Taglio del nastro al Museo Nazionale dell'Ebraismo e della Shoah
Da ex carcere a luogo di inclusione e dialogo. A Ferrara apre il MEIS

Allestimento in corso al MEIS. ® Marco Caselli Nirmal
Samantha De Martin
13/12/2017
Ferrara - Tra le trentadue celle dell'ex-carcere di Ferrara dove, negli anni del fascismo Giorgio Bassani scontò la sua detenzione assieme agli oppositori del regime e ai cittadini di origine ebraica, il MEIS spalanca i suoi cancelli alla vita e alla cultura fondata sul dialogo e sull’inclusione.
Il 14 dicembre apre a Ferrara il secondo edificio restaurato del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah - MEIS - una nuova esperienza finalizzata a raccontare gli oltre due millenni di vitale e ininterrotta presenza degli Ebrei in Italia, con le loro tradizioni e i contributi fondamentali alla storia e alla cultura del Paese.
D’altronde l’annuncio era stato già dato a settembre dal ministro Dario Franceschini. E anche se bisognerà attendere il 2020 per vedere completata la costruzione dei restanti cinque edifici moderni ispirati ai cinque libri della Torà - che vedranno aggiungere al museo altri 2733 metri quadri che includeranno anche un ristorante, un auditorium, un bookshop, un archivio e laboratori didattici - la cerimonia di oggi, riservata alla stampa, alla presenza del Presidente della Repubblica, è indubbiamente solenne.
Da domani, invece, il complesso sarà aperto al pubblico che potrà accedere alle mostre inaugurali gratuitamente, ma solo per la giornata del 14 dicembre.
A fare da cornice a questa nuova istituzione che pone l’accento sul dialogo tra le culture, sul contributo delle minoranze, sulla ricchezza di identità plurime, Ferrara. Perché le vie, la storia, le tradizioni e persino il dialetto di questa città sono permeati della presenza ebraica. Qui, grazie anche ai duchi d’Este, che a questo popolo aprirono loro le porte della città proprio quando altri governanti spalancavano quelle dei ghetti, gli Ebrei vivono da oltre mille anni.
L’invito che Ercole I d’Este rivolgeva nel 1492 agli esuli dalla Spagna, infatti, è ricordato come uno dei momenti più alti negli otto secoli di presenza ebraica a Ferrara, dove, tra le tre sinagoghe, il cimitero ebraico e le strade del Ghetto, hanno trovato rifugio gli Ebrei romani e siciliani, toscani e sefarditi.
Ad accompagnare l’apertura dei nuovi spazi museali del grande edificio restaurato di via Piangipane, sarà, fino al 16 settembre, la mostra Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni. Un percorso storico supportato anche da Intesa Sanpaolo - che si avvale di testi scritti, immagini, fisse o in movimento, ricostruzioni, modelli - che è soprattutto un viaggio nell’Italia ebraica attraverso un racconto significativo, curato da Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, scandito da oltre duecento oggetti fra manoscritti, incunaboli e cinquecentine, epigrafi di età romana e medievale e ancora monete, sigilli e amuleti, alcuni mai esposti, provenienti dai musei di tutto il mondo.
Il pubblico è invitato a ripercorrere i rapporti tra il popolo ebraico, le popolazioni residenti e i poteri pubblici, prima con la Roma imperiale, poi con la Chiesa, ma anche con i Longobardi, i Bizantini, i musulmani.
Sempre a partire dal 14 dicembre, lo spettacolo multimediale Con gli occhi degli Ebrei italiani, offrirà una carrellata sulla storia della penisola attraverso gli occhi di un ebreo italiano e costituirà l’introduzione permanente al Museo.
Viaggiando idealmente da Gerusalemme a Roma, il visitatore, stretto tra due grandi schermi, potrà condividere, grazie a opere d’arte, mappe, documenti e video di forte impatto, il trauma della distruzione del Tempio ad opera dei Romani, la dispersione del popolo in tutta la penisola, apprendere l’attiva presenza ebraica nel Sud Italia, ascoltare il dialogo tra culture cristiana, ebraica e araba nella Sicilia medievale.
«Il primo catalogo del MEIS, dedicato al percorso espositivo Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni - si legge in una nota del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini - segna una tappa importante nel percorso intrapreso nel 2003, quando, appena entrato in Parlamento, riuscii a fare approvare la legge istitutiva. Ho sempre pensato che l’Italia dovesse avere un Museo dedicato all’ebraismo italiano, perché è una parte significativa della nostra identità culturale nazionale. Una storia che va portata alla luce e raccontata, perché l’incontro con la cultura ebraica è stato tra i più fertili e arricchenti del nostro Paese. Servirà ancora qualche anno per arrivare al completamento del MEIS, ma oggi un importante passo è stato compiuto. Investire in conoscenza significa offrire l’antidoto più forte a tutti i rischi e le paure di questo tempo».
E sulla storia e sulle drammatiche vicesitudini di questo popolo si sofferma Simonetta Della Seta, direttore del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS). «Gli Ebrei - commenta - erano già italiani e lavoravano per rendere feconda questa terra, che non a caso in ebraico viene chiamata y tal yah, ‘l’isola della rugiada divina’. Una mappa dell’Italia che l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha donato al MEIS riporta settecento luoghi di presenza ebraica in tutta la penisola, dalla Sicilia fino al Friuli, dalla Puglia fino al Piemonte».
Il cantiere, costato 47 milioni di euro - interamente garantiti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - si arricchisce da oggi di un altro importante tassello. E di quel carcere, inaugurato nel 1912 e dismesso nel 1992, che ha lentamente perduto l’originaria facies di luogo di segregazione, resterà solo la memoria, humus irrinunciabile di un futuro di riscatto e di rinascita.
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D’altronde l’annuncio era stato già dato a settembre dal ministro Dario Franceschini. E anche se bisognerà attendere il 2020 per vedere completata la costruzione dei restanti cinque edifici moderni ispirati ai cinque libri della Torà - che vedranno aggiungere al museo altri 2733 metri quadri che includeranno anche un ristorante, un auditorium, un bookshop, un archivio e laboratori didattici - la cerimonia di oggi, riservata alla stampa, alla presenza del Presidente della Repubblica, è indubbiamente solenne.
Da domani, invece, il complesso sarà aperto al pubblico che potrà accedere alle mostre inaugurali gratuitamente, ma solo per la giornata del 14 dicembre.
A fare da cornice a questa nuova istituzione che pone l’accento sul dialogo tra le culture, sul contributo delle minoranze, sulla ricchezza di identità plurime, Ferrara. Perché le vie, la storia, le tradizioni e persino il dialetto di questa città sono permeati della presenza ebraica. Qui, grazie anche ai duchi d’Este, che a questo popolo aprirono loro le porte della città proprio quando altri governanti spalancavano quelle dei ghetti, gli Ebrei vivono da oltre mille anni.
L’invito che Ercole I d’Este rivolgeva nel 1492 agli esuli dalla Spagna, infatti, è ricordato come uno dei momenti più alti negli otto secoli di presenza ebraica a Ferrara, dove, tra le tre sinagoghe, il cimitero ebraico e le strade del Ghetto, hanno trovato rifugio gli Ebrei romani e siciliani, toscani e sefarditi.
Ad accompagnare l’apertura dei nuovi spazi museali del grande edificio restaurato di via Piangipane, sarà, fino al 16 settembre, la mostra Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni. Un percorso storico supportato anche da Intesa Sanpaolo - che si avvale di testi scritti, immagini, fisse o in movimento, ricostruzioni, modelli - che è soprattutto un viaggio nell’Italia ebraica attraverso un racconto significativo, curato da Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, scandito da oltre duecento oggetti fra manoscritti, incunaboli e cinquecentine, epigrafi di età romana e medievale e ancora monete, sigilli e amuleti, alcuni mai esposti, provenienti dai musei di tutto il mondo.
Il pubblico è invitato a ripercorrere i rapporti tra il popolo ebraico, le popolazioni residenti e i poteri pubblici, prima con la Roma imperiale, poi con la Chiesa, ma anche con i Longobardi, i Bizantini, i musulmani.
Sempre a partire dal 14 dicembre, lo spettacolo multimediale Con gli occhi degli Ebrei italiani, offrirà una carrellata sulla storia della penisola attraverso gli occhi di un ebreo italiano e costituirà l’introduzione permanente al Museo.
Viaggiando idealmente da Gerusalemme a Roma, il visitatore, stretto tra due grandi schermi, potrà condividere, grazie a opere d’arte, mappe, documenti e video di forte impatto, il trauma della distruzione del Tempio ad opera dei Romani, la dispersione del popolo in tutta la penisola, apprendere l’attiva presenza ebraica nel Sud Italia, ascoltare il dialogo tra culture cristiana, ebraica e araba nella Sicilia medievale.
«Il primo catalogo del MEIS, dedicato al percorso espositivo Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni - si legge in una nota del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini - segna una tappa importante nel percorso intrapreso nel 2003, quando, appena entrato in Parlamento, riuscii a fare approvare la legge istitutiva. Ho sempre pensato che l’Italia dovesse avere un Museo dedicato all’ebraismo italiano, perché è una parte significativa della nostra identità culturale nazionale. Una storia che va portata alla luce e raccontata, perché l’incontro con la cultura ebraica è stato tra i più fertili e arricchenti del nostro Paese. Servirà ancora qualche anno per arrivare al completamento del MEIS, ma oggi un importante passo è stato compiuto. Investire in conoscenza significa offrire l’antidoto più forte a tutti i rischi e le paure di questo tempo».
E sulla storia e sulle drammatiche vicesitudini di questo popolo si sofferma Simonetta Della Seta, direttore del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS). «Gli Ebrei - commenta - erano già italiani e lavoravano per rendere feconda questa terra, che non a caso in ebraico viene chiamata y tal yah, ‘l’isola della rugiada divina’. Una mappa dell’Italia che l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha donato al MEIS riporta settecento luoghi di presenza ebraica in tutta la penisola, dalla Sicilia fino al Friuli, dalla Puglia fino al Piemonte».
Il cantiere, costato 47 milioni di euro - interamente garantiti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - si arricchisce da oggi di un altro importante tassello. E di quel carcere, inaugurato nel 1912 e dismesso nel 1992, che ha lentamente perduto l’originaria facies di luogo di segregazione, resterà solo la memoria, humus irrinunciabile di un futuro di riscatto e di rinascita.
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