Filippo Ciavoli Cortelli, Alfonso Cannavacciuolo, Pete Keller
Filippo Ciavoli Cortelli, Alfonso Cannavacciuolo, Pete Keller, Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea, Milano
Dal 10 Maggio 2012 al 31 Luglio 2012
Milano
Luogo: Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea
Indirizzo: via Ventura 6
Orari: da martedì a sabato 15-19
Telefono per informazioni: +39 02 36526809
E-Mail info: milano@mimmoscognamiglio.com
Sito ufficiale: http://www.mimmoscognamiglio.com
Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea presenta la collettiva di Filippo Ciavoli, Alfonso Cannavacciuolo
e Pete Keller. L’esposizione conferma la tendenza del gallerista a incentivare la sperimentazione artistica di
giovani pittori, prendendo in considerazione esperienze provenienti da contesti e personalità eterogenee.
L’audace accostamento dei tre protagonisti segna anche un netto ritorno alla pittura figurativa: “Nell’aria c’è
desiderio di identificarsi in qualcosa, di instaurare un dialogo, una sorta di comunicazione anche tra artista e
spettatore, come tra gallerista e collezionista” (M. Scognamiglio). Ed è proprio alla ricerca di un contatto con
il reale che si rivolgono le riflessioni dei tre giovani protagonisti della rassegna. Riflessioni che, partendo dal
tema figurativo, giungono a risultati profondamente radicati nell’individualità degli artisti, i quali utilizzano
materiali, stili, tecniche e ispirazioni completamente differenti tra loro.
Alfonso Cannavacciuolo attrae la nostra attenzione su una nuova serie di composizioni: volti rarefatti,
pennellate dense e riflessi luminosi. Personaggi come “silhouettes” dalle tinte scure e pastose come pece, in
un universo rarefatto e privo di luce. L’artista intende guidarci in una riflessione su forme a noi familiari, con
un accento tecnico per l’impiego di impasti pittorici.
Filippo Ciavoli, sulla scia delle avanguardie storiche, opta per l’utilizzo della tecnologia, volta a dare vita ad
immagini sezionate, sminuzzate e ricomposte, nelle quali difficilmente troviamo relazioni con le consuete
modalità percettive della realtà. I soggetti trattati appartengono a qualsiasi situazione del nostro vivere
quotidiano: una foto vista o scattata, un fermo immagine di un film od opere d'arte del passato. L’uso della
tecnologia non intende sostituire una tecnica nobile come la pittura, ma a esaltare un rapporto di
collaborazione tra l'essere umano e la macchina. Dalle tele traspare il tentativo di relazionarsi con l’esterno e
il necessario e sentito bisogno di ricomporre i vetri infranti e di ristabilire un ordine. Del resto, le tele di
Ciavoli non garantiscono riferimenti certi per lo spettatore, non vi si trovano significati imposti e, quando
presenti, siamo chiamati a essere testimoni del loro disfacimento e di una realtà eternamente sfuggente.
Pete Keller sceglie ironicamente di creare un contatto con il visitatore, mettendolo di fronte a situazioni
irrisolte che hanno il sapore di quiz o di “gamebooks” (libri interattivi che conducono a soluzoni differenti a
seconda del persorso scelto): “Con i miei dipinti voglio creare un rapporto interattivo tra l'osservatore e i
dipinti stessi, voglio un contatto con lui. Ecco perché i miei quadri hanno un tema e spesso una domanda”.
L'arte diventa interazione, una sorta di gioco tra il fruitore e l'artista”. Lo spettatore viene consapevolmete
trascinato in una sorta di gioco d’immaginazione e comunicazione; si trova immerso in un quesito che
richiede una risposta, per quanto banale possa sembrare. Così Keller riesce a tenere alta l’attenzione del
pubblico e a riflettere su consuetudini e situazioni quotidiane che spesso sfuggono alla nostra attenzione.
Il denominatore comune è quindi la capacità dell’artista di prenderci sotto braccio e di guidarci nell’esercizio
di un giudizio estetico e in una riflessione su volti, immagini e situazioni quotidiane che il tempo, le abitudini
e la società rendono consuete e non degne di nota.
e Pete Keller. L’esposizione conferma la tendenza del gallerista a incentivare la sperimentazione artistica di
giovani pittori, prendendo in considerazione esperienze provenienti da contesti e personalità eterogenee.
L’audace accostamento dei tre protagonisti segna anche un netto ritorno alla pittura figurativa: “Nell’aria c’è
desiderio di identificarsi in qualcosa, di instaurare un dialogo, una sorta di comunicazione anche tra artista e
spettatore, come tra gallerista e collezionista” (M. Scognamiglio). Ed è proprio alla ricerca di un contatto con
il reale che si rivolgono le riflessioni dei tre giovani protagonisti della rassegna. Riflessioni che, partendo dal
tema figurativo, giungono a risultati profondamente radicati nell’individualità degli artisti, i quali utilizzano
materiali, stili, tecniche e ispirazioni completamente differenti tra loro.
Alfonso Cannavacciuolo attrae la nostra attenzione su una nuova serie di composizioni: volti rarefatti,
pennellate dense e riflessi luminosi. Personaggi come “silhouettes” dalle tinte scure e pastose come pece, in
un universo rarefatto e privo di luce. L’artista intende guidarci in una riflessione su forme a noi familiari, con
un accento tecnico per l’impiego di impasti pittorici.
Filippo Ciavoli, sulla scia delle avanguardie storiche, opta per l’utilizzo della tecnologia, volta a dare vita ad
immagini sezionate, sminuzzate e ricomposte, nelle quali difficilmente troviamo relazioni con le consuete
modalità percettive della realtà. I soggetti trattati appartengono a qualsiasi situazione del nostro vivere
quotidiano: una foto vista o scattata, un fermo immagine di un film od opere d'arte del passato. L’uso della
tecnologia non intende sostituire una tecnica nobile come la pittura, ma a esaltare un rapporto di
collaborazione tra l'essere umano e la macchina. Dalle tele traspare il tentativo di relazionarsi con l’esterno e
il necessario e sentito bisogno di ricomporre i vetri infranti e di ristabilire un ordine. Del resto, le tele di
Ciavoli non garantiscono riferimenti certi per lo spettatore, non vi si trovano significati imposti e, quando
presenti, siamo chiamati a essere testimoni del loro disfacimento e di una realtà eternamente sfuggente.
Pete Keller sceglie ironicamente di creare un contatto con il visitatore, mettendolo di fronte a situazioni
irrisolte che hanno il sapore di quiz o di “gamebooks” (libri interattivi che conducono a soluzoni differenti a
seconda del persorso scelto): “Con i miei dipinti voglio creare un rapporto interattivo tra l'osservatore e i
dipinti stessi, voglio un contatto con lui. Ecco perché i miei quadri hanno un tema e spesso una domanda”.
L'arte diventa interazione, una sorta di gioco tra il fruitore e l'artista”. Lo spettatore viene consapevolmete
trascinato in una sorta di gioco d’immaginazione e comunicazione; si trova immerso in un quesito che
richiede una risposta, per quanto banale possa sembrare. Così Keller riesce a tenere alta l’attenzione del
pubblico e a riflettere su consuetudini e situazioni quotidiane che spesso sfuggono alla nostra attenzione.
Il denominatore comune è quindi la capacità dell’artista di prenderci sotto braccio e di guidarci nell’esercizio
di un giudizio estetico e in una riflessione su volti, immagini e situazioni quotidiane che il tempo, le abitudini
e la società rendono consuete e non degne di nota.
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