotografi che hanno perseguito ricerche di segno opposto, come Miroslav Tichý che, nella Repubblica Ceca degli anni Sessanta, ha colto, talvolta di nascosto, la verità di corpi femminili imperfetti attraverso una rudimentale macchina fotografica fatta di cartone, cemento e tappi di bottiglia. O come Jan Saudek e Joel-Peter Witkin che hanno messo in scena il corpo nei suoi aspetti più grotteschi. Dai fratelli Alinari ad Aurelio Amendola, da Massimo Listri a Luigi Spina, non mancano quei professionisti dello scatto che hanno prestato il loro obiettivo alla documentazione e all’interpretazione dell’arte di Canova, tramandandone la visione ideale. Se Marton ravviva l’opacità dei gessi con particolari effetti di luce, Spina coglie piuttosto la fragilità del materiale, evidenziandone le imperfezioni e scegliendo inquadrature inconsuete che enfatizzano l’instabilità delle forme.
Il nucleo di fotografie di Dino Pedriali accoglie invece due celebri sculture appartenenti alle collezioni del Mart: una testa di Adolfo Wildt del 1925 e l’Intervallo di Giulio Paolini del 1985 e cinque scatti della serie Ferite di Mustafa Sabbagh con i modelli originali delle sculture di Canova a Possagno danneggiati durante i bombardamenti del 1917.

Robert Mapplethorpe, Embrace, 1982, Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission | Courtesy Mart
“In mostra - spiega Vittorio Sgarbi - ci sono delle opere del Torretto, maestro di Canova. Da questi bozzetti si capisce che ci sono due Canova: un Canova pieno di una forza originale, che plasma la terra facendola diventare terracotta, e il Canova dei gessi e dei marmi, che invece leviga e chiude. Da questo capiamo come già nello scultore fosse presente una spinta di opposti tra innocenza e peccato”.
Dopo Raffaello, Botticelli, Caravaggio, l'esposizione riprende quel filone di mostre dedicato al dialogo tra antico e contemporaneo che il presidente Vittorio Sgarbi ha creato per il Mart al fine di generare cortocircuiti e aprire nuovi percorsi interpretativi.
La mostra si può visitare dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18, venerdì dalle 10 alle 21.
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Su tutto un Canova vivo, che parla al pubblico di oggi attraverso il linguaggio universale del corpo.
Nella piazza del Mart la Psiche tatuata dello scultore Fabio Viale - che da alcuni anni sovverte i capolavori dei maestri classici - dà il benvenuto ai visitatori in un viaggio tra sensualità e bellezza, da Antonio Canova a Robert Mapplethorpe.
A tessere i fili del percorso Canova tra innocenza e peccato, in mostra fino al 18 aprile al Mart, sono i due ossimori che accomunano il canone del genio di Possagno all’opera di scultori e fotografi contemporanei.
Prendono così il via a Rovereto le celebrazioni nazionali per il bicentenario della morte del massimo esponente del Neoclassicismo italiano che ha incarnato con la sua opera l’ideale di una bellezza eterna, fondata su principi di armonia, misura, equilibrio.

Fabio Viale, Amore e Psiche, 2021, Courtesy l'artista
Un percorso denso di suggestioni, nato da un’idea di Vittorio Sgarbi, a cura di Beatrice Avanzi e Denis Isaia, indaga attraverso 200 opere come la ricerca di Canova, ricca di rimandi al passato, abbia influenzato i linguaggi contemporanei aprendosi al futuro e lasciando in eredità un ideale estetico che continua a vivere fino a oggi.
In un allestimento dominato dal bianco e dal nero, in una continua oscillazione tra opposte polarità, in un dialogo continuamente rinnovato tra ordine e disordine, integrità e disfacimento, classicismo e contemporaneità, il vero protagonista è il corpo. Perfetto e divino quello che sublima i soggetti di Canova, cui sembrano guardare alcuni scultori del nostro tempo e i fotografi che hanno saputo idealizzarlo esaltandone le forme statuarie, imperfetto, ma non meno espressivo, quello descritto dagli artisti che hanno negato o “tradito” il maestro di Possagno, facendosi promotori di una bellezza anti-canonica e “anti-canoviana” che contempla e contiene il suo contrario.
Un andamento sinoidale abbraccia le cinque sezioni nelle quali le opere dello scultore di Possagno dialogano con gli artisti contemporanei, con quei fotografi che hanno scolpito il corpo con la luce, come Canova ha fatto nel marmo.

Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, 1800, Museo Gypsotheca Antonio Canova, Possagno (TV) | Courtesy Mart
Il fulcro è rappresentato da 14 capolavori provenienti dal Museo Gypsotheca Antonio Canova di Possagno, in particolare tre marmi, tre tempere e otto tra le più famose sculture al mondo in gesso come Amore e Psiche, la Ninfa dormiente, Endimione dormiente, Le Grazie, Venere italica, la Maddalena penitente, Creugante e il Ritratto di Francesco I d’Austria.
Amore e psiche dà il benvenuto ai visitatori del Mart in due versioni, classica e contemporanea. La versione contemporanea dello scultore Fabio Viale - nella quale la levigata superficie del corpo classico viene intaccata dalla bruciatura o dal tatuaggio - lascia il posto ad Amore e Psiche stanti, il gesso che Canova realizzò nel 1800 e che sorprende il visitatore dietro lo scenografico portale d’accesso alla mostra. Il cuore del percorso pulsa attraverso i suggestivi dialoghi tra Canova e i più grandi fotografi di nudo del Novecento, un’autentica indagine condotta in epoche e con mezzi diversi, sulla perfezione della tecnica e della forma, colta e sublimata attraverso il corpo umano.

Helmut Newton, Big Nude I, Paris, 1980, Copyright Helmut Newton Foundation | Courtesy Mart
Cinque dei celebri Big Nude di Helmut Newton incontrano gli otto capolavori di Robert Mapplethorpe e ancora i lavori Irving Penn, mentre, nelle sale successive fanno da controcanto i fotografi che hanno perseguito ricerche di segno opposto, come Miroslav Tichý che, nella Repubblica Ceca degli anni Sessanta, ha colto, talvolta di nascosto, la verità di corpi femminili imperfetti attraverso una rudimentale macchina fotografica fatta di cartone, cemento e tappi di bottiglia. O come Jan Saudek e Joel-Peter Witkin che hanno messo in scena il corpo nei suoi aspetti più grotteschi. Dai fratelli Alinari ad Aurelio Amendola, da Massimo Listri a Luigi Spina, non mancano quei professionisti dello scatto che hanno prestato il loro obiettivo alla documentazione e all’interpretazione dell’arte di Canova, tramandandone la visione ideale. Se Marton ravviva l’opacità dei gessi con particolari effetti di luce, Spina coglie piuttosto la fragilità del materiale, evidenziandone le imperfezioni e scegliendo inquadrature inconsuete che enfatizzano l’instabilità delle forme.
Il nucleo di fotografie di Dino Pedriali accoglie invece due celebri sculture appartenenti alle collezioni del Mart: una testa di Adolfo Wildt del 1925 e l’Intervallo di Giulio Paolini del 1985 e cinque scatti della serie Ferite di Mustafa Sabbagh con i modelli originali delle sculture di Canova a Possagno danneggiati durante i bombardamenti del 1917.

Robert Mapplethorpe, Embrace, 1982, Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission | Courtesy Mart
“In mostra - spiega Vittorio Sgarbi - ci sono delle opere del Torretto, maestro di Canova. Da questi bozzetti si capisce che ci sono due Canova: un Canova pieno di una forza originale, che plasma la terra facendola diventare terracotta, e il Canova dei gessi e dei marmi, che invece leviga e chiude. Da questo capiamo come già nello scultore fosse presente una spinta di opposti tra innocenza e peccato”.
Dopo Raffaello, Botticelli, Caravaggio, l'esposizione riprende quel filone di mostre dedicato al dialogo tra antico e contemporaneo che il presidente Vittorio Sgarbi ha creato per il Mart al fine di generare cortocircuiti e aprire nuovi percorsi interpretativi.
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