VIOLENCE. L’arte interpreta la violenza
Regina Josè Galindo, Peso, 2006
Dal 21 Aprile 2012 al 10 Giugno 2012
Ferrara
Luogo: Padiglione d’Arte Contemporanea - Palazzo Massari
Indirizzo: Corso Porta Mare 5
Orari: da martedì a domenica 9–13/ 15–18
Curatori: Lola Bonora, Silvia Cirelli
Costo del biglietto: intero € 4; ridotto € 2
Telefono per informazioni: +39 0532 244949
E-Mail info: diamanti@comune.fe.it
Sito ufficiale: http://www.artecultura.it
Dal 22 aprile al 10 giugno 2012 il Padiglione d’Arte Contemporanea ospiterà la mostra collettiva VIOLENCE. L’arte interpreta la violenza, scelta per la XV edizione della Biennale Donna e organizzata dall’UDI – Unione Donne in Italia di Ferrara e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara.
Continuando il percorso iniziato nelle precedenti tre ediz ioni, la Biennale Donna ancora una volta si prefigge il compito di individuare ed esplorare tematiche legate a problemi socioculturali, identitari, comportamentali e geopolitici, interpretati grazie all’acuta creatività di alcune delle più note voci femminili dell’arte contemporanea.
Curata da Lola Bonora e Silvia Cirelli, l’esposizione propone il percorso di sette artiste già affermate a livello internazionale e la cui ricerca è da tempo incentrata sul tema della violenza, una questione purtroppo ancora oggi molto attuale. VALIE EXPORT, Regina José Galindo,Loredana Longo, Naiza H. Khan, Yoko Ono, Lydia Schouten e Nancy Spero raccontano realtà ed esperienze estremamente diverse l? 7;una dall’altra, indagando la pratica della violenza nelle sue accezioni più ampie e disparate: da quella individuale a quella familiare, da quella culturale a quella politica fino ad arrivare a quella sociale.
Senza limitazioni di genere o identità, la rassegna rivela confronti a volte urlati altre soffocati, presentati con una molteplicità di linguaggi espressivi come sculture, fotografie, disegni, videoarte e installazioni, anche realizzate appositamente per la Biennale.
Ad accogliere lo spettatore è l’emozionante esercito della pakistana Naiza H. Khan: sculture a grandezza naturale che pendono dal soffitto e sembrano avanzare con una leg gerezza minacciosa. Sono insolite armature, alcune delle quali riprendono la più comune lingerie femminile nei tessuti e nelle forme, trasformata ora in fredda corazza allo stesso tempo intima e drammatica, che protegge ma soprattutto costringe ed opprime. In questa serie di sculture, così come anche nelle fotografie ad essa ispirate, l’artista esalta i paradossi della società pakistana, abbattendo le usuali barriere dell’universo femminile e rivelando l’ambivalenza delle costrizioni fisiche e spirituali delle donne del suo paese. La mostra prosegue con il contributo di Yoko Ono, giapponese naturalizzata statunitense, da anni dedita a temi ricorrenti quali la pace, i diritti umani e la violenza, come dimostrano i due video appartenenti alla nota e controversa opera Cut Piece, che riprendono una sua performance prima a New York e poi a Parigi. Immobile e inginocchiata sul palcoscenico, Yoko Ono invita gli spettatori a tagliare a pezzetti il suo vestito, fino a lasciarla praticamente nuda. Il corpo umano lascia poi il posto al freddo cemento nell’installazione site specific della siciliana Loredana Longo, dove un semplice pavimento si trasforma in un drammatico cimitero di vestiti, dimenticati ed abbandonati. Da sempre attenta a tematiche di forte attualità, ancora una volta la Longo stupisce con una ricerca artistica che affonda radici nella cronaca e più precisamente nella delicata questione delle morti sul lavoro e dell’emancipazione delle donne, prendendo spunto dal terribile incendio di una fabbrica di camicie a New York il 25 marzo 1911, dove persero la vita 146 donne (tante quanto il numero delle piastrelle che compongono il pavimento dell’opera). Le camicie sono imprigionate nel cemento impoverito, costantemente calpestato e violato dai visitatori, che, come inconsapevoli “carnefici”, enfatizzano a loro volta la pre carietà della scena.
Di sorprendente forza espressiva l’opera di VALIE EXPORT, una delle maggiori esponenti di quell’arte di fine anni Sessanta che tenacemente ruppe i rigidi stereotipi sulla funzione sociale e sessuale delle donne. Kalashnikov, questo il titolo della monumentale installazione, è una torre alta più di tre metri costruita con 105 fucili da caccia che, riflettendosi nell’olio esausto alla base della scultura, rimandano chiaramente alle guerre sanguinose mosse da interessi economici, in primis il petrolio. Ad affiancare l’installazione due drammatici video che mostrano crudeli immagini della guerra in Iraq e di esecuzioni capitali in Cina. Altrettanto provocatori sono i lavori della guatemaltecaRegina José Galindo, già molto conosciuta per azioni e performance estreme che denunciano la difficile realtà del suo paese, dove la violenza sui più deboli non solo è in crescente aumento, ma sovente rimane tragicamente impunita. L’artista si differenzia per una carica emotiva ed un’irruenza creativa che la identificano come una delle più impegnate voci di protesta contemporanee.
Il percorso espositivo prosegue poi con la videoinstallazione dell’olandese Lydia Schouten, incentrata sull’esperienza dell’artista a New York, in occasione di una residenza di alcuni mesi alla fine degli anni ottanta. Impressionata dalla costante violenza e criminalità che invadeva le strade della metropoli americana, Lydia Schouten realizza una complessa opera che prende spunto dalla cronaca quotidiana, rip ortando notizie di aggressioni, omicidi e crimini realmente accaduti durante la sua permanenza. L’atmosfera cupa e surreale, esasperata dalla luce turchese che pervade l’ambiente e la densità di fotografie, video e oggetti che compongono l’installazione, accentuano la percezione di angoscia che l’artista ha voluto ricreare, facendo rivivere allo spettatore quello stesso stato di ansia ed inquietudine provato dalle vittime dei crimini raccontati. A chiudere la rassegna, l’eccentrico estro dell’americanaNancy Spero, artista di raro talento scomparsa da qualche anno, che porta la propria esperienza in mostra con una selezione di disegni ed una tagliente installazione esposta per la prima volta in Italia. Emersa nel panorama artistico degli anni Sessanta per la coraggiosa scelta intellettuale di occuparsi della lotta contro la violenza politica e la dominanza sessista maschile, la radicale e femminista Nancy Spero è stata importante portavoce di una campagna femminista e pacifista che ancora oggi la celebra come una delle massime e fondamentali esponenti.
La mostra, organizzata dal comitato Biennale Donnadell’UDI (composto da Lola Bonora, Anna Maria Fioravanti Baraldi, Dida Spano, Anna Quarzi, Ansalda Siroli, Antonia Trasforini, Liviana Zagagnoni), è curata da Lola Bonora e Silvia Cirelli, ed è sostenuta dal Comune di Ferrara, Provincia di Ferrara e Regione Emilia-Romagna.
In occasione dell’esposizione sarà edito un catalogo bilingue italiano ed inglese che contiene le riproduzioni di tutte le opere esposte e apparati biografici, unitamente a contributi critici di Lola Bonora e Silvia Cirelli.
Alla Biennale Donna verranno poi affiancate una serie diiniziative collaterali strettamente legate al filo conduttore della mostra, come una rassegna cinematografica, presentazioni letterarie e dibattiti.
Continuando il percorso iniziato nelle precedenti tre ediz ioni, la Biennale Donna ancora una volta si prefigge il compito di individuare ed esplorare tematiche legate a problemi socioculturali, identitari, comportamentali e geopolitici, interpretati grazie all’acuta creatività di alcune delle più note voci femminili dell’arte contemporanea.
Curata da Lola Bonora e Silvia Cirelli, l’esposizione propone il percorso di sette artiste già affermate a livello internazionale e la cui ricerca è da tempo incentrata sul tema della violenza, una questione purtroppo ancora oggi molto attuale. VALIE EXPORT, Regina José Galindo,Loredana Longo, Naiza H. Khan, Yoko Ono, Lydia Schouten e Nancy Spero raccontano realtà ed esperienze estremamente diverse l? 7;una dall’altra, indagando la pratica della violenza nelle sue accezioni più ampie e disparate: da quella individuale a quella familiare, da quella culturale a quella politica fino ad arrivare a quella sociale.
Senza limitazioni di genere o identità, la rassegna rivela confronti a volte urlati altre soffocati, presentati con una molteplicità di linguaggi espressivi come sculture, fotografie, disegni, videoarte e installazioni, anche realizzate appositamente per la Biennale.
Ad accogliere lo spettatore è l’emozionante esercito della pakistana Naiza H. Khan: sculture a grandezza naturale che pendono dal soffitto e sembrano avanzare con una leg gerezza minacciosa. Sono insolite armature, alcune delle quali riprendono la più comune lingerie femminile nei tessuti e nelle forme, trasformata ora in fredda corazza allo stesso tempo intima e drammatica, che protegge ma soprattutto costringe ed opprime. In questa serie di sculture, così come anche nelle fotografie ad essa ispirate, l’artista esalta i paradossi della società pakistana, abbattendo le usuali barriere dell’universo femminile e rivelando l’ambivalenza delle costrizioni fisiche e spirituali delle donne del suo paese. La mostra prosegue con il contributo di Yoko Ono, giapponese naturalizzata statunitense, da anni dedita a temi ricorrenti quali la pace, i diritti umani e la violenza, come dimostrano i due video appartenenti alla nota e controversa opera Cut Piece, che riprendono una sua performance prima a New York e poi a Parigi. Immobile e inginocchiata sul palcoscenico, Yoko Ono invita gli spettatori a tagliare a pezzetti il suo vestito, fino a lasciarla praticamente nuda. Il corpo umano lascia poi il posto al freddo cemento nell’installazione site specific della siciliana Loredana Longo, dove un semplice pavimento si trasforma in un drammatico cimitero di vestiti, dimenticati ed abbandonati. Da sempre attenta a tematiche di forte attualità, ancora una volta la Longo stupisce con una ricerca artistica che affonda radici nella cronaca e più precisamente nella delicata questione delle morti sul lavoro e dell’emancipazione delle donne, prendendo spunto dal terribile incendio di una fabbrica di camicie a New York il 25 marzo 1911, dove persero la vita 146 donne (tante quanto il numero delle piastrelle che compongono il pavimento dell’opera). Le camicie sono imprigionate nel cemento impoverito, costantemente calpestato e violato dai visitatori, che, come inconsapevoli “carnefici”, enfatizzano a loro volta la pre carietà della scena.
Di sorprendente forza espressiva l’opera di VALIE EXPORT, una delle maggiori esponenti di quell’arte di fine anni Sessanta che tenacemente ruppe i rigidi stereotipi sulla funzione sociale e sessuale delle donne. Kalashnikov, questo il titolo della monumentale installazione, è una torre alta più di tre metri costruita con 105 fucili da caccia che, riflettendosi nell’olio esausto alla base della scultura, rimandano chiaramente alle guerre sanguinose mosse da interessi economici, in primis il petrolio. Ad affiancare l’installazione due drammatici video che mostrano crudeli immagini della guerra in Iraq e di esecuzioni capitali in Cina. Altrettanto provocatori sono i lavori della guatemaltecaRegina José Galindo, già molto conosciuta per azioni e performance estreme che denunciano la difficile realtà del suo paese, dove la violenza sui più deboli non solo è in crescente aumento, ma sovente rimane tragicamente impunita. L’artista si differenzia per una carica emotiva ed un’irruenza creativa che la identificano come una delle più impegnate voci di protesta contemporanee.
Il percorso espositivo prosegue poi con la videoinstallazione dell’olandese Lydia Schouten, incentrata sull’esperienza dell’artista a New York, in occasione di una residenza di alcuni mesi alla fine degli anni ottanta. Impressionata dalla costante violenza e criminalità che invadeva le strade della metropoli americana, Lydia Schouten realizza una complessa opera che prende spunto dalla cronaca quotidiana, rip ortando notizie di aggressioni, omicidi e crimini realmente accaduti durante la sua permanenza. L’atmosfera cupa e surreale, esasperata dalla luce turchese che pervade l’ambiente e la densità di fotografie, video e oggetti che compongono l’installazione, accentuano la percezione di angoscia che l’artista ha voluto ricreare, facendo rivivere allo spettatore quello stesso stato di ansia ed inquietudine provato dalle vittime dei crimini raccontati. A chiudere la rassegna, l’eccentrico estro dell’americanaNancy Spero, artista di raro talento scomparsa da qualche anno, che porta la propria esperienza in mostra con una selezione di disegni ed una tagliente installazione esposta per la prima volta in Italia. Emersa nel panorama artistico degli anni Sessanta per la coraggiosa scelta intellettuale di occuparsi della lotta contro la violenza politica e la dominanza sessista maschile, la radicale e femminista Nancy Spero è stata importante portavoce di una campagna femminista e pacifista che ancora oggi la celebra come una delle massime e fondamentali esponenti.
La mostra, organizzata dal comitato Biennale Donnadell’UDI (composto da Lola Bonora, Anna Maria Fioravanti Baraldi, Dida Spano, Anna Quarzi, Ansalda Siroli, Antonia Trasforini, Liviana Zagagnoni), è curata da Lola Bonora e Silvia Cirelli, ed è sostenuta dal Comune di Ferrara, Provincia di Ferrara e Regione Emilia-Romagna.
In occasione dell’esposizione sarà edito un catalogo bilingue italiano ed inglese che contiene le riproduzioni di tutte le opere esposte e apparati biografici, unitamente a contributi critici di Lola Bonora e Silvia Cirelli.
Alla Biennale Donna verranno poi affiancate una serie diiniziative collaterali strettamente legate al filo conduttore della mostra, come una rassegna cinematografica, presentazioni letterarie e dibattiti.
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