Yumiko Kimura e Akiko Fujimoto. Un incontro possibile: dialogo tra il vetro e la carta
Dal 28 Febbraio 2015 al 30 Aprile 2015
Bergamo
Luogo: Galleria Marelia arte moderna e contemporanea
Indirizzo: via Torretta 4
Orari: da lunedì a sabato 15-19.30
Curatori: Paola Silvia Ubiali
Enti promotori:
- Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media impresa di Bergamo
- Vetraria Santini
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 347 8206829
E-Mail info: info@galleriamarelia.it
Sito ufficiale: http://www.galleriamarelia.it
Yumiko Kimura: il rigore, la levità, l’eleganza del vetro. Akiko Fujimoto: il calore, la ricercatezza, l’energia tattile della carta. Sono questi i punti di riferimento della mostra che le due artiste giapponesi allestiranno alla Galleria Marelia di Bergamo, sfidandosi l’una con l’altra sulle tracce di tradizioni antichissime e culture millenarie, lasciando emergere sensibilità e percorsi di vita profondamente diversi. In un duello che è anche una danza, Kimura e Fujimoto lavoreranno materiali opposti: l’artificiale e il naturale. Dissimili per caratteristiche fisiche e distanti per metodi di produzione, pur nelle forti differenze il vetro e la carta possiedono la capacità di colloquiare tra loro con inaspettata armonia.
Il vetro usato da Yumiko Kimura nelle sue sculture e installazioni è il float industriale, ossia il vetro comunemente utilizzato per finestre, porte, tavoli, specchi. Oltre il 90% del vetro prodotto a livello mondiale è ottenuto con questo metodo. Viene così chiamato dal nome del più diffuso procedimento di fabbricazione messo a punto in Gran Bretagna negli anni Cinquanta. Il termine deriva dal verbo inglese to float in quanto, ad un certo punto del processo, il nastro di vetro in formazione si trova letteralmente a “galleggiare” in assenza di aria su uno strato di stagno liquido. Questo procedimento fornisce un prodotto di elevata qualità a costi contenuti.
Akiko Fujimoto impiega invece la carta Uda, un materiale prezioso, appartenente alla tradizione giapponese. Si tratta di una delle tante varietà di carta washi e veniva realizzata a Yoshino dall’anziano maestro Hiroyuki Fukunishi, considerato, fino alla sua scomparsa nell’agosto 2014, un “tesoro nazionale vivente”. Ancor oggi l’atelier Fukunishi produce questa carta con delicati metodi artigianali rigorosamente manuali rimasti invariati dal VIII secolo e tramandatisi di generazione in generazione a partire dal legno di un particolare tipo di gelso chiamato Kozo. Gli artigiani fanno bollire le fibre vegetali, le battono e le impastano con una colla naturale fatta di acqua di fiume e mucillagini. Per rendere il prodotto finale resistente e impedire la nascita di parassiti viene aggiunta al composto una piccola quantità di terra bianca della zona montuosa di Yoshino, infine si filtra e si lascia asciugare su assi di legno. La carta di tipo washi è stata recentemente inclusa dall’Unesco nel patrimonio culturale dell’umanità. In una mostra dedicata a due artiste giapponesi non è fuori luogo trovare qualcosa di simile agli origami, i famosi piccoli oggetti costruiti attraverso l’arte del piegare la carta. Lavorando con questo materiale, non stupirebbe che se ne occupasse Akiko Fujimoto. Curiosamente è invece Yumiko Kimura ad elaborarli - se così si possono chiamare con un termine certamente improprio ma efficace - i singoli oggetti in vetro che compongono le sue installazioni. Sebbene anche l’uso del vetro in Giappone risalga all’antichità e ancor oggi la tradizione artigianale vetraria in Giappone risulti fiorente sia per quanto riguarda il vetro soffiato (Bidoro, Furin) che quello inciso (Satsuma Kiriko), Yumiko Kimura sceglie il vetro industriale contemporaneo con il preciso obiettivo di reinventare un materiale “vecchio” di oltre cinquemila anni.
L’artista lavora su base progettuale cominciando dal disegno e dallo studio geometrico delle forme, cercando soluzioni strutturali che possano colloquiare con la luce, naturale o artificiale. Gran parte del lavoro è realizzato con la tecnica del collage: in pochi secondi l’azione dei raggi ultravioletti fa polimerizzare le colle UV liquide, inodori e completamente trasparenti precedentemente spalmate dall’artista tra uno strato di vetro e l’altro. Tale tecnica permette di creare sculture che vanno da piccole volumetrie sino a maestose e solenni composizioni, mantenendo leggerezza e ariosità. In questo lavoro non c’è spazio per l’improvvisazione, tutto è calcolato al millimetro, dal taglio della lastra all’assemblaggio, con la massima concentrazione, per evitare scheggiature, sbavature e imperfezioni. E’ un processo di non ritorno, il minimo errore renderebbe il lavoro irrecuperabile. Yumiko Kimura fa parte del Movimento Madi Internazionale nato in Argentina nel 1946 e tutt’oggi attivo. Lavorando nello spirito del gruppo e condividendone la filosofia, la sua progettualità non ha fini simbolici o rappresentativi, è pura arte aniconica che si allontana dal particolarismo aneddotico del dato naturale per esprimere “concretamente” le forme plastiche e universali che sottendono al reale. L’artista aspira al distacco emozionale a favore di una ricerca interessata soprattutto all’oggetto, alla sua fisicità e al materiale di cui è composto. I lavori di Yumiko Kimura si offrono allo spazio e alla luce semplicemente, nella purezza e nel rigore delle forme.
Totalmente differente è il lavoro di Akiko Fujimoto che agisce invece su base emotiva, con un procedimento istintivo e viscerale. Da impasti di materiali naturali - in particolare carta washi - genera membrane sottili e forme leggere, le lega ad esili rami, le sospende con fili di nylon e le fissa a terra, a soffitto o a parete.
Ricordano strutture dall’aspetto primordiale, residui di epoche lontane e misteriose: silenti baccelli, nidi e gusci vuoti, involucri fluttuanti nel nulla, crisalidi abbandonate da insetti di cui nessuno ricorda il nome, bozzoli poco rassicuranti ma perfettamente credibili. Akiko Fujimoto ci mostra degli oggetti “altri”, entità fragili, persino teneramente buffe, avulse da qualsiasi possibile contesto, aggrappate all’invisibile e precariamente galleggianti nell’etere. Quiete presenze tra il reperto biologico e il corpo alieno, questi surreali, annaspanti organismi popolano con effetto straniante lo spazio della galleria disorientando l’osservatore, attratto e sconcertato dalla loro vulnerabilità e dal bisogno di protezione che comunicano, proprio perché indifesi come lo è la natura.
I lavori di Akiko Fujimoto sono earth-friendly e biodegradabili, possono infatti essere idealmente lasciati decomporre nell’ambiente naturale senza provocare danni, producendo semmai sostanze nutritive preziose per altri viventi. Questa circolarità è il cardine principale della sua filosofia artistica. Dal 2002 intitola le sue serie Life work, termine che, a seconda venga scritto con la “s” finale o meno assume diversi significati: “il lavoro di tutta una vita”, “l’insieme dei lavori della vita” ma anche “lavori di vita” nel senso di “viventi” in quanto organici e naturali.
Yumiko Kimura e Akiko Fujimoto realizzeranno parte del lavoro nei relativi studi di Parigi e di Osaka e completeranno l’allestimento direttamente in galleria, nei dieci giorni antecedenti la mostra, cercando un accordo nelle differenti esigenze e il miglior dialogo possibile tra le rispettive modalità d’espressione.
Le due artiste sono legate da una rispettosa amicizia. Si sono incontrate la prima volta nel 2004 a Osaka nel corso di una serata organizzata da amici. Nel maggio 2005 si sono di nuovo casualmente riviste a Parigi. La comune ammirazione per l’artista giapponese Shigeru Shinjo ha posto le basi dell’attuale rapporto di reciproca stima e collaborazione professionale che le lega.
Yumiko Kimura è nata a Tokyo nel 1961, vive e lavora a Parigi.
Dopo il liceo entra all’Istituto della moda di Bunka dal quale sono usciti stilisti mondialmente conosciuti come Rei Kawakubo di Comme des garçons, Yoji Yamamoto, Kenzo Takata, ecc.. partecipando al corso triennale di creazione di accessori e gioielli di Toyo Sakai e Akemi Fukasawa. Nel 1981 compie un viaggio-studio in Europa organizzato dall’Istituto stesso: Londra, Parigi e un Grand Tour in Italia. Dopo aver pianto davanti agli affreschi di Giotto ad Assisi, aver sentito una voce interiore vicino ai Prigioni di Michelangelo a Firenze ed essersi commossa al cospetto dell’arte bizantina a Ravenna, si accorge che la sua visione del mondo è completamente cambiata.
Dopo una tale intensa esperienza, i suoi interessi si focalizzano sul design italiano e l'arte.
Nel 1984, dopo il diploma, parte per l’Italia con Bergamo come prima meta, poi Perugia e Torino. Gli anni Ottanta sono un’epoca d’oro per il design italiano e Torino è molto dinamica grazie alla Fiat. Yumiko Kimura studia privatamente progettazione e design e lavora a progetti nel campo dell’illuminotecnica essendo quegli anni il momento di passaggio dalla lampadina tradizionale all’alogena. Parallelamente frequenta l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, prima seguendo i corsi di Scenografia e poi di Scultura laureandosi nell’estate 1990. In questo periodo realizza lavori con materiali poveri e plexiglas.
Nel 1993 torna in Giappone e comincia a studiare e a lavorare il vetro frequentando il Centro di studi delle arti del vetro di Tokyo. Nel 1998, in occasione dell’anno franco-giapponese, visita la mostra di un atelier vetraio parigino e scopre la tecnica del “gemmail”, la vetrata a smalto usata anche da Picasso e l’anno seguente si trasferisce a Parigi per imparla, senza riuscirci. Nel frattempo conosce molti artisti contemporanei del vetro europei, scoprendo una grande varietà: dal delicato approccio di Matei Negreanu, ai riflessi di Yan Zoritchak, alla follia di Véronique Monod fino ai multicolor di Henri Guérin e al rigore di Roger Demyttenaere. Nel 2000 comincia a praticare il collage UV e nel 2002 realizza la prima opera con illuminazione a LED.
Nel 2005 incontra Carmelo Arden Quin, figura emblematica, co-fondatore nel 1946 del Movimento Madi che la invita ed entrare nel raggruppamento aristico internazionale. Da questo momento partecipa a tutte le mostre oganizzate dal movimento nel mondo, dal Giappone alla Francia, dal Belgio alla Russia, dall’Argentina all’Italia. La disciplina dell'arte geometrica seguita dal Madi e gli stretti contatti con i colleghi di nazionalità diverse producono ulteriori stimoli. Si convince che la forma geometrica renda meglio le caratteristiche di trasparenza del vetro e, come suggerito anche da Arden Quin sceglie materiali e procedimenti del XX secolo: vetro industriale float, inventato nel 1952 e collage UV impiegato dal 1985, legati tra loro in quanto entrambi usati nel campo delle costruzioni: architettura, elettronica, ottica e infine l’uso della luce a LED il cui sviluppo tecnologico è ancora in corso. Yumiko Kimura predilige la luce LED blu, inventata da tre ricercatori giapponesi negli anni Novanta, premiati nel 2014 con il Nobel per la fisica.
Akiko Fujimoto è nata nel 1971 a Osaka dove vive e lavora.
Negli anni Novanta, influenzata da Michio Fukuoka, suo professore al collegio universitario di Kansai, comincia ad impiegare nei suoi lavori materiali sintetici come fibre di vetro, lacche e resine sintetiche. Parallelamente, per esercitare il senso dello spazio, impara l’Ikebana, l'arte della disposizione dei fiori alla scuola Soghetsu. Lavora come insegnante di Belle Arti alla scuola media di Osaka e il contatto con i giovani studenti la porta a rifiutare i materiale chimici a favore di quelli naturali, non tossici.
Aspirando alla professione curatoriale, nel 1998 si iscrive all’Università di Belle Arti di Osaka laureandosi nel 2002. Per un breve periodo lavora presso il museo di arte contemporanea di Tokyo ma abbandona la carriera curatoriale per dedicarsi a quella artistica.
Dal 2001 al 2007 Akiko Fujimoto utilizza soprattutto materiali vegetali come semi, muschio, girasoli essiccati. Nel 2001, in occasione di un festival d’arte a Takumi, nella provincia di Nara, al quale partecipa con un’installazione fatta di carta giapponese, viene a contatto con l’atelier Fukunishi. Per la sua prima mostra personale che ha luogo all’Espace Bertin Poirée di Parigi nel 2007, non potendo usare materiali organici e vegetali che sarebbero stati bloccati alla frontiera per questioni sanitarie, Akiko Fujimoto lavora a stretto contatto con il maestro Fukunishi e realizza un’installazione con la carta Uda di alta qualità che diventa il suo materiale prediletto. La morte del maestro giapponese nell’agosto 2014 apre una nuova fase nella vita dell’artista.
Il vetro usato da Yumiko Kimura nelle sue sculture e installazioni è il float industriale, ossia il vetro comunemente utilizzato per finestre, porte, tavoli, specchi. Oltre il 90% del vetro prodotto a livello mondiale è ottenuto con questo metodo. Viene così chiamato dal nome del più diffuso procedimento di fabbricazione messo a punto in Gran Bretagna negli anni Cinquanta. Il termine deriva dal verbo inglese to float in quanto, ad un certo punto del processo, il nastro di vetro in formazione si trova letteralmente a “galleggiare” in assenza di aria su uno strato di stagno liquido. Questo procedimento fornisce un prodotto di elevata qualità a costi contenuti.
Akiko Fujimoto impiega invece la carta Uda, un materiale prezioso, appartenente alla tradizione giapponese. Si tratta di una delle tante varietà di carta washi e veniva realizzata a Yoshino dall’anziano maestro Hiroyuki Fukunishi, considerato, fino alla sua scomparsa nell’agosto 2014, un “tesoro nazionale vivente”. Ancor oggi l’atelier Fukunishi produce questa carta con delicati metodi artigianali rigorosamente manuali rimasti invariati dal VIII secolo e tramandatisi di generazione in generazione a partire dal legno di un particolare tipo di gelso chiamato Kozo. Gli artigiani fanno bollire le fibre vegetali, le battono e le impastano con una colla naturale fatta di acqua di fiume e mucillagini. Per rendere il prodotto finale resistente e impedire la nascita di parassiti viene aggiunta al composto una piccola quantità di terra bianca della zona montuosa di Yoshino, infine si filtra e si lascia asciugare su assi di legno. La carta di tipo washi è stata recentemente inclusa dall’Unesco nel patrimonio culturale dell’umanità. In una mostra dedicata a due artiste giapponesi non è fuori luogo trovare qualcosa di simile agli origami, i famosi piccoli oggetti costruiti attraverso l’arte del piegare la carta. Lavorando con questo materiale, non stupirebbe che se ne occupasse Akiko Fujimoto. Curiosamente è invece Yumiko Kimura ad elaborarli - se così si possono chiamare con un termine certamente improprio ma efficace - i singoli oggetti in vetro che compongono le sue installazioni. Sebbene anche l’uso del vetro in Giappone risalga all’antichità e ancor oggi la tradizione artigianale vetraria in Giappone risulti fiorente sia per quanto riguarda il vetro soffiato (Bidoro, Furin) che quello inciso (Satsuma Kiriko), Yumiko Kimura sceglie il vetro industriale contemporaneo con il preciso obiettivo di reinventare un materiale “vecchio” di oltre cinquemila anni.
L’artista lavora su base progettuale cominciando dal disegno e dallo studio geometrico delle forme, cercando soluzioni strutturali che possano colloquiare con la luce, naturale o artificiale. Gran parte del lavoro è realizzato con la tecnica del collage: in pochi secondi l’azione dei raggi ultravioletti fa polimerizzare le colle UV liquide, inodori e completamente trasparenti precedentemente spalmate dall’artista tra uno strato di vetro e l’altro. Tale tecnica permette di creare sculture che vanno da piccole volumetrie sino a maestose e solenni composizioni, mantenendo leggerezza e ariosità. In questo lavoro non c’è spazio per l’improvvisazione, tutto è calcolato al millimetro, dal taglio della lastra all’assemblaggio, con la massima concentrazione, per evitare scheggiature, sbavature e imperfezioni. E’ un processo di non ritorno, il minimo errore renderebbe il lavoro irrecuperabile. Yumiko Kimura fa parte del Movimento Madi Internazionale nato in Argentina nel 1946 e tutt’oggi attivo. Lavorando nello spirito del gruppo e condividendone la filosofia, la sua progettualità non ha fini simbolici o rappresentativi, è pura arte aniconica che si allontana dal particolarismo aneddotico del dato naturale per esprimere “concretamente” le forme plastiche e universali che sottendono al reale. L’artista aspira al distacco emozionale a favore di una ricerca interessata soprattutto all’oggetto, alla sua fisicità e al materiale di cui è composto. I lavori di Yumiko Kimura si offrono allo spazio e alla luce semplicemente, nella purezza e nel rigore delle forme.
Totalmente differente è il lavoro di Akiko Fujimoto che agisce invece su base emotiva, con un procedimento istintivo e viscerale. Da impasti di materiali naturali - in particolare carta washi - genera membrane sottili e forme leggere, le lega ad esili rami, le sospende con fili di nylon e le fissa a terra, a soffitto o a parete.
Ricordano strutture dall’aspetto primordiale, residui di epoche lontane e misteriose: silenti baccelli, nidi e gusci vuoti, involucri fluttuanti nel nulla, crisalidi abbandonate da insetti di cui nessuno ricorda il nome, bozzoli poco rassicuranti ma perfettamente credibili. Akiko Fujimoto ci mostra degli oggetti “altri”, entità fragili, persino teneramente buffe, avulse da qualsiasi possibile contesto, aggrappate all’invisibile e precariamente galleggianti nell’etere. Quiete presenze tra il reperto biologico e il corpo alieno, questi surreali, annaspanti organismi popolano con effetto straniante lo spazio della galleria disorientando l’osservatore, attratto e sconcertato dalla loro vulnerabilità e dal bisogno di protezione che comunicano, proprio perché indifesi come lo è la natura.
I lavori di Akiko Fujimoto sono earth-friendly e biodegradabili, possono infatti essere idealmente lasciati decomporre nell’ambiente naturale senza provocare danni, producendo semmai sostanze nutritive preziose per altri viventi. Questa circolarità è il cardine principale della sua filosofia artistica. Dal 2002 intitola le sue serie Life work, termine che, a seconda venga scritto con la “s” finale o meno assume diversi significati: “il lavoro di tutta una vita”, “l’insieme dei lavori della vita” ma anche “lavori di vita” nel senso di “viventi” in quanto organici e naturali.
Yumiko Kimura e Akiko Fujimoto realizzeranno parte del lavoro nei relativi studi di Parigi e di Osaka e completeranno l’allestimento direttamente in galleria, nei dieci giorni antecedenti la mostra, cercando un accordo nelle differenti esigenze e il miglior dialogo possibile tra le rispettive modalità d’espressione.
Le due artiste sono legate da una rispettosa amicizia. Si sono incontrate la prima volta nel 2004 a Osaka nel corso di una serata organizzata da amici. Nel maggio 2005 si sono di nuovo casualmente riviste a Parigi. La comune ammirazione per l’artista giapponese Shigeru Shinjo ha posto le basi dell’attuale rapporto di reciproca stima e collaborazione professionale che le lega.
Yumiko Kimura è nata a Tokyo nel 1961, vive e lavora a Parigi.
Dopo il liceo entra all’Istituto della moda di Bunka dal quale sono usciti stilisti mondialmente conosciuti come Rei Kawakubo di Comme des garçons, Yoji Yamamoto, Kenzo Takata, ecc.. partecipando al corso triennale di creazione di accessori e gioielli di Toyo Sakai e Akemi Fukasawa. Nel 1981 compie un viaggio-studio in Europa organizzato dall’Istituto stesso: Londra, Parigi e un Grand Tour in Italia. Dopo aver pianto davanti agli affreschi di Giotto ad Assisi, aver sentito una voce interiore vicino ai Prigioni di Michelangelo a Firenze ed essersi commossa al cospetto dell’arte bizantina a Ravenna, si accorge che la sua visione del mondo è completamente cambiata.
Dopo una tale intensa esperienza, i suoi interessi si focalizzano sul design italiano e l'arte.
Nel 1984, dopo il diploma, parte per l’Italia con Bergamo come prima meta, poi Perugia e Torino. Gli anni Ottanta sono un’epoca d’oro per il design italiano e Torino è molto dinamica grazie alla Fiat. Yumiko Kimura studia privatamente progettazione e design e lavora a progetti nel campo dell’illuminotecnica essendo quegli anni il momento di passaggio dalla lampadina tradizionale all’alogena. Parallelamente frequenta l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, prima seguendo i corsi di Scenografia e poi di Scultura laureandosi nell’estate 1990. In questo periodo realizza lavori con materiali poveri e plexiglas.
Nel 1993 torna in Giappone e comincia a studiare e a lavorare il vetro frequentando il Centro di studi delle arti del vetro di Tokyo. Nel 1998, in occasione dell’anno franco-giapponese, visita la mostra di un atelier vetraio parigino e scopre la tecnica del “gemmail”, la vetrata a smalto usata anche da Picasso e l’anno seguente si trasferisce a Parigi per imparla, senza riuscirci. Nel frattempo conosce molti artisti contemporanei del vetro europei, scoprendo una grande varietà: dal delicato approccio di Matei Negreanu, ai riflessi di Yan Zoritchak, alla follia di Véronique Monod fino ai multicolor di Henri Guérin e al rigore di Roger Demyttenaere. Nel 2000 comincia a praticare il collage UV e nel 2002 realizza la prima opera con illuminazione a LED.
Nel 2005 incontra Carmelo Arden Quin, figura emblematica, co-fondatore nel 1946 del Movimento Madi che la invita ed entrare nel raggruppamento aristico internazionale. Da questo momento partecipa a tutte le mostre oganizzate dal movimento nel mondo, dal Giappone alla Francia, dal Belgio alla Russia, dall’Argentina all’Italia. La disciplina dell'arte geometrica seguita dal Madi e gli stretti contatti con i colleghi di nazionalità diverse producono ulteriori stimoli. Si convince che la forma geometrica renda meglio le caratteristiche di trasparenza del vetro e, come suggerito anche da Arden Quin sceglie materiali e procedimenti del XX secolo: vetro industriale float, inventato nel 1952 e collage UV impiegato dal 1985, legati tra loro in quanto entrambi usati nel campo delle costruzioni: architettura, elettronica, ottica e infine l’uso della luce a LED il cui sviluppo tecnologico è ancora in corso. Yumiko Kimura predilige la luce LED blu, inventata da tre ricercatori giapponesi negli anni Novanta, premiati nel 2014 con il Nobel per la fisica.
Akiko Fujimoto è nata nel 1971 a Osaka dove vive e lavora.
Negli anni Novanta, influenzata da Michio Fukuoka, suo professore al collegio universitario di Kansai, comincia ad impiegare nei suoi lavori materiali sintetici come fibre di vetro, lacche e resine sintetiche. Parallelamente, per esercitare il senso dello spazio, impara l’Ikebana, l'arte della disposizione dei fiori alla scuola Soghetsu. Lavora come insegnante di Belle Arti alla scuola media di Osaka e il contatto con i giovani studenti la porta a rifiutare i materiale chimici a favore di quelli naturali, non tossici.
Aspirando alla professione curatoriale, nel 1998 si iscrive all’Università di Belle Arti di Osaka laureandosi nel 2002. Per un breve periodo lavora presso il museo di arte contemporanea di Tokyo ma abbandona la carriera curatoriale per dedicarsi a quella artistica.
Dal 2001 al 2007 Akiko Fujimoto utilizza soprattutto materiali vegetali come semi, muschio, girasoli essiccati. Nel 2001, in occasione di un festival d’arte a Takumi, nella provincia di Nara, al quale partecipa con un’installazione fatta di carta giapponese, viene a contatto con l’atelier Fukunishi. Per la sua prima mostra personale che ha luogo all’Espace Bertin Poirée di Parigi nel 2007, non potendo usare materiali organici e vegetali che sarebbero stati bloccati alla frontiera per questioni sanitarie, Akiko Fujimoto lavora a stretto contatto con il maestro Fukunishi e realizza un’installazione con la carta Uda di alta qualità che diventa il suo materiale prediletto. La morte del maestro giapponese nell’agosto 2014 apre una nuova fase nella vita dell’artista.
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