10×10 Ballocco / Grignani / Veronesi. Dieci anni della galleria 10 A.M. ART
Dal 30 Novembre 2023 al 23 Febbraio 2024
Milano
Luogo: Galleria 10 A.M. ART
Indirizzo: Corso San Gottardo 5
Orari: al martedì al venerdì dalle 10:00 alle 12:30 e dalle 14:30 alle 18:00. Gli altri giorni solo su appuntamento
Curatori: Paolo Bolpagni
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02.92889164
E-Mail info: info@10amart.it
Sito ufficiale: http://www.10amart.it
Dal 30 novembre 2023 al 23 febbraio 2024 la galleria 10 A.M. ART di Milano, nella sua sede di corso San Gottardo 5, organizza la mostra 10×10 Ballocco / Grignani / Veronesi. Dieci anni della galleria 10 A.M. ART.
Così scrive il curatore Paolo Bolpagni:
Nel gennaio del 2024, 10 A.M. ART festeggerà i propri primi dieci anni di attività. Nell’occasione, oltre all’elaborazione di un nuovo logo che accompagnerà d’ora in poi l’immagine della galleria, condensando graficamente l’idea della coerenza della ricerca, dell’immediatezza e della semplificazione formale, è stata concepita una mostra che pone a confronto tre artisti storicizzati e della stessa generazione, accomunati dall’aver gravitato su Milano e dall’esser stati sperimentatori, precursori nei rispettivi campi e fautori di un legame fra la pittura e il design: Mario Ballocco (1913-2008), Franco Grignani (1908-1999) e Luigi Veronesi (1908-1998). Peraltro si tratta di figure su cui si è concentrato precocemente il lavoro di promozione e valorizzazione storico-critica portato avanti dalla galleria 10 A.M. ART, definendone la linea, oggi ben riconoscibile.
Esponenti dell’aniconismo, ma ognuno in chiave innovativa, Ballocco, Grignani e Veronesi approdano in momenti differenti a questo linguaggio. Dobbiamo considerare che in Italia l’astrattismo, che pure aveva conosciuto le precoci sperimentazioni di Romolo Romani, Giacomo Balla e Alberto Magnelli, si era manifestato piuttosto in ritardo rispetto ad altri Paesi europei: durante gli anni Venti soltanto alcuni Futuristi (penso a Prampolini e a Fillia) avevano tentato – in parallelo, comunque, a soluzioni meno radicali – la via della non-figurazione. Nel decennio successivo, invece, si radunano in Lombardia due importanti nuclei di elaborazione di un idioma pittorico compiutamente astratto-concreto, allineato alle coeve esperienze straniere (soprattutto francesi): uno raccolto a Milano intorno alla Galleria Il Milione, gestita dai fratelli Peppino, Livio e Gino Ghiringhelli; l’altro sviluppatosi nella vicina Como (patria, si ricordi, di Antonio Sant’Elia) grazie all’opera di artisti quali Manlio Rho, Mario Radice, Aldo Galli e Carla Badiali (ma pure con il significativo contributo indiretto degli architetti Giuseppe Terragni, Cesare Cattaneo e Alberto Sartoris).
Dei tre, però, soltanto Veronesi è in contatto, e da “marginale”, se così si può dire, con il gruppo del Milione; Ballocco, allievo di Aldo Carpi, è ancora attestato su posizioni diverse, figurative, mentre Grignani approda a un personale astrattismo di sapore costruttivista per via sperimentale, quasi da isolato.
Nel dopoguerra i rispettivi cammini si avvicineranno: da un lato l’aniconismo “originario” sviluppato dal 1948 – al rientro dall’Argentina – da Ballocco e l’accostamento di Veronesi al M.A.C. e poi a una sensibilità vagamente informalista; dall’altro, già a partire dal 1949, le indagini di Grignani intorno ad aspetti tissurali di subpercezione, distorsione e induzione. Lui e Ballocco, in questo, negli anni Cinquanta saranno i due grandi precursori italiani (e non soltanto) delle ricerche cinetiche e optical che sarebbero in seguito esplose, quasi come una moda, con la nascita dei vari gruppi e collettivi che aderiranno alla “Nuova Tendenza”.
Veronesi, dal canto suo, tornerà al nitore delle proprie composizioni geometriche, ma senza tentare l’indagine dei fenomeni percettivi analizzati invece dai due colleghi. Ad accomunare tutti e tre, al di là di un eventuale fascino esercitato su di loro dall’esthétique du nombre e dalla possibilità di basare certi equilibri formali su determinate proporzioni, sta l’amore per il numero e per la razionalità strutturale, derivante dalla profonda consapevolezza del caos e del mistero del mondo “apparente”, fenomenico, rispetto a un’altra realtà – quella astratta, cioè dell’arte – che la mente riesce a inventare, costruire e proporre secondo infinite armonie, e nella quale, davvero, è possibile trovare un ordine universale, quello stesso che i Greci avevano individuato nella sezione aurea, e i maestri del Quattrocento toscano nella “divina proporzione”.
L’idea di una pittura basata sull’espressione numerica, che ha avuto il suo padre moderno in Seurat, e che nel Novecento è stata incarnata soprattutto da alcune declinazioni dell’astrattismo, in Ballocco, Grignani e Veronesi si configura dunque alla stregua di un “antidoto”, di una certezza da opporre all’inconoscibilità del reale. Perciò l’armonia instabile e “cinetica” delle loro opere, se da una parte è il riflesso di una fiducia cartesiana nel raziocinio scientifico, dall’altra comunica un’immagine della vita in quanto enigma: se mi si passa la metafora, è come se nei lavori dei tre artisti le forme – proprio alla pari di noi esseri umani – vivessero nello spazio senza conoscere da dove vengono e in quale direzione vanno.
Un ulteriore fattore di collegamento tra Ballocco, Grignani e Veronesi è costituito, lo si anticipava, dal loro essere pittori e insieme designers e grafici, senza distinzioni gerarchiche tra i diversi rami d’attività. L’aspirazione a non lasciar spazio all’espressività soggettiva, alla spontaneità e all’intuizione arbitraria li accomuna: ogni opera è un oggetto, spesso dotato di facoltà analitiche, costruito sulla base di norme precise, di un sistema prestabilito, meditato e calibrato con esattezza e consequenzialità scientifica; e non significa nient’altro che se stesso. L’elemento più importante è che si attenga alla regola individuata, secondo un’originale applicazione del motto kepleriano «ubi materia ibi geometria», alludente all’intimamisteriosa struttura che innerva la natura e il cosmo.
Mario Ballocco (Milano, 1913-2008) è stato un personaggio cruciale nell’arte e nella cultura italiana del Novecento. Fu sperimentatore originale, uomo dai mille interessi, precursore in molti campi: pittore astrattista di grande coerenza, fornì un contributo fondamentale alla diffusione del design e alle indagini sul colore e la percezione visiva. In lui si incontravano in maniera straordinaria le istanze dell’estetica e della scienza, della comunicazione e della didattica, della teoria e della tecnica.
Dopo gli studi con Aldo Carpi all’Accademia di Brera e l’esperienza alla guida della rivista «Mondo d’oggi», nel 1947 fu in Argentina, a contatto con Lucio Fontana. Fondatore nel 1950 a Milano del Gruppo Origine (cui aderirono anche Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla), creò e diresse i periodici «AZ» (dal 1949 al 1952), «Apri l’occhio!» (1952-1960) e «Colore. Estetica e Logica» (dal 1957 al 1964).
Curò a Milano esposizioni di design ed estetica industriale e una mostra sulla storia della fotografia (rispettivamente nel 1952 e nel 1953 alla Fiera). Del 1958 è invece la “1a mostra del colore”, allestita al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci”.
Ballocco fu anche l’inventore della “cromatologia”, metodo interdisciplinare per la soluzione di “problemi visivi di interesse collettivo”: dal colore delle autoambulanze a quello dei quaderni per gli alunni delle scuole. Suo obiettivo era sconfiggere la monotonia «che ci fa nascere con il bianco, vivere con il grigio e morire con il nero». All’inizio degli anni Settanta introdusse la cromatologia come materia di studio all’Accademia di Brera, e successivamente tenne corsi anche alla Carrara di Bergamo e al Politecnico di Milano.
Presente due volte alla Biennale di Venezia con personali-omaggio (nel 1970 e nel 1986), sue opere sono conservate in molte importanti collezioni e in musei di tutta Europa, sudamericani e in Israele. È recente l’acquisizione di un suo dipinto da parte del Centre Georges Pompidou di Parigi, con l’esposizione permanente nella sala dedicata all’astrattismo italiano in occasione del riallestimento delle raccolte moderne.
Franco Grignani (Pieve Porto Morone, Pavia, 1908 - Milano, 1999) fin dalla prima giovinezza partecipò alle manifestazioni del Secondo Futurismo, con un’intensa attività espositiva.
Lasciata la Facoltà di Matematica, nel 1929 si spostò a Torino per iscriversi ad Architettura e, al termine degli studi, si trasferì a Milano, impegnandosi nella progettazione di aree espositive e nel graphic design. Nell’àmbito della ricerca artistica, dal 1935 abbandonò ogni riferimento figurativo per dedicarsi, anche attraverso l’uso della macchina fotografica, alle sperimentazioni che essa gli consentiva: ciò lo portò ad avvicinarsi alle avanguardie astrattiste e costruttiviste.
Richiamato alle armi allo scoppio della Seconda guerra mondiale, gli fu affidato l’insegnamento in un corso di avvistamento aereo. Questa esperienza lo indusse a interessarsi all’analisi della percezione ottica.
Alla conclusione del conflitto Grignani riprese l’attività lavorativa nel graphic design, consacrando però una sempre maggiore attenzione e quantità di tempo all’arte. La sua pittura fu, da lì in avanti, una costante sperimentazione, che va dalle matematiche spurie alle tecniche ottiche, senza però disgiungersi da una libertà costruttiva aperta a nuove intuizioni.
L’incontro con il gallerista Bruno Lorenzelli darà a Grignani la possibilità di mostrare l’esito di molte ricerche e di avviare una lunga collaborazione espositiva.
Nel 1975 il Comune di Milano gli dedicò un’antologica alla Rotonda della Besana.
Nel 1980 cominciò a insegnare alla NABA - Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, che intitolerà un proprio dipartimento alla sua memoria.
Luigi Veronesi (Milano, 1908-1998) si iscrisse all’istituto tecnico, seguì un corso per disegnatore tessile e studiò pittura sotto la guida di Carmelo Violante. Si avvicinò, giovanissimo, agli artisti che gravitano attorno alla Galleria Il Milione, dove, appena diciassettenne, espose per la prima volta opere influenzate da Sironi e da Modigliani. Accostatosi all’astrattismo, nel 1934 aderì al gruppo “Abstraction-Création”. Fondamentali, in questo periodo, i suoi incontri con Josef Albers, László Moholy-Nagy, Max Bill e Jean Tschichold, che gli consentirono di assimilare gli insegnamenti del Bauhaus e di conoscere la produzione di Malevič, El Lissitskij e Rodčenko. Nel frattempo lavorava con la rivista «Campo Grafico». Collaborerà anche con «Casabella» e «Ferrania» e, nel dopoguerra, con «AZ». Molte sono le sperimentazioni compiute tra gli anni Trenta e Quaranta, durante i quali maturò un personale astrattismo geometrico-costruttivista, con un’apertura a differenti àmbiti espressivi: pittura, fotografia, incisione, cinema, scenografia.
Si interessò anche di musica: nel 1936 realizzò le celebri 14 variazioni di un tema pittorico, con collage e inchiostro di china su carta, ora nella collezione del MART a Rovereto; saranno riprodotte in volume tre anni dopo, insieme con le 14 variazioni di un tema musicale, composte nel 1938 da Riccardo Malipiero junior ispirandosi all’opera di Veronesi. Nel 1939 questo ciclo di lavori fu poi esposto nella sua mostra personale che si tenne alla Galerie l’Équipe di Parigi.
Nel 1947 entrò nel gruppo fotografico La Bussola, firmandone il manifesto programmatico; del 1948 è invece l’adesione al M.A.C. (Movimento Arte Concreta). Negli anni Cinquanta e Sessanta Veronesi ricevette i primi importanti riconoscimenti (premi, partecipazioni alle Biennali di Venezia e di San Paolo del Brasile, mostre personali in Italia e all’estero) e attraversò una parentesi d’inquieta apertura ad alcune istanze dell’Informale, poi superata nel ritorno a un nitido geometrismo lirico-costruttivista. Cominciò inoltre la sua attività didattica all’Accademia di Belle Arti di Brera (dove “erediterà” il corso di cromatologia introdotto da Mario Ballocco), e in seguito alla NABA - Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
Negli anni Ottanta e Novanta, al rinnovato interesse per la fotografia e il cinema si aggiunsero operazioni ascrivibili al campo dell’arte applicata, con affreschi, progetti di piazze e interventi grafici in esterni.
Inaugurazione: Giovedì 30 novembre 2023, ore 17:00
Così scrive il curatore Paolo Bolpagni:
Nel gennaio del 2024, 10 A.M. ART festeggerà i propri primi dieci anni di attività. Nell’occasione, oltre all’elaborazione di un nuovo logo che accompagnerà d’ora in poi l’immagine della galleria, condensando graficamente l’idea della coerenza della ricerca, dell’immediatezza e della semplificazione formale, è stata concepita una mostra che pone a confronto tre artisti storicizzati e della stessa generazione, accomunati dall’aver gravitato su Milano e dall’esser stati sperimentatori, precursori nei rispettivi campi e fautori di un legame fra la pittura e il design: Mario Ballocco (1913-2008), Franco Grignani (1908-1999) e Luigi Veronesi (1908-1998). Peraltro si tratta di figure su cui si è concentrato precocemente il lavoro di promozione e valorizzazione storico-critica portato avanti dalla galleria 10 A.M. ART, definendone la linea, oggi ben riconoscibile.
Esponenti dell’aniconismo, ma ognuno in chiave innovativa, Ballocco, Grignani e Veronesi approdano in momenti differenti a questo linguaggio. Dobbiamo considerare che in Italia l’astrattismo, che pure aveva conosciuto le precoci sperimentazioni di Romolo Romani, Giacomo Balla e Alberto Magnelli, si era manifestato piuttosto in ritardo rispetto ad altri Paesi europei: durante gli anni Venti soltanto alcuni Futuristi (penso a Prampolini e a Fillia) avevano tentato – in parallelo, comunque, a soluzioni meno radicali – la via della non-figurazione. Nel decennio successivo, invece, si radunano in Lombardia due importanti nuclei di elaborazione di un idioma pittorico compiutamente astratto-concreto, allineato alle coeve esperienze straniere (soprattutto francesi): uno raccolto a Milano intorno alla Galleria Il Milione, gestita dai fratelli Peppino, Livio e Gino Ghiringhelli; l’altro sviluppatosi nella vicina Como (patria, si ricordi, di Antonio Sant’Elia) grazie all’opera di artisti quali Manlio Rho, Mario Radice, Aldo Galli e Carla Badiali (ma pure con il significativo contributo indiretto degli architetti Giuseppe Terragni, Cesare Cattaneo e Alberto Sartoris).
Dei tre, però, soltanto Veronesi è in contatto, e da “marginale”, se così si può dire, con il gruppo del Milione; Ballocco, allievo di Aldo Carpi, è ancora attestato su posizioni diverse, figurative, mentre Grignani approda a un personale astrattismo di sapore costruttivista per via sperimentale, quasi da isolato.
Nel dopoguerra i rispettivi cammini si avvicineranno: da un lato l’aniconismo “originario” sviluppato dal 1948 – al rientro dall’Argentina – da Ballocco e l’accostamento di Veronesi al M.A.C. e poi a una sensibilità vagamente informalista; dall’altro, già a partire dal 1949, le indagini di Grignani intorno ad aspetti tissurali di subpercezione, distorsione e induzione. Lui e Ballocco, in questo, negli anni Cinquanta saranno i due grandi precursori italiani (e non soltanto) delle ricerche cinetiche e optical che sarebbero in seguito esplose, quasi come una moda, con la nascita dei vari gruppi e collettivi che aderiranno alla “Nuova Tendenza”.
Veronesi, dal canto suo, tornerà al nitore delle proprie composizioni geometriche, ma senza tentare l’indagine dei fenomeni percettivi analizzati invece dai due colleghi. Ad accomunare tutti e tre, al di là di un eventuale fascino esercitato su di loro dall’esthétique du nombre e dalla possibilità di basare certi equilibri formali su determinate proporzioni, sta l’amore per il numero e per la razionalità strutturale, derivante dalla profonda consapevolezza del caos e del mistero del mondo “apparente”, fenomenico, rispetto a un’altra realtà – quella astratta, cioè dell’arte – che la mente riesce a inventare, costruire e proporre secondo infinite armonie, e nella quale, davvero, è possibile trovare un ordine universale, quello stesso che i Greci avevano individuato nella sezione aurea, e i maestri del Quattrocento toscano nella “divina proporzione”.
L’idea di una pittura basata sull’espressione numerica, che ha avuto il suo padre moderno in Seurat, e che nel Novecento è stata incarnata soprattutto da alcune declinazioni dell’astrattismo, in Ballocco, Grignani e Veronesi si configura dunque alla stregua di un “antidoto”, di una certezza da opporre all’inconoscibilità del reale. Perciò l’armonia instabile e “cinetica” delle loro opere, se da una parte è il riflesso di una fiducia cartesiana nel raziocinio scientifico, dall’altra comunica un’immagine della vita in quanto enigma: se mi si passa la metafora, è come se nei lavori dei tre artisti le forme – proprio alla pari di noi esseri umani – vivessero nello spazio senza conoscere da dove vengono e in quale direzione vanno.
Un ulteriore fattore di collegamento tra Ballocco, Grignani e Veronesi è costituito, lo si anticipava, dal loro essere pittori e insieme designers e grafici, senza distinzioni gerarchiche tra i diversi rami d’attività. L’aspirazione a non lasciar spazio all’espressività soggettiva, alla spontaneità e all’intuizione arbitraria li accomuna: ogni opera è un oggetto, spesso dotato di facoltà analitiche, costruito sulla base di norme precise, di un sistema prestabilito, meditato e calibrato con esattezza e consequenzialità scientifica; e non significa nient’altro che se stesso. L’elemento più importante è che si attenga alla regola individuata, secondo un’originale applicazione del motto kepleriano «ubi materia ibi geometria», alludente all’intimamisteriosa struttura che innerva la natura e il cosmo.
Mario Ballocco (Milano, 1913-2008) è stato un personaggio cruciale nell’arte e nella cultura italiana del Novecento. Fu sperimentatore originale, uomo dai mille interessi, precursore in molti campi: pittore astrattista di grande coerenza, fornì un contributo fondamentale alla diffusione del design e alle indagini sul colore e la percezione visiva. In lui si incontravano in maniera straordinaria le istanze dell’estetica e della scienza, della comunicazione e della didattica, della teoria e della tecnica.
Dopo gli studi con Aldo Carpi all’Accademia di Brera e l’esperienza alla guida della rivista «Mondo d’oggi», nel 1947 fu in Argentina, a contatto con Lucio Fontana. Fondatore nel 1950 a Milano del Gruppo Origine (cui aderirono anche Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla), creò e diresse i periodici «AZ» (dal 1949 al 1952), «Apri l’occhio!» (1952-1960) e «Colore. Estetica e Logica» (dal 1957 al 1964).
Curò a Milano esposizioni di design ed estetica industriale e una mostra sulla storia della fotografia (rispettivamente nel 1952 e nel 1953 alla Fiera). Del 1958 è invece la “1a mostra del colore”, allestita al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci”.
Ballocco fu anche l’inventore della “cromatologia”, metodo interdisciplinare per la soluzione di “problemi visivi di interesse collettivo”: dal colore delle autoambulanze a quello dei quaderni per gli alunni delle scuole. Suo obiettivo era sconfiggere la monotonia «che ci fa nascere con il bianco, vivere con il grigio e morire con il nero». All’inizio degli anni Settanta introdusse la cromatologia come materia di studio all’Accademia di Brera, e successivamente tenne corsi anche alla Carrara di Bergamo e al Politecnico di Milano.
Presente due volte alla Biennale di Venezia con personali-omaggio (nel 1970 e nel 1986), sue opere sono conservate in molte importanti collezioni e in musei di tutta Europa, sudamericani e in Israele. È recente l’acquisizione di un suo dipinto da parte del Centre Georges Pompidou di Parigi, con l’esposizione permanente nella sala dedicata all’astrattismo italiano in occasione del riallestimento delle raccolte moderne.
Franco Grignani (Pieve Porto Morone, Pavia, 1908 - Milano, 1999) fin dalla prima giovinezza partecipò alle manifestazioni del Secondo Futurismo, con un’intensa attività espositiva.
Lasciata la Facoltà di Matematica, nel 1929 si spostò a Torino per iscriversi ad Architettura e, al termine degli studi, si trasferì a Milano, impegnandosi nella progettazione di aree espositive e nel graphic design. Nell’àmbito della ricerca artistica, dal 1935 abbandonò ogni riferimento figurativo per dedicarsi, anche attraverso l’uso della macchina fotografica, alle sperimentazioni che essa gli consentiva: ciò lo portò ad avvicinarsi alle avanguardie astrattiste e costruttiviste.
Richiamato alle armi allo scoppio della Seconda guerra mondiale, gli fu affidato l’insegnamento in un corso di avvistamento aereo. Questa esperienza lo indusse a interessarsi all’analisi della percezione ottica.
Alla conclusione del conflitto Grignani riprese l’attività lavorativa nel graphic design, consacrando però una sempre maggiore attenzione e quantità di tempo all’arte. La sua pittura fu, da lì in avanti, una costante sperimentazione, che va dalle matematiche spurie alle tecniche ottiche, senza però disgiungersi da una libertà costruttiva aperta a nuove intuizioni.
L’incontro con il gallerista Bruno Lorenzelli darà a Grignani la possibilità di mostrare l’esito di molte ricerche e di avviare una lunga collaborazione espositiva.
Nel 1975 il Comune di Milano gli dedicò un’antologica alla Rotonda della Besana.
Nel 1980 cominciò a insegnare alla NABA - Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, che intitolerà un proprio dipartimento alla sua memoria.
Luigi Veronesi (Milano, 1908-1998) si iscrisse all’istituto tecnico, seguì un corso per disegnatore tessile e studiò pittura sotto la guida di Carmelo Violante. Si avvicinò, giovanissimo, agli artisti che gravitano attorno alla Galleria Il Milione, dove, appena diciassettenne, espose per la prima volta opere influenzate da Sironi e da Modigliani. Accostatosi all’astrattismo, nel 1934 aderì al gruppo “Abstraction-Création”. Fondamentali, in questo periodo, i suoi incontri con Josef Albers, László Moholy-Nagy, Max Bill e Jean Tschichold, che gli consentirono di assimilare gli insegnamenti del Bauhaus e di conoscere la produzione di Malevič, El Lissitskij e Rodčenko. Nel frattempo lavorava con la rivista «Campo Grafico». Collaborerà anche con «Casabella» e «Ferrania» e, nel dopoguerra, con «AZ». Molte sono le sperimentazioni compiute tra gli anni Trenta e Quaranta, durante i quali maturò un personale astrattismo geometrico-costruttivista, con un’apertura a differenti àmbiti espressivi: pittura, fotografia, incisione, cinema, scenografia.
Si interessò anche di musica: nel 1936 realizzò le celebri 14 variazioni di un tema pittorico, con collage e inchiostro di china su carta, ora nella collezione del MART a Rovereto; saranno riprodotte in volume tre anni dopo, insieme con le 14 variazioni di un tema musicale, composte nel 1938 da Riccardo Malipiero junior ispirandosi all’opera di Veronesi. Nel 1939 questo ciclo di lavori fu poi esposto nella sua mostra personale che si tenne alla Galerie l’Équipe di Parigi.
Nel 1947 entrò nel gruppo fotografico La Bussola, firmandone il manifesto programmatico; del 1948 è invece l’adesione al M.A.C. (Movimento Arte Concreta). Negli anni Cinquanta e Sessanta Veronesi ricevette i primi importanti riconoscimenti (premi, partecipazioni alle Biennali di Venezia e di San Paolo del Brasile, mostre personali in Italia e all’estero) e attraversò una parentesi d’inquieta apertura ad alcune istanze dell’Informale, poi superata nel ritorno a un nitido geometrismo lirico-costruttivista. Cominciò inoltre la sua attività didattica all’Accademia di Belle Arti di Brera (dove “erediterà” il corso di cromatologia introdotto da Mario Ballocco), e in seguito alla NABA - Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
Negli anni Ottanta e Novanta, al rinnovato interesse per la fotografia e il cinema si aggiunsero operazioni ascrivibili al campo dell’arte applicata, con affreschi, progetti di piazze e interventi grafici in esterni.
Inaugurazione: Giovedì 30 novembre 2023, ore 17:00
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