Il Déco in Italia, l’eleganza della modernità
Dal 02 Dicembre 2022 al 10 Aprile 2023
Bard | Aosta
Luogo: Forte di Bard
Indirizzo: Via Vittorio Emanuele II, 85
Orari: Martedì-venerdì 10.00 / 18.00. Sabato, domenica e festivi 10.00 / 19.00. Lunedì chiuso. Dal 26 dicembre 2022 all’8 gennaio 2023, aperto tutti i giorni con prolungamento orario serale sino alle ore 20.00, con chiusura biglietteria alle ore 19.00. Fa eccezione sabato 31 dicembre: chiusura ore 19.00. Domenica 1° gennaio: 14.00 / 20.00
Curatori: Francesco Parisi
Costo del biglietto: Intero 12,00 euro | Ridotto 10,00 euro. Gratuito possessori Abbonamento Musei Piemonte Valle d'Aosta e Abbonamento Musei Lombardia Valle d'Aosta; Membership Card Forte di Bard, minori di 25 anni
Telefono per informazioni: +39 0125 833811
E-Mail info: info@fortedibard.it
Sito ufficiale: http://www.fortedibard.it
La mostra Il Déco in Italia, l’eleganza della modernità, allestita nelle sale delle Cannoniere e delle Cantine del Forte di Bard, oltre a ricostruire proprio la sezione italiana presente a quell’evento epocale, intende restituire una sorta di fotografia di quanto si andava producendo in quegli anni non solo nelle arti decorative ma anche in pittura, scultura e grafica selezionando quelle opere che rispondevano sia ad una esigenza di sintesi formale, soprattutto nell’ambito novecentista, che caldeggiava un recupero della tradizione culturale italiana e dell’idioma classico rinascimentale, sia ad un’attitudine più gioconda, a tratti apparentemente disimpegnata.
Esposte non solo le sfavillanti ceramiche firmate da Gio Ponti per Richard Ginori e le delicate trasparenze buranesi di Vittorio Zecchin, ma anche opere di pittura e scultura, connotate da quel gusto sintetico e lineare che caratterizzò una parte dell’arte italiana di quegli anni.
Molte le opere pregevoli, come il pannello in ceramica di Galileo Chini che ornava il salone del Padiglione Italia, il ritratto di Augusto Solari di Adolfo Wildt, anch’esso presente a Parigi, le celebri ceramiche di Francesco Nonni e straordinari dipinti di Aleardo Terzi e Umberto Brunelleschi che segnano un versante più illustrativo della pittura di quegli anni.
Largo spazio è dato anche quel sottile legame che legò il secondo Futurismo alla temperie Déco e che fecero esclamare a Margherita Sarfatti “il Futurismo ha salvato l’Italia alla mostra di Parigi”. La ricostruzione dell’esposizione del 1925 permette di presentare molte di quelle opere tra cui: gli studi preparatori per il grande arazzo del Genio Futurista di Giacomo Balla (che ornava la scalinata del Grand Palais) ed altri arazzi e mobili progettati da Fortunato Depero, nonché alcune scenografie di Enrico Prampolini. Contigui al futurismo, le visionarie opere di Sexto Canegallo e Cornelio Geranzani testimoniano invece alcune aperture al certo decorativismo internazionale.
Molti i ritratti femminili su cui svetta uno dei dipinti più rappresentativi di Giulio Aristide Sartorio e di quella luminosa stagione, detta “di Fregene”, in cui l’artista immortalava la compagna, l’attrice Marga Sevilla, assieme ai suoi bambini. Più corrispondenti al Déco francese invece le opere di Mario Reviglione tra cui Zingaresca e il Ritratto della signora Cavagnari Gori vicino al celebre ritratto della scrittrice Amalia Guglielminetti.
Questa mostra amplia inoltre gli estremi cronologici finora utilizzati, 1919-1939, includendo gli anni antecedenti il primo conflitto mondiale e contrappuntando il percorso espositivo da alcune puntuali ricostruzioni storiche di occasioni rilevanti come, ad esempio, il Padiglione Italiano alla mostra parigina del 1925, le Biennali di Arti Decorative di Monza, nonché alcuni focus su due personalità influenti degli anni ‘20: la gallerista e couturier Maria Monaci Gallenga e Riccardo Gualino.
La mostra
La mostra segue un percorso scandito in sezioni tematiche, ma anche ripartito per tecniche. Accanto alla Sezione dedicata a Monza 1923-1930 e a Parigi vi sono infatti sezioni dedicate alla pittura, alla scultura, alle arti decorative, alla grafica editoriale e al manifesto.
Ogni sezione della mostra è sviluppata considerando un dialogo attivo tra le diverse manifestazioni artistiche: la funzione di questa mostra è quella infatti di porre in risalto il fil rouge del gusto déco italiano, rilevando le necessarie intersezioni di stili e temi guida – come la danza, la maschera e la spinta sintetica nella ricerca formale di animali esotici, ad esempio – che favorì quella ricerca orientata verso una maggiore struttura architettonica e geometrizzazione delle forme; nelle arti decorative l’attenzione al mondo naturale e alle asimmetrie giapponesi andarono sempre più attenuandosi, a favore di un atteggiamento certamente più leggero e sensuale, nel quale è possibile riconoscere evocazioni da stili diversi, dal neoclassicismo al rococò, alle cornucopie rinascimentali e, ancora una volta, alle iconografie delle maschere.
SEZIONE I
Vocazioni Déco nella pittura tra Secessione e Novecento
Immediatamente dopo il conflitto mondiale si apre un divario tra quella pittura di derivazione floreale, che mostra evidenti segnali di gusto Déco, e una tendenza di più ampio respiro che, complice il “ritorno al mestiere” delle forze impegnate nelle ricerche più d’avanguardia, approderà a uno stile sempre in bilico tra riferimenti al ’400 italiano e una più spinta tendenza a ricerche più moderne che si configurarono in un linguaggio cosiddetto di “ritorno all’ordine”. Eppure la linearità, l’accento monumentale, l’impianto architettonico e le atmosfere sospese – che verranno associate dalla letteratura alla temperie del “Realismo Magico” – mettono comunque in evidenza la continuità con alcune soluzioni geometrizzanti del Déco.
Di contro, il fenomeno internazionale del revival settecentesco viene sostenuto anche in campo pittorico da artisti estremamente aggiornati, ma spesso impegnati nel campo dell’illustrazione: non a caso in Italia i prodromi del Déco sono riscontrabili nell’opera grafica di Giovanni Guerrini, Umberto Brunelleschi e Francesco Nonni.
Il genere del ritratto è quello in cui è possibile ravvisare, più che altrove, gli elementi di corrispondenza con il Déco internazionale ed è quello che maggiormente riflette il clima di raffinata eleganza che a partire dai Roaring Twenties contribuì a creare mode e tendenze non solo in campo artistico ma anche in ogni aspetto della vita quotidiana e dell’abbigliamento.
SEZIONE II
Scultura: arcaismi, classicismi e “l’artificiosa natura” animalier
Anche in scultura la necessità di un rinnovamento si colloca, durante la temperie Déco, in equilibrio fra suggestioni diverse che muovono in direzioni che vanno dalla ricerca sulle “novità del classico” alle suggestioni arcaiche come quelle egiziane che si inserivano in una affermata tendenza italiana ai secessionismi derivati da artisti come Ivan Meštrović, che ebbe un ruolo di rilievo nell’evoluzione del linguaggio scultoreo italiano di inizio secolo.
Su questa linea si muovevano, ad esempio, quegli scultori che, proprio a partire dai primi anni Venti, non solo abbandonarono le fluenze Liberty, ma irrigidirono la plastica in solide e graficheggianti masse, optando per superfici scabre e prive di compiacimenti descrittivi come ad esempio nell’opera di Eugenio Baroni e Attilio Selva.
Di più immediata riconoscibilità Déco quelle opere in cui si fondono egualmente movenze ritmiche e grazia e nelle quali si ritrova quella “equilibrata armonia” mirabilmente espressa dalle filiformi fanciulle con i capelli à la garçon come la Ballerina con le braccia incrociate sopra la testa di Nicola d’Antino.
Le suggestioni orientali unite a quel gusto per le fluenze morbide e ritmiche e allo sviluppo delle arti applicate, che permettevano la produzione di piccoli ma raffinati oggetti, sono fra gli elementi che contribuirono allo sviluppo del particolare gusto per la scultura animalier: ghepardi, tigri, rondini, cervi e scimmiette animano, in sintonia con certa produzione grafica e al pari di damine settecentesche e figure mitologiche, il clima della scultura Déco.
SEZIONE III
Iperbolica Architettura
Alcuni elementi che preludono al Déco affiorano già nel primo dopoguerra negli edifici orientati a un certo purismo, al di là delle teorizzazioni della temperie culturale del “ritorno all’ordine”. La stessa componente Déco si rintraccia poi anche in quelle architetture rappresentative del cosiddetto “eclettismo di ritorno”, sviluppatosi nel recedere delle fortune delLiberty, la cui caratteristica è rappresentata dalla ricchezza e dalla varietà degli elementi a sporto e che in molti casi aspira a una magniloquente monumentalità. È questo il caso di due architetti, Armando Brasini (1879-1965) e Mario Palanti (1885-1978), non immediatamente ascrivibili al Déco, ma che rappresentano invece un esempio sottile di questo filone: semplificazione e articolazione dei volumi, uso sincretico di campiture spoglie e magniloquenti ipertrofie decorative sono gli elementi rintracciabili nelle opere dei due architetti. Per contro la più netta commistione di elementi razionalisti e Déco presenti nell’opera di Piero Portaluppi, unitamente ad un certo gusto per il divertissement progettuale, conducono l’architetto sulla falsariga di certe invenzioni futuriste, ma soprattutto di certo espressionismo che gli fa superare quel criterio della misura, usato abitualmente proprio come criterio distintivo dello “Stile 1925”.
SEZIONE IV
Arti Decorative tra “bell’oggetto” e funzionalità
Ceramiche, vetri incisi, arazzi, stoffe, eleganti oggetti in ferro battuto: sono solo alcuni dei tanti esempi che, nell’ambito delle arti decorative, esprimono pienamente in linguaggi diversi il medesimo spirito raffinato ed elegante, ricco di suggestioni diverse, del gusto Déco.
Il lavoro di artisti come Francesco Nonni, la cui attività spaziò dalla ceramica alla grafica, fu essenziale per la diffusione e lo sviluppo del nuovo gusto: la sintetica linearità senza contrasti, esemplata in una nuova e rigorosa stilizzazione a silhouettes bidimensionali si univa ad un repertorio iconografico vivace e variegato che coniugava esotismi e sensualità settecentesche, maschere veneziane e suggestione dalla haute couture parigina, ironica leggiadria e flessuosi elementi di danza desunti anche da suggestioni internazionali, dai ceramisti viennesi Powonly, Dietl, Philipp, Meyer-Michel, alle innovative invenzioni di Paul Poiret.
Un’evoluzione verso una ulteriore severità delicata e decorativa unita alla preziosità cromatica oramai decisamente Déco si ebbe grazie alla produzione di Gio Ponti per le ceramiche della manifattura di Doccia, di cui sono esempio i piatti da parata Orfeo e Euridice e l’intera serie Le mie donne (1923-1925) in cui il tratto continuo che delineava i vezzosi lineamenti del volto, gli occhi allungati “a mandorla”, gli arti allungati di ispirazione manierista e la colorazione a campiture nette fecero dell’artista un traduttore sensibile proprio di quelle di quelle atmosfere da Fêtes Galantes con le sue efebiche grazie seducenti e semivestite che divennero subito emblemi di un Décosuadente sospeso tra ironia ed eleganza sintetica. Sulla scia di Ponti, che rinnovò radicalmente la produzione delle arti decorative introducendo forme e decori di sua invenzione, eleganti e preziosi, tanto da vincere il Grand Prix all’esposizione parigina, deriveranno forme, idee e decorazioni un’intera generazione di ceramisti, da Guido Andlovitz a Mario Sturani, da Corrado Cagli a Guido Balsamo Stella, da Dante Baldelli a Pietro Melandri.
Ampio spazio e diffusione ebbero anche la raffinata produzione di opere come i ferri battuti di Alberto Gerardi o i vetri di Vittorio Zecchin e Umberto Bellotto e le raffinate incisioni su vetro di Guido Balsamo Stella e Publio Morbiducci.
SEZIONE V
Monza palcoscenico del Déco italiano
Fra il 1923 e il 1930 si svolsero a Monza le Biennali Internazionali delle Arti Decorative, allestite presso la Villa Reale, sede della Scuola Umanitaria per arti e mestieri creata dalla Società Umanitaria che, a partire dal 1922, si trasformerà nell’Istituto superiore per le industrie artistiche.
Se la prima edizione era ancora attardata verso un orientamento rustico e popolare, già nel 1925 le opere esposte mostravano un adattamento agli stilemi internazionali, fino a che nelle edizioni del 1927 e 1930 lo stesso lessico iniziava a miscelarsi e ad ibridarsi con le forme più solide e monumentali tipiche del novecento.
Suddivise in ambito regionale le biennali furono l’occasione per un confronto fra le proposte aggiornate sui più recenti linguaggi e temi Déco che univano suggestioni diverse che andavano dalle istanze classicheggianti ed arricchite da citazioni arcaiche riscontrabili nelle opere esposte nelle regioni del centro Italia (come ad esempio nella Sala della Terra del Lazio, nell’edizione del 1925) ai modi più legati allo Jugendstil e alla Wiener Werkstätte delle regioni del Nord.
Le Biennali di Monza consentirono anche lo sviluppo di nuove soluzioni per gli allestimenti delle grandi mostre: la Prima Quadriennale romana del 1931 era decisamente Déco nonostante la nota dominante fosse di stampo novecentista.
Con la IV Esposizione Triennale Internazionale delle Arti Decorative ed Industriali Moderne del 1930 la situazione mutò completamente grazie ad un piano più rigido di obiettivi che, come recitava il programma, oltre alla “modernità di interpretazione, originalità di invenzione, perfezione della tecnica” richiedeva espressamente anche una quarta dote: “l’efficienza della produzione, la capacità cioè del produttore di rispondere con prontezza e certezza e lealtà, alle richieste che gli vengono dal cliente”.
SEZIONE VI
Parigi 1925
L’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes di Parigi inaugurata il 28 aprile 1925 – già ideata e progettata fra il 1907 e il 1913, ma rinviata a causa del conflitto bellico – fu il primo importante appuntamento internazionale al quale l’Italia partecipava dopo la fine della prima guerra mondiale.
Ciò che avevano rappresentato le prime due edizioni delle Biennali monzesi si ritrovò, in una formula certamente più stringente e dal respiro più internazionale, all’esposizione parigina: la compagine artistica italiana ebbe la possibilità di esporre sia nella Section italienne all’interno del Grand Palais – dove si trovavano, ad esempio, gli spazi espositivi dedicati alle Fornaci di San Lorenzo, Gallenga, Richard-Ginori – sia nelle sezioni estere allestite all’Esplanade des Invalides e al Pavillion National d’Italie progettato da Armando Brasini.
Il grande spazio concesso alle arti decorative fu determinante per la nascita dello stile Déco, che venne infatti anche definito “stile 1925” proprio perché la mostra fu l’occasione per segnare il nuovo indirizzo di gusto che orienterà a partire da questa data tutti gli aspetti della produzione artistica: non solo pittura, scultura e architettura, ma anche la produzione di oggetti in ceramica, i gioielli, le stoffe, gli arazzi, l’abbigliamento, i ferri battuti.
Galileo Chini, Adolfo Wildt, Renato Brozzi, Maria Monaci Gallenga, Gio Ponti, Vittorio Zecchin, Francesco Nonni, Guido Balsamo Stella, Giacomo Balla, Pietro Persicalli sono solo alcuni degli artisti italiani che presero parte all’Exposition e che, ciascuno nel proprio ambito e con il proprio personalissimo linguaggio, contribuirono alla definizione di una linea Déco tutta italiana.
SEZIONE VII
Rigide geometrie e morbidi intrecci: l’arredamento e gli arazzi
La diffusione degli stilemi Déco che interessò non solo le cosiddette arti maggiori, ma anche l’architettura e l’abbigliamento, a partire dal primo dopoguerra si manifestò pienamente anche nel design dell’arredamento. Se il Liberty aveva in qualche modo superato l’impianto storicista e i revival neorinascimentali, le nuove istanze decorative applicate alla realizzazione di mobili condussero ad un utilizzo dei volumi geometrici e semplicizzati.
Alla diffusione del nuovo gusto contribuirono certamente le esposizioni monzesi che, grazie all’innovativo sistema espositivo, offrirono al pubblico l’immagine di ambienti perfettamente ricreati dove a mobili e oggetti artistici veniva data la stessa importanza. Abbandonate le linee curve e flessuose e il decorativismo esasperato che aveva caratterizzato il Liberty, le nuove forme si distinsero proprio per la geometrica eleganza, al cui sviluppo contribuirono spesso artisti che si erano distinti in altre discipline come, fra gli altri, Guerrini, Prampolini, Depero, Thayaht, ma soprattutto Gio Ponti e Carlo Scarpa.
Abbandonati i viluppi tentacolari e narrativi che ornavano gli arazzi e i tappeti Liberty, questi oggetti divengono parte di ambienti sia privati che monumentali, come nel caso del celebre olio su tela d’arazzo Genio Futurista di Giacomo Balla, il più grande mai realizzato dall’artista e presentato all’Esposizione di Parigi nel 1925.
SEZIONE VIII
Maria Monaci Gallenga e Riccardo Gualino
Maria Monaci Gallenga e Riccardo Gualino, ciascuno alla propria personale maniera, furono entrambi portavoce delle nuove istanze artistiche che caratterizzarono l’ambiente culturale e artistico italiano a partire dal primo ventennio del secolo.
Entrambi appartenenti all’alta borghesia – proveniente da una ricca famiglia romana la prima (il padre era l’accademico Ernesto Monaci, il marito lo stimato medico Pietro Gallenga), industriale torinese il secondo (fu il fondatore della Società di Navigazione Italo Americana (SNIA), che in seguito divenne una delle più importanti aziende del paese nella produzione di rayon) – Gallenga e Gualino contribuirono, con la loro attività di amatori d’arte, collezionisti e mecenati alla diffusione e allo sviluppo delle istanze aggiornate sul moderno gusto Déco.
Inserita sin dalla giovane età nel vivace ambiente culturale romano Maria Monaci Gallenga, raffinata disegnatrice di stoffe ed abiti ispirato dalle creazioni di Mariano Fortuny, diede vita nel 1920 alla società destinata alla diffusione dell’arte italiana AMI (Arte Moderna Italiana) aprendo la Bottega italiana in via Veneto (seguita, nel 1926, dalla Boutique italienne inaugurata a Parigi), nelle cui sale esponeva, oltre alle sue eleganti creazioni che riscuotevano un grande successo nei ricchi ambienti alto borghesi e all’estero, opere d’arte, sculture, oggetti di arredamento, elementi di arredo, arazzi, ceramiche, ferri battuti realizzati soprattutto da quegli artisti orientati verso le arti decorative che conosceva e frequentava come Duilio Cambellotti, Antonio Gerardi, ma soprattutto Vittorio Zecchin, i cui raffinati vetri erano fra le proposte di punta dei suoi spazi espositivi.
Riccardo Gualino fu un’importante e riconosciuta figura di riferimento, insieme alla moglie Cesarina, della vita culturale italiana a partire dalla metà degli anni Venti. Appassionato di arte e musica (al 1924 data la realizzazione del celebre teatrino privato nell’abitazione torinese di via Galliari, decorato da Felice Casorati), collezionista non solo di arte antica e contemporanea ma anche di arte orientale, nonché moderno mecenate, la sua raccolta rifletteva appieno il gusto e la conoscenza delle più aggiornate tendenze artistiche. Amico di critici, intellettuali e artisti, fu a Felice Casorati che Gualino affidò la realizzazione di un suo iconico ritratto, eseguito insieme a quelli della moglie e del figlio; nel 1928 incaricò gli architetti Gino Levi Montalcini e Giuseppe Pagano del progetto per gli uffici SALPA, connotati da una rigorosa sintesi progettuale e da una forte sintonia tra il design degli arredi e degli ambienti, realizzando un mirabile esempio della versatilità delle istanze Déco.
SEZIONE IX
I manifesti, la grafica e l’illustrazione
Nel primo dopoguerra l’arte del manifesto raggiunge esiti di incredibile modernità, veicolando messaggi, ma soprattutto inventandoli, tanto da divenire emblemi e al contempo industria di modelli di comportamento contribuendo alle necessità della vita economica: vendere, favorire il massimo profitto. A partire dagli anni venti si attenua ad esempio l’importanza dell'aspetto fisico, e in primo luogo a quello del corpo femminile, trasformando le allegre cocottes Liberty in sottili figure e linee pure che restituivano soltanto un'idea della donna, ma soprattutto imposero una sorta di uniformità dell'abbigliamento e del comportamento che si spinse a modellare il viso in figure di bambole raffinate e seducenti.
La grafica editoriale fu, come per il Liberty, il veicolo più immediato di diffusione della nuova tendenza, capace di insinuarsi nei più diversi ambiti dell’espressione, divenendo una delle principali recettrici del gusto Déco.
Il catalogo
La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Silvana Editoriale, a cura di Francesco Parisi, che presenta saggi del curatore e di Roberto Dulio (architettura), Stefano Andrea Poli (Arti decorative), Manuel Carrera (il ritratto Déco), Alessandro Botta (l’illustrazione) e Mario Finazzi (Futurismo e Déco). Il catalogo è corredato di un ampio apparato scientifico completo di schede critiche delle opere e biografie degli artisti nonché dalla bibliografia di riferimento.
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