Tiziano, Venezia e il Papa Borgia
Dal 29 Giugno 2013 al 06 Ottobre 2013
Pieve di Cadore | Belluno
Luogo: Palazzo Cosmo
Indirizzo: via Arsenale 15
Orari: tutti i giorni 10-18
Enti promotori:
- Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore
- Magnifico Comune di Pieve di Cadore
- Magnifica Comunità di Cadore
Costo del biglietto: intero € 8, ridotto € 6/ € 4, gruppi € 6
Telefono per informazioni: +39 0435 212170
E-Mail info: a.lacchin@villaggioglobale.191.it
Sito ufficiale: http://www.tizianovecellio.it
La si potrebbe definire una mostra dossier, una mostra indagine, una potente lente di ingrandimento attraverso la quale il pubblico potrà penetrare nei diversi aspetti storici, stilistici, compositivi, iconografici di un’opera chiave degli inizi della carriere del grande Tiziano Vecellio.
Un modo affascinante e insolito di cogliere i significati e i processi creativi che stanno “dietro” e “dentro” un capolavoro.
La mostra “Tiziano, Venezia e il papa Borgia”, che la Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore promuove dal 29 giugno al 6 ottobre in occasione dei suoi primi dieci anni d’attività, insieme al paese natale del grande artista Pieve di Cadore e alla Magnifica Comunità del Cadore - curata da Bernard Aikema e organizzata da Villaggio Globale International - vuole esser il racconto, assolutamente inedito,
di quella notissima e fondamentale opera, conservata al Museum voor Schone Kunsten di Anversa, in cui Tiziano dipinge “Il vescovo Jacopo Pesaro e papa Alessandro VI davanti a San Pietro”.
Un’opera che ora si conosce meglio, grazie alla recente pulitura e alle preliminari indagini e che
– dopo tanti tentativi compiuti negli anni passati – è prestata in Italia per la prima volta solo in occasione degli eventi tizianeschi di questa stagione.
Ogni capolavoro del Maestro è un caso a sé, ha una sua storia, dei suoi riferimenti iconografici, degli obiettivi programmatici; condensa memorie, esplora nuove vie, rivela maturazioni e pensieri in divenire, manifesta gusti, tendenze, volontà ma anche relazioni, incontri, dinamiche politiche e commerciali. E’ il segno di un’epoca e del percorso artistico intrapreso.
La tela commissionata da Jacopo Pesaro al giovane Vecellio non è da meno e la mostra offre l’occasione, attraverso una decina di opere di puntuale riferimento e di confronto
- dipinti, disegni e silografie, gemme e armature, documenti preziosi – non solo di riconsiderare lo stile e la datazione del quadro di Anversa, oggetto spesso di travisamenti e di svariate ipotesi,
ma anche di esaminare più da vicino gli avvenimenti che ne circondarono la commissione.Molti particolari sono stati trascurati o male interpretati mentre il suo oggetto preciso e le cerimonie
che lo hanno ispirato non sono stati analizzati a fondo.
Se dunque l’opera in passato era stata considerata addirittura come la più antica realizzata da Tiziano e si era anche ipotizzato che il quadro fosse stato dipinto in diverse fasi o, magari, iniziato da Bellini e ultimato da Tiziano - considerata la presunta discrepanza qualitativa tra la figura di San Pietro e quella degli altri due personaggi - gli esami eseguiti
hanno dimostrato che la tela è stata prodotta in un’unica soluzione ed è paragonabile, sotto il profilo tecnico e dei materiali, alle opere di Tiziano del 1510 – 1514 circa: eseguita su una fitta tela ad armatura semplice, con il supporto coperto da un sottile strato di gesso sul quale Tiziano ha abbozzato la composizione con il carboncino.
Le apparenti differenze nella resa non sarebbero per altro dovute a una molteplicità di mani o di fasi esecutive ma ad uno stato di conservazione piuttosto altalenante: se il volto di Jacopo è ben conservato quello di San Pietro è piuttosto abraso.
Risulta per altro evidente la maggiore evoluzione rispetto al grande telero della “Fuga in Egitto” dell’Ermitage, recentemente esposto a Venezia, e soprattutto sarà di grande suggestione notare in mostra le affinità con un’altra straordinaria opera di Tiziano, esposta a confronto, come “Tobiolo e l’Angelo”, eseguito per la famiglia Bembo già in Santa Caterina a Venezia
(ora alla Gallerie dell’Accademia), che ripropone una analoga ripartizione chiaro - scuro.
Le suggestioni e i rimandi offerti dall’esposizione sono del resto molteplici.
Jacopo Pesaro commissiona a Tiziano l’opera per celebrare e ricordare la sua “vana” vittoria sui Turchi a capo delle galere pontificie, avvenuta nel 1502 con la conquista dell’isola di San Maura. Probabilmente lo decide alcuni anni dopo l’evento e in ogni modo il quadro non è un ex voto commissionato per mantenere una promessa, non ha una funzione ufficiale né è destinato a rimanere in uno spazio pubblico, come sarà invece per la famosa “Pala Pesaro” richiesta sempre a Tiziano nel 1519 (e ultimata nel 1526) per l’altare della Chiesa dei Frari.
Il fatto è che, genialmente, Tiziano fonde insieme immagini della tradizione veneziana tratte dalla monete e dai teleri votivi con lo scopo di proiettare Jacopo in un ruolo al di sopra della sua effettiva posizione nella società veneziana, richiamandosi all’iconografia dogale.
La presenza in mostra del dipinto di Vincenzo Catena “Madonna col Bambino e i Santi Marco e Giovanni Battista, e il doge Leonardo Loredan” commissionato da Loredan come immagine votiva da donare per Palazzo Ducale - opera probabilmente nota sia a Tiziano che a Pesaro - esplicita questi riferimenti, pur nell’arretratezza psicologica dei personaggi di Catena.
D’altra parte la grandezza di Tiziano e la ragione della dicotomia visiva tra la rigidità arcaica del Santo e l’atteggiamento più naturalistico di Jacopo e del papa sta proprio nel voler fondere una sequenza narrativa – la benedizione dello stendardo militare dei Pesaro effettivamente avvenuta – con la tradizionale iconografia devozionale.
Nel quadro di Anversa metà dello sfondo è occupato dalla galere papali che non sono impegnate nella battaglia ma sono in partenza. Non si commemora la vittoria ma la benedizione messa in risalto dal drappo d’onore che esalta il rosso vivo della tunica di San Pietro, bilanciando l’espandersi dei voluminosi panneggi delle vesti dei due supplicanti che presentano il vessillo.
L’attenzione del visitatore della mostra - che potrà davvero leggere a trecentosessanta gradi il capolavoro della fase giovanile di Tiziano, grazie anche a un apparato multimediale di notevole forza esplicativa ed emotiva - viene indirizzata anche su altri particolari non meno significativi grazie alle opere scelte come riferimenti testuali o di suggestione.
Basti pensare all’elmo posto a fianco di Pesaro e reso magistralmente da Tiziano, che sta a sottolineare la posizione di commissario della flotta papale di Jacopo: si tratta di una “celata” dalla lunga gronda posteriore, analoga a quella esposta in mostra, diffusa in tutta l’Italia settentrionale tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI.
Straordinario poi quel podio marmoreo a più livelli su cui troneggia San Pietro, un bassorilievo che è un’invenzione all’antica, per chiarire e commentare il tema principale del dipinto (si allude alla vittoria di Santa Maura nel più ampio contesto del trionfo della Chiesa sul Paganesimo) laddove Tiziano rende monumentali le proprie figure infondendovi la tridimensionalità dei sarcofagi antichi.
“La gamma monocromatica applicata con pennellate fluide e granulose imita la superficie del marmo corroso dal tempo - scrive la Brown - senza però copiare nessuna opera nota”. Probabilmente lapassione per l’antico era condivisa con Pesaro che era stato maestro di cerimonie presso Domenico Grimani, vescovo di Pafo prima di lui, il quale possedeva una collezione antiquaria romana straordinaria, ma anche cammei, corniole gemme intagliate d’ogni tipo.
Il fregio di Tiziano dimostra che egli conosceva bene le immagini di satiri e menadi che apparivano sulle gemme così come la Venere victrix seminuda e vista di spalle con un cumolo di armature ai suoi piedi: la bellissima “gemma” del I e II secolo d.C., esposta insieme al “cammeo con scena di Baccanale”, ne è un chiaro riferimento così come lo possono essere le menadi semi drappeggiate e viste da tergo che appaiono su un antico “altare cilindrico” romano ben noto nel Veneto a metà del Quattrocento, proveniente probabilmente da una località vicino a Padova dato che due delle menadi danzanti erano state copiate anche da Bellini.
D’altra parte, qualunque sia il riferimento cui guarda Tiziano, la graziosa giovane che il Maestro dipinge con il braccio sinistro alzato viene riproposta sotto le spoglie della Sibilla Eritrea in una notevole silografia di Tiziano, il “Trionfo di Cristo”, prestata dal Museo di Bassano del Grappa.
La tela di Anversa probabilmente era un oggetto squisitamente privato collocato nel palazzo di famiglia a differenza della grandiosa pala dei Frari nessun autore o documento cinquecentesco accenna mai alla commissione . Il primissimo ricordo del quadro è un rapido schizzo nel “Taccuino italiano” di Antony van Dyck che nel 1622 aveva trascorso due mesi a Venezia per studio e per trovare opere pittoriche da esportare in Inghilterra.
Tra i luoghi che aveva visitato e dove aveva visto le “cose di Tiziano” figura l’abitazione di Daniel Nys un collezionista e mercante fiammingo che potrebbe aver trattato la vendita del quadro a Carlo I d’Inghilterra non molto tempo dopo. Non si conoscono i motivi della vendita, forse una diretta conseguenza dei progetti della famiglia Pesaro di costruire un magnifico nuovo palazzo sul Canal Grande. In ogni modo nel 1639 la tela risultava appesa nelle stanze private del re d’Inghilterra nel palazzo di Whitehall.
Dopo la decapitazione del sovrano nel 1649, le proprietà personali furono vendute per saldarne i debiti colossali. Messo all’asta a Somerset House, c’è chi ritiene che il dipinto di Tiziano sia stato acquistato dal capo vetraio delle residenze del sovrano, quindi entrato nelle collezioni del duca di Medina di Risecco e ammiraglio di Castiglia. Verrà acquistato
a Parigi da Guglielmo I d’Olanda e donato nel 1823 al Museo d’Anversa.
La mostra sarà accompagnata da un volume edito da Fondazione Fratelli Alinari a cura di Bernard Aikema che, come l’esposizione, vuole essere un intenso racconto che integra saggi e note sulle opere e sulle loro relazioni con il fondamentale dipinto di Anversa. Autori dei testi: Beverly L. Brown, Hélène Dubois, ArieWallert, Peter Laudemann, Paola Artoni, Sandra Rossi, Thomas Dalla Costa e Carlo Corsato.
Un modo affascinante e insolito di cogliere i significati e i processi creativi che stanno “dietro” e “dentro” un capolavoro.
La mostra “Tiziano, Venezia e il papa Borgia”, che la Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore promuove dal 29 giugno al 6 ottobre in occasione dei suoi primi dieci anni d’attività, insieme al paese natale del grande artista Pieve di Cadore e alla Magnifica Comunità del Cadore - curata da Bernard Aikema e organizzata da Villaggio Globale International - vuole esser il racconto, assolutamente inedito,
di quella notissima e fondamentale opera, conservata al Museum voor Schone Kunsten di Anversa, in cui Tiziano dipinge “Il vescovo Jacopo Pesaro e papa Alessandro VI davanti a San Pietro”.
Un’opera che ora si conosce meglio, grazie alla recente pulitura e alle preliminari indagini e che
– dopo tanti tentativi compiuti negli anni passati – è prestata in Italia per la prima volta solo in occasione degli eventi tizianeschi di questa stagione.
Ogni capolavoro del Maestro è un caso a sé, ha una sua storia, dei suoi riferimenti iconografici, degli obiettivi programmatici; condensa memorie, esplora nuove vie, rivela maturazioni e pensieri in divenire, manifesta gusti, tendenze, volontà ma anche relazioni, incontri, dinamiche politiche e commerciali. E’ il segno di un’epoca e del percorso artistico intrapreso.
La tela commissionata da Jacopo Pesaro al giovane Vecellio non è da meno e la mostra offre l’occasione, attraverso una decina di opere di puntuale riferimento e di confronto
- dipinti, disegni e silografie, gemme e armature, documenti preziosi – non solo di riconsiderare lo stile e la datazione del quadro di Anversa, oggetto spesso di travisamenti e di svariate ipotesi,
ma anche di esaminare più da vicino gli avvenimenti che ne circondarono la commissione.Molti particolari sono stati trascurati o male interpretati mentre il suo oggetto preciso e le cerimonie
che lo hanno ispirato non sono stati analizzati a fondo.
Se dunque l’opera in passato era stata considerata addirittura come la più antica realizzata da Tiziano e si era anche ipotizzato che il quadro fosse stato dipinto in diverse fasi o, magari, iniziato da Bellini e ultimato da Tiziano - considerata la presunta discrepanza qualitativa tra la figura di San Pietro e quella degli altri due personaggi - gli esami eseguiti
hanno dimostrato che la tela è stata prodotta in un’unica soluzione ed è paragonabile, sotto il profilo tecnico e dei materiali, alle opere di Tiziano del 1510 – 1514 circa: eseguita su una fitta tela ad armatura semplice, con il supporto coperto da un sottile strato di gesso sul quale Tiziano ha abbozzato la composizione con il carboncino.
Le apparenti differenze nella resa non sarebbero per altro dovute a una molteplicità di mani o di fasi esecutive ma ad uno stato di conservazione piuttosto altalenante: se il volto di Jacopo è ben conservato quello di San Pietro è piuttosto abraso.
Risulta per altro evidente la maggiore evoluzione rispetto al grande telero della “Fuga in Egitto” dell’Ermitage, recentemente esposto a Venezia, e soprattutto sarà di grande suggestione notare in mostra le affinità con un’altra straordinaria opera di Tiziano, esposta a confronto, come “Tobiolo e l’Angelo”, eseguito per la famiglia Bembo già in Santa Caterina a Venezia
(ora alla Gallerie dell’Accademia), che ripropone una analoga ripartizione chiaro - scuro.
Le suggestioni e i rimandi offerti dall’esposizione sono del resto molteplici.
Jacopo Pesaro commissiona a Tiziano l’opera per celebrare e ricordare la sua “vana” vittoria sui Turchi a capo delle galere pontificie, avvenuta nel 1502 con la conquista dell’isola di San Maura. Probabilmente lo decide alcuni anni dopo l’evento e in ogni modo il quadro non è un ex voto commissionato per mantenere una promessa, non ha una funzione ufficiale né è destinato a rimanere in uno spazio pubblico, come sarà invece per la famosa “Pala Pesaro” richiesta sempre a Tiziano nel 1519 (e ultimata nel 1526) per l’altare della Chiesa dei Frari.
Il fatto è che, genialmente, Tiziano fonde insieme immagini della tradizione veneziana tratte dalla monete e dai teleri votivi con lo scopo di proiettare Jacopo in un ruolo al di sopra della sua effettiva posizione nella società veneziana, richiamandosi all’iconografia dogale.
La presenza in mostra del dipinto di Vincenzo Catena “Madonna col Bambino e i Santi Marco e Giovanni Battista, e il doge Leonardo Loredan” commissionato da Loredan come immagine votiva da donare per Palazzo Ducale - opera probabilmente nota sia a Tiziano che a Pesaro - esplicita questi riferimenti, pur nell’arretratezza psicologica dei personaggi di Catena.
D’altra parte la grandezza di Tiziano e la ragione della dicotomia visiva tra la rigidità arcaica del Santo e l’atteggiamento più naturalistico di Jacopo e del papa sta proprio nel voler fondere una sequenza narrativa – la benedizione dello stendardo militare dei Pesaro effettivamente avvenuta – con la tradizionale iconografia devozionale.
Nel quadro di Anversa metà dello sfondo è occupato dalla galere papali che non sono impegnate nella battaglia ma sono in partenza. Non si commemora la vittoria ma la benedizione messa in risalto dal drappo d’onore che esalta il rosso vivo della tunica di San Pietro, bilanciando l’espandersi dei voluminosi panneggi delle vesti dei due supplicanti che presentano il vessillo.
L’attenzione del visitatore della mostra - che potrà davvero leggere a trecentosessanta gradi il capolavoro della fase giovanile di Tiziano, grazie anche a un apparato multimediale di notevole forza esplicativa ed emotiva - viene indirizzata anche su altri particolari non meno significativi grazie alle opere scelte come riferimenti testuali o di suggestione.
Basti pensare all’elmo posto a fianco di Pesaro e reso magistralmente da Tiziano, che sta a sottolineare la posizione di commissario della flotta papale di Jacopo: si tratta di una “celata” dalla lunga gronda posteriore, analoga a quella esposta in mostra, diffusa in tutta l’Italia settentrionale tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI.
Straordinario poi quel podio marmoreo a più livelli su cui troneggia San Pietro, un bassorilievo che è un’invenzione all’antica, per chiarire e commentare il tema principale del dipinto (si allude alla vittoria di Santa Maura nel più ampio contesto del trionfo della Chiesa sul Paganesimo) laddove Tiziano rende monumentali le proprie figure infondendovi la tridimensionalità dei sarcofagi antichi.
“La gamma monocromatica applicata con pennellate fluide e granulose imita la superficie del marmo corroso dal tempo - scrive la Brown - senza però copiare nessuna opera nota”. Probabilmente lapassione per l’antico era condivisa con Pesaro che era stato maestro di cerimonie presso Domenico Grimani, vescovo di Pafo prima di lui, il quale possedeva una collezione antiquaria romana straordinaria, ma anche cammei, corniole gemme intagliate d’ogni tipo.
Il fregio di Tiziano dimostra che egli conosceva bene le immagini di satiri e menadi che apparivano sulle gemme così come la Venere victrix seminuda e vista di spalle con un cumolo di armature ai suoi piedi: la bellissima “gemma” del I e II secolo d.C., esposta insieme al “cammeo con scena di Baccanale”, ne è un chiaro riferimento così come lo possono essere le menadi semi drappeggiate e viste da tergo che appaiono su un antico “altare cilindrico” romano ben noto nel Veneto a metà del Quattrocento, proveniente probabilmente da una località vicino a Padova dato che due delle menadi danzanti erano state copiate anche da Bellini.
D’altra parte, qualunque sia il riferimento cui guarda Tiziano, la graziosa giovane che il Maestro dipinge con il braccio sinistro alzato viene riproposta sotto le spoglie della Sibilla Eritrea in una notevole silografia di Tiziano, il “Trionfo di Cristo”, prestata dal Museo di Bassano del Grappa.
La tela di Anversa probabilmente era un oggetto squisitamente privato collocato nel palazzo di famiglia a differenza della grandiosa pala dei Frari nessun autore o documento cinquecentesco accenna mai alla commissione . Il primissimo ricordo del quadro è un rapido schizzo nel “Taccuino italiano” di Antony van Dyck che nel 1622 aveva trascorso due mesi a Venezia per studio e per trovare opere pittoriche da esportare in Inghilterra.
Tra i luoghi che aveva visitato e dove aveva visto le “cose di Tiziano” figura l’abitazione di Daniel Nys un collezionista e mercante fiammingo che potrebbe aver trattato la vendita del quadro a Carlo I d’Inghilterra non molto tempo dopo. Non si conoscono i motivi della vendita, forse una diretta conseguenza dei progetti della famiglia Pesaro di costruire un magnifico nuovo palazzo sul Canal Grande. In ogni modo nel 1639 la tela risultava appesa nelle stanze private del re d’Inghilterra nel palazzo di Whitehall.
Dopo la decapitazione del sovrano nel 1649, le proprietà personali furono vendute per saldarne i debiti colossali. Messo all’asta a Somerset House, c’è chi ritiene che il dipinto di Tiziano sia stato acquistato dal capo vetraio delle residenze del sovrano, quindi entrato nelle collezioni del duca di Medina di Risecco e ammiraglio di Castiglia. Verrà acquistato
a Parigi da Guglielmo I d’Olanda e donato nel 1823 al Museo d’Anversa.
La mostra sarà accompagnata da un volume edito da Fondazione Fratelli Alinari a cura di Bernard Aikema che, come l’esposizione, vuole essere un intenso racconto che integra saggi e note sulle opere e sulle loro relazioni con il fondamentale dipinto di Anversa. Autori dei testi: Beverly L. Brown, Hélène Dubois, ArieWallert, Peter Laudemann, Paola Artoni, Sandra Rossi, Thomas Dalla Costa e Carlo Corsato.
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