PREMIO MARCHE 2021 - Il tempo, lo sbaglio, lo spazio: Gino De Dominicis / Monografica “Omaggio a Cecco d’Ascoli”
Dal 30 Ottobre 2021 al 27 Marzo 2022
Ascoli Piceno
Luogo: Forte Malatesta
Indirizzo: Via delle Terme
Orari: Martedì e giovedì: 10.00 – 13.00 Mercoledì e venerdì: 15.00 – 18.00 Sabato, domenica, festivi e prefestivi: 10.00 – 13.00 / 15.00 – 18.00
Curatori: Andrea Bruciati
Costo del biglietto: € 6,00 intero € 4,00 ridotto
Telefono per informazioni: +39 349.5024162
E-Mail info: premiomarche@gmail.com
Sito ufficiale: http://www.premiomarche.it
L’A.M.I.A. Associazione Marchigiana Iniziative Artistiche, Ente titolare e promotore del PREMIO MARCHE - Biennale d'Arte Contemporanea, una delle manifestazioni tra le più significative e rilevanti nel panorama espositivo del Centro Italia, presenta l’Edizione Nazionale del Premio 2021, curata da Andrea Bruciati con la collaborazione di Stefano Papetti.
Dal 30 ottobre 2021 al 27 marzo 2022 il Forte Malatesta di Ascoli Piceno ospiterà la mostra Il tempo, lo sbaglio, lo spazio: Gino De Dominicis da cui è tratto il tema di quest’ultima edizione a cura di Andrea Bruciati. L’esposizione, che vuole essere un omaggio al grande artista anconetano, indaga il suo sguardo utopico, la sua ironia dissacrante, il suo gusto per il paradosso, la sfida alle leggi della fisica e l’immortalità del gesto, attraverso una selezione di artisti ed opere che si muovono partendo proprio dalla poetica di De Dominicis, una delle personalità artistiche più emblematiche, misteriose e inafferrabili del secondo dopoguerra, circondato da un vero e proprio alone leggendario.
L’opera di Gino De Dominicis è centrale nel porre in relazione estetica e utopia attraverso cui si ridefiniscono concetti come libertà, desiderio, mutamento, progetto, che si sono rivelati nella contemporaneità fondamentali nella messa a punto di qualsiasi prospettiva. L’arte è il campo privilegiato in cui la coscienza utopica ha potuto manifestarsi con maggior forza e libertà per il grado di separazione e gratuità a lei attribuito. In questo senso le opere del Maestro, riflettono da un lato le inquietudini e gli smarrimenti dell’arte italiana postbellica, sin dai suoi esordi, dall’altra possono essere considerate come isole che affiorano al visibile di una realtà incompiuta, come spiega il curatore Andrea Bruciati: «Sono dimostrazione della pienezza inesausta dell’attesa, intenzione di ciò che è realmente possibile. De Dominicis è mosso da un’agognata risoluzione, dettata da quella frattura postromantica di cui l’arte contemporanea, fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo, rappresenta la risultante.».
Di questo cambiamento di rotta Gino De Dominicis è interprete fondamentale, diventando un caso storiografico che solo recentemente ha mostrato le reali influenze che ha avuto e le modalità di approccio interpretativo: protagonisti come Emilio Villa e il suo recupero del primordiale, così come Giorgio de Chirico, Lucio Fontana, il giovane Piero Manzoni o i poco più che coetanei Giulio Paolini, Emilio Prini, Vincenzo Agnetti, Mario Schifano riflettono da un lato il suo vitale opportunismo, dall'altro la coerenza di un essere sempre e comunque anti-sistema.
«Non è difficile intravedere in lui il personaggio che si alimenta di attualità artistica e si rivela tanto più inventivo quanto più si tiene vicino a pratiche di appropriazione e nel contempo l’artista che comprende come l’utopia possa invece costituire una dimensione operativa strutturale e linguistica.» - continua Bruciati - «Se intende la sua tensione utopica come bacino desiderante legato all’immaginazione, è pur vero che nello snodo poverista italiano questo assurge anche a dispositivo intellettuale alternativo e critico rispetto alla realtà presente. De Dominicis prende posizione sui linguaggi dell’arte e sul repertorio delle convenzioni disponibili, che considera chiuso, bloccato, acquisito una volta per sempre, senza via d’uscita. Il punto di vista è enfaticamente antimoderno - nel solco di De Chirico - e lo “stile modernista”».
C’è un’opera che più di ogni altra rivela i processi creativi dell’artista, quali idiosincrasia, spostamento e humour nero, da cui prende le mosse il titolo e il concept della mostra del Premio Marche: è Il tempo, lo sbaglio, lo spazio che l’artista presentò per la prima volta nel 1970 in occasione di una sua personale alla Galleria L’Attico a cura di Maurizio Calvesi. Uno scheletro umano giace a terra in posizione supina e indossa pattini a rotelle, al suo fianco lo scheletro di un cane di piccola taglia che si potrebbe definire come opera fondante per De Dominicis dove annota pensieri sulla vanità umana, la sua stoltezza e infine la morte, il grande mistero. Quest’opera è stata oggetto di varie dissertazioni filosofiche sulla vanità, la vulnerabilità umana, la morte appunto, ma i percorsi interpretativi devono rendere conto anche degli elementi sensibili, della forma che si sposa con il contenuto, per renderla intellegibile. Si connota quale centro focale per ristabilire i rapporti come quelli evidenziati in mostra che giustappongono le opere del maestro marchigiano a quelle di protagonisti della storia dell’arte quali Giorgio de Chirico, Scipione, Lucio Fontana ad artisti dalla sensibilità poverista come Vincenzo Agnetti, Marisa Merz, Pino Pascali, Adriano Altamira, Emilio Prini, Alighiero Boetti, Michele Zaza ad altri emersi nella corrente transavanguardista quali Francesco Clemente, Sandro Chia, Enzo Cucchi, Mimmo Paladino insieme a lavori di artisti contemporanei come Maurizio Cattelan, Stefania Galegati, Maurizio Mercuri, Paola Pivi, Diego Perrone, Pietro Roccasalva e alle giovani generazioni rappresentate da Lorenzo Morri, Alessandro Fogo e Giulio Frigo, dove il filo conduttore è quella sintesi evocativa delle profondità dell’inconscio attraverso un’immagine rielaborata o una figura collocata in uno spazio incongruo presente anche in De Dominicis.
A questa mostra sarà affiancata un’esposizione a carattere monografico curata da Stefano Papetti, sempre al Forte Malatesta, dedicata a Cecco d’Ascoli, poeta contemporaneo di Dante, medico, insegnante, filosofo e astrologo/astronomo, autore della nota raccolta di sonetti L'Acerba - Acerba etas. Ispirandosi alla sua figura e alla sua opera, importanti artisti contemporanei sono stati invitati ad illustrarne la celebrazione e il tema con un’opera realizzata per l’occasione. Tra questi Valerio Adami, Paolo Annibali, Roberto Barni, Davide Benati, Paolo Benvenuti, Fausto Bertasa, Carlo Bertocci, Bruno Ceccobelli, Andrea Chiesi, Marco Del Re, Gianni Dessì, Stefano Di Stasio, Omar Galliani, Andrea Granchi, Luigi Mainolfi, Carlo Maria Mariani, Gianfranco Notargiacomo, Tullio Pericoli, Stefano Pizzi, Giuseppe Puglisi, Stefano Tonti, Valeriano Trubbiani.
Il PREMIO MARCHE, storicamente organizzato ad Ancona fin dagli anni Cinquanta del Novecento (con la lungimiranza intellettuale e l’opera del migliore dei suoi artefici come Alfredo Trifogli), dopo l’ultima edizione tenutasi nel 1999 alla Mole Vanvitelliana, è tornato alla ribalta delle attività espositive con l’Edizione del 2018 dedicata alla Rassegna degli artisti marchigiani, al Forte Malatesta di Ascoli Piceno.
Anche la Rassegna Nazionale di quest’anno è ospitata ad Ascoli, in quella rinnovata territorialità espositiva, che verrà individuata ogni due anni tra le città delle Marche. La locazione di Ascoli Piceno conclude il primo percorso biennale in una città di recente tradizione fatta d’importanti rassegne d’arte nel contemporaneo di riconosciuto valore scientifico e di promozione delle arti visive.
Il PREMIO MARCHE, da sempre caratterizzato come qualificata vetrina delle valenze artistiche nell’ambito dell’arte contemporanea, con la presente Edizione, si propone nel solco di questa tradizione e nella prospettiva di attivare un corretto confronto con la ricerca e la proposta artistica ai nostri giorni, dando a questa una valenza storicistica e storiografica, anche nella ricerca dei valori interpretativi dell’arte contemporanea per mezzo di rigorose competenze scientifiche ed organizzative.
A corredo, secondo la tradizione della manifestazione, è allestita anche la mostra dei tredici artisti marchigiani vincitori della Rassegna regionale 2018, con le opere esposte nella Pinacoteca Civica di Ascoli. Sono quelle di Franco Alessandroni, Iuliia Bazyaeva, Anthony Bufali, Giulio Catelli, Sandro Ciriscioli (vincitore del Premio della critica “Alfredo Trifogli”, Stefano Dania, Andrea Fabietti, Francesco Gioacchini, Bruno Marcucci, Hisako Mori, Riccardo Ruggeri, Paolo Sacchini, Federico Sinatti. La mostra è curata da Paola Ballesi.
Dal 30 ottobre 2021 al 27 marzo 2022 il Forte Malatesta di Ascoli Piceno ospiterà la mostra Il tempo, lo sbaglio, lo spazio: Gino De Dominicis da cui è tratto il tema di quest’ultima edizione a cura di Andrea Bruciati. L’esposizione, che vuole essere un omaggio al grande artista anconetano, indaga il suo sguardo utopico, la sua ironia dissacrante, il suo gusto per il paradosso, la sfida alle leggi della fisica e l’immortalità del gesto, attraverso una selezione di artisti ed opere che si muovono partendo proprio dalla poetica di De Dominicis, una delle personalità artistiche più emblematiche, misteriose e inafferrabili del secondo dopoguerra, circondato da un vero e proprio alone leggendario.
L’opera di Gino De Dominicis è centrale nel porre in relazione estetica e utopia attraverso cui si ridefiniscono concetti come libertà, desiderio, mutamento, progetto, che si sono rivelati nella contemporaneità fondamentali nella messa a punto di qualsiasi prospettiva. L’arte è il campo privilegiato in cui la coscienza utopica ha potuto manifestarsi con maggior forza e libertà per il grado di separazione e gratuità a lei attribuito. In questo senso le opere del Maestro, riflettono da un lato le inquietudini e gli smarrimenti dell’arte italiana postbellica, sin dai suoi esordi, dall’altra possono essere considerate come isole che affiorano al visibile di una realtà incompiuta, come spiega il curatore Andrea Bruciati: «Sono dimostrazione della pienezza inesausta dell’attesa, intenzione di ciò che è realmente possibile. De Dominicis è mosso da un’agognata risoluzione, dettata da quella frattura postromantica di cui l’arte contemporanea, fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo, rappresenta la risultante.».
Di questo cambiamento di rotta Gino De Dominicis è interprete fondamentale, diventando un caso storiografico che solo recentemente ha mostrato le reali influenze che ha avuto e le modalità di approccio interpretativo: protagonisti come Emilio Villa e il suo recupero del primordiale, così come Giorgio de Chirico, Lucio Fontana, il giovane Piero Manzoni o i poco più che coetanei Giulio Paolini, Emilio Prini, Vincenzo Agnetti, Mario Schifano riflettono da un lato il suo vitale opportunismo, dall'altro la coerenza di un essere sempre e comunque anti-sistema.
«Non è difficile intravedere in lui il personaggio che si alimenta di attualità artistica e si rivela tanto più inventivo quanto più si tiene vicino a pratiche di appropriazione e nel contempo l’artista che comprende come l’utopia possa invece costituire una dimensione operativa strutturale e linguistica.» - continua Bruciati - «Se intende la sua tensione utopica come bacino desiderante legato all’immaginazione, è pur vero che nello snodo poverista italiano questo assurge anche a dispositivo intellettuale alternativo e critico rispetto alla realtà presente. De Dominicis prende posizione sui linguaggi dell’arte e sul repertorio delle convenzioni disponibili, che considera chiuso, bloccato, acquisito una volta per sempre, senza via d’uscita. Il punto di vista è enfaticamente antimoderno - nel solco di De Chirico - e lo “stile modernista”».
C’è un’opera che più di ogni altra rivela i processi creativi dell’artista, quali idiosincrasia, spostamento e humour nero, da cui prende le mosse il titolo e il concept della mostra del Premio Marche: è Il tempo, lo sbaglio, lo spazio che l’artista presentò per la prima volta nel 1970 in occasione di una sua personale alla Galleria L’Attico a cura di Maurizio Calvesi. Uno scheletro umano giace a terra in posizione supina e indossa pattini a rotelle, al suo fianco lo scheletro di un cane di piccola taglia che si potrebbe definire come opera fondante per De Dominicis dove annota pensieri sulla vanità umana, la sua stoltezza e infine la morte, il grande mistero. Quest’opera è stata oggetto di varie dissertazioni filosofiche sulla vanità, la vulnerabilità umana, la morte appunto, ma i percorsi interpretativi devono rendere conto anche degli elementi sensibili, della forma che si sposa con il contenuto, per renderla intellegibile. Si connota quale centro focale per ristabilire i rapporti come quelli evidenziati in mostra che giustappongono le opere del maestro marchigiano a quelle di protagonisti della storia dell’arte quali Giorgio de Chirico, Scipione, Lucio Fontana ad artisti dalla sensibilità poverista come Vincenzo Agnetti, Marisa Merz, Pino Pascali, Adriano Altamira, Emilio Prini, Alighiero Boetti, Michele Zaza ad altri emersi nella corrente transavanguardista quali Francesco Clemente, Sandro Chia, Enzo Cucchi, Mimmo Paladino insieme a lavori di artisti contemporanei come Maurizio Cattelan, Stefania Galegati, Maurizio Mercuri, Paola Pivi, Diego Perrone, Pietro Roccasalva e alle giovani generazioni rappresentate da Lorenzo Morri, Alessandro Fogo e Giulio Frigo, dove il filo conduttore è quella sintesi evocativa delle profondità dell’inconscio attraverso un’immagine rielaborata o una figura collocata in uno spazio incongruo presente anche in De Dominicis.
A questa mostra sarà affiancata un’esposizione a carattere monografico curata da Stefano Papetti, sempre al Forte Malatesta, dedicata a Cecco d’Ascoli, poeta contemporaneo di Dante, medico, insegnante, filosofo e astrologo/astronomo, autore della nota raccolta di sonetti L'Acerba - Acerba etas. Ispirandosi alla sua figura e alla sua opera, importanti artisti contemporanei sono stati invitati ad illustrarne la celebrazione e il tema con un’opera realizzata per l’occasione. Tra questi Valerio Adami, Paolo Annibali, Roberto Barni, Davide Benati, Paolo Benvenuti, Fausto Bertasa, Carlo Bertocci, Bruno Ceccobelli, Andrea Chiesi, Marco Del Re, Gianni Dessì, Stefano Di Stasio, Omar Galliani, Andrea Granchi, Luigi Mainolfi, Carlo Maria Mariani, Gianfranco Notargiacomo, Tullio Pericoli, Stefano Pizzi, Giuseppe Puglisi, Stefano Tonti, Valeriano Trubbiani.
Il PREMIO MARCHE, storicamente organizzato ad Ancona fin dagli anni Cinquanta del Novecento (con la lungimiranza intellettuale e l’opera del migliore dei suoi artefici come Alfredo Trifogli), dopo l’ultima edizione tenutasi nel 1999 alla Mole Vanvitelliana, è tornato alla ribalta delle attività espositive con l’Edizione del 2018 dedicata alla Rassegna degli artisti marchigiani, al Forte Malatesta di Ascoli Piceno.
Anche la Rassegna Nazionale di quest’anno è ospitata ad Ascoli, in quella rinnovata territorialità espositiva, che verrà individuata ogni due anni tra le città delle Marche. La locazione di Ascoli Piceno conclude il primo percorso biennale in una città di recente tradizione fatta d’importanti rassegne d’arte nel contemporaneo di riconosciuto valore scientifico e di promozione delle arti visive.
Il PREMIO MARCHE, da sempre caratterizzato come qualificata vetrina delle valenze artistiche nell’ambito dell’arte contemporanea, con la presente Edizione, si propone nel solco di questa tradizione e nella prospettiva di attivare un corretto confronto con la ricerca e la proposta artistica ai nostri giorni, dando a questa una valenza storicistica e storiografica, anche nella ricerca dei valori interpretativi dell’arte contemporanea per mezzo di rigorose competenze scientifiche ed organizzative.
A corredo, secondo la tradizione della manifestazione, è allestita anche la mostra dei tredici artisti marchigiani vincitori della Rassegna regionale 2018, con le opere esposte nella Pinacoteca Civica di Ascoli. Sono quelle di Franco Alessandroni, Iuliia Bazyaeva, Anthony Bufali, Giulio Catelli, Sandro Ciriscioli (vincitore del Premio della critica “Alfredo Trifogli”, Stefano Dania, Andrea Fabietti, Francesco Gioacchini, Bruno Marcucci, Hisako Mori, Riccardo Ruggeri, Paolo Sacchini, Federico Sinatti. La mostra è curata da Paola Ballesi.
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