Nelle pieghe della storia. Agostino Bonalumi, Sandro De Alexandris
Dal 10 Giugno 2021 al 30 Settembre 2021
Milano
Luogo: Galleria 10 A.M. ART
Indirizzo: Corso San Gottardo 5
Orari: da martedì a venerdì 10-12.30 / 14.30-18 e su appuntamento
Curatori: Marco Meneguzzo
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 92889164
E-Mail info: info@10amart.it
Sito ufficiale: http://www.10amart.it
Dal 10 giugno al 30 settembre la Galleria 10 A.M. ART di Milano organizza la mostra Nelle pieghe della storia. Agostino Bonalumi, Sandro De Alexandris.
Nell'esposizione un'importante selezione di opere degli anni Sessanta e Settanta che apre un dialogo inedito tra le ricerche dei due artisti.
Così scrive il curatore Marco Meneguzzo:
L'abitudine a un tipo di lettura della storia - di tutte le storie - di solito è generata da un'interpretazione molto convincente di quel che è accaduto, e anche dalle inevitabili generalizzazioni che la distanza temporale dagli avvenimenti ingenera proprio in quelle interpretazioni. La storia dell'arte, che pure è fatta di individui oltre che da linguaggi, non è esente da queste generalizzazioni e da queste abitudini: la catalogazione per movimenti e per fasi susseguenti le une alle altre è davvero comoda (in un'ottica di divulgazione scolastica o salottiera) e consente di collocare ciascuno - opera o artista - nel posto che la cronaca e la vulgata gli attribuisce, e quindi di definirlo una volta per tutte (!), in modo da rendere chiaro ciò di cui stiamo parlando, e comunque il territorio entro cui ci muoviamo.
Fortunatamente, la storia è una faccenda dinamica che, anche senza ricorrere a revisionismi impossibili, nell'urgenza di precisare alcuni momenti importanti del suo corso - importanti per noi, non per la storia che in sé è indifferente -, insieme alle generalizzazioni cerca al polo opposto di affinare il proprio sguardo, di renderlo più acuto sino a trovare delle vene "carsiche" del proprio corso che da un lato si discostano dalla corrente principale, e dall'altro magari ritrovano in tutt'altra direzione parte di quella corrente che si riteneva scorresse tranquilla verso la foce. Prendiamo a esempio la grande stagione italiana della neoavanguardia immediatamente a ridosso del 1960, che vede in Agostino Bonalumi e in Enrico Castellani (un poco meno in Piero Manzoni) i maggiori interpreti della nuova condizione della "superficie", dopo il gesto assoluto del "taglio" della stessa da parte di Lucio Fontana. Sono loro che cercano - allegoricamente e fisicamente - di "ricucire lo strappo" e di ricostruire su nuove e più ampie categorie quello che è il rapporto con un elemento imprescindibile - la superficie - dell'arte. Insieme a loro pochi altri - Paolo Scheggi, Dadamaino, Turi Simeti - e poi più nulla: tutti coloro che sono venuti dopo sono stati considerati epigoni perché troppo simili formalmente a quelli, tanto da sfiorare talvolta il plagio. Ma se questi sono da liquidare come dei copisti, la domanda che lo storico si deve porre è un'altra, ben più complessa: è possibile che una categoria così importante come la "superficie" sia stata affrontata in quegli anni, da quei pochi (naturalmente stiamo parlando di Italia, non di mondo, dove tuttavia è accaduto qualcosa di simile, ma non con la nostra pervicace cecità), e poi accantonata, come se tutto fosse risolto e soprattutto confinato in quelle esperienze?
Ecco allora che l'immagine del fiume carsico può rendere la sensazione che non si sia esplorato abbastanza, e che una parte delle acque di quel mainstream si sia riversata in altre vene più nascoste e sotterranee, per riemergere come qualcosa di nuovo, in luoghi e periodi apparentemente lontani da quella originaria esperienza.
La ricerca di Sandro De Alexandris, comparata con quella di Agostino Bonalumi, dà conto plasticamente a questa possibilità, di come due artisti raramente messi a confronto o anche solo avvicinati, possano rivelare parentele linguistiche non così lontane. Nelle pieghe della storia, cioè, si può nascondere ancora qualcosa di non visto, di non rilevato, che storicamente apre nuove prospettive di interpretazione su esperienze comunemente considerate indipendenti le une dalle altre. E proprio da una "piega" inizia l'indagine, quella piega sulla superficie che caratterizza i primi lavori di De Alexandris (dal 1964) e che poi si trasformerà in qualcos'altro. Quella piega è una piega reale, un corrugamento geometricamente determinato sulla superficie, una modifica fisica su un campo concettuale, tradizionalmente legato alla rappresentazione, qual è la tela. Quando la tela - o la carta, che diverrà materiale privilegiato di De Alexandris - viene piegata, smette di essere un semplice supporto e diventa un elemento protagonista dell'opera, che da quella piega è determinata. Bonalumi e quelli della sua generazione (che non sono poi così lontani, essendo Bonalumi nato nel 1935 e De Alexandris nel 1939) avevano già dichiarato nei fatti che la superficie "era" l'opera, sino ad accettare la definizione che Gillo Dorfles dava di queste esperienze come "pittura-oggetto", e loro era il merito di una sorta di eroicità neoavanguardistica nell'accettare la rivoluzione di Fontana e nel portarla avanti "con altri mezzi", citando von Clausewitz, ma così facendo aprivano a territori vasti e sconosciuti, la cui esplorazione prometteva grandi sviluppi... invece, la storia dell'arte così come la conosciamo ha praticamente dichiarato conclusa quella stagione coi suoi primi scopritori. Forse non ha saputo vedere che quella ricerca aveva preso un'altra piega (ancora!). Come avviene quando si getta un sasso in uno stagno, la perturbazione della quiete originaria dell'acqua - metafora per indicare l'azione dirompente di Fontana, senza il quale probabilmente quello stagno sarebbe rimasto immoto - genera alte onde vicine all'impatto - Bonalumi e Castellani -, per poi ritornare all'entropia iniziale attraverso onde sempre meno rilevate. Ma quello stagno, comunque, non è più lo stesso. E poi, persino nella metafora esiste una specie di somiglianza formale, se si considera quanto siano rilevate le superfici di Bonalumi, sin quasi ad essere degli altorilievi, e come questi rilievi si facciano sempre più minimi e minimali in De Alexandris, tanto da non venire neppure riconosciuto come frutto di quell'azione primaria di Fontana. Per lui si parla piuttosto di "analiticità", ed è giustissimo, ma questa non è anche il frutto di quell'intuizione che in maniera così netta e precisa ha posto l'accento su cosa sia la superficie, e di converso, su cosa sia la pittura? Ecco allora che una derivazione critica della cosiddetta pittura analitica dalle superfici estroflesse dei sodali di Fontana si potrebbe affiancare alla visione tradizionale di una derivazione di quella tendenza dall'astrazione geometrica e radicale. Una visione non peregrina, in cui non ci sono più epigoni, ma analisti.
Agostino Bonalumi nasce il 10 luglio 1935 a Vimercate, Milano.
Compie studi di disegno tecnico e meccanico. Pittore autodidatta, inizia a esporre giovanissimo.
Nel 1958 nasce il gruppo Bonalumi Castellani e Manzoni con una mostra alla Galleria Pater di Milano, alla quale seguiranno altre mostre a Roma, Milano e Losanna.
Nel 1961 alla Galleria Kasper di Losanna è tra i fondatori del gruppo Nuova Scuola Europea.
Arturo Schwarz acquista le sue opere e nel 1965 presenta una mostra personale di Bonalumi nella sua galleria di Milano, con presentazione in catalogo di Gillo Dorfles. Nel 1966 inizia un lungo periodo di collaborazione con la Galleria del Naviglio di Milano che lo rappresenterà in esclusiva, pubblicando nel 1973, per le Edizioni del Naviglio, un'ampia monografia a cura di Gillo Dorfles.
Nel 1966 è invitato alla Biennale di Venezia con un gruppo di opere, e nel 1970 con una sala personale. Segue un periodo di studi e di lavoro nei paesi dell'Africa mediterranea e negli Stati Uniti dove si presenterà con una personale alla galleria Bonino di New York. Nel 1967 è invitato alla Biennale di São Paulo e nel 1968 alla Biennale dei Giovani di Parigi.
Ha realizzato opere di pittura-ambientale quali, nel 1967, Blu abitabile per la mostra "Lo spazio dell'immagine", a Foligno; nel 1968 Grande Nero, per una mostra personale al Museum am Ostwall di Dortmund; nel 1979, nell'ambito della mostra "Pittura Ambiente" a Palazzo Reale di Milano l'opera Dal giallo al bianco e dal bianco al giallo, dove l'ambiente considerato attività dell'uomo, è analizzato come attività primaria e cioè psicologica, come anche in Ambiente Bianco. Spazio trattenuto e spazio invaso, realizzato nel 2002 per la Fondazione Guggenheim di Venezia.
Nel 1980 a cura della Regione Lombardia è allestita, a Palazzo Te di Mantova, un'ampia rassegna che illustra l'intero arco della sua opera. Nel 2002 l'Accademia Nazionale di San Luca di Roma celebra con una personale il conferimento ad Agostino Bonalumi del Premio Presidente della Repubblica 2001 alla carriera. Nel 2003 l'Institut Mathildenhöhe di Darmstadt presenta "Agostino Bonalumi. Malerei in der dritten dimension".
Si è occupato di scenografia realizzando nel 1970 per il Teatro Romano di Verona scene e costumi per il balletto "Partita", musica di Goffredo Petrassi, coreografia di Susanna Egri; e nel 1973 per il Teatro dell'Opera di Roma le scene e i costumi di "Rot", musica di Domenico Guaccero, coreografia di Amedeo Amodio. Ha realizzato libri d'artista per le Edizioni Colophon, Belluno e per le Edizioni Il Bulino, Roma ed ha pubblicato raccolte di poesie per la stessa Colophon, per Book Editore e per le Edizioni Poli Art.
Nonostante una malattia con cui convive ormai da tempo, Bonalumi, prosegue e lavora con assiduità sviluppando la sua ricerca fino agli esiti degli ultimi anni. Porta anche a compimento la realizzazione di un ciclo di sculture in bronzo su progetti risalenti alla fine degli anni '60. Bruxelles, Mosca, New York e Singapore sono alcune delle capitali mondiali che ospitano sue personali nell'ultimo periodo di attività.
Nell'estate del 2013 collabora con entusiasmo alla realizzazione di una sua importante mostra a Londra di cui, purtroppo, non arriverà a vederne l'apertura. Agostino Bonalumi muore a Monza il 18 settembre 2013. Solo una settimana prima era al lavoro nel posto in cui si sentiva meglio al mondo: il suo studio.
Sandro De Alexandris nasce a Torino il 31 dicembre del 1939 ed esordisce nella città natale nel 1963 con una personale alla Galleria Botero.
L'anno seguente compie le prime ricerche sulla modulazione graduata di spazi bidimensionali. Nascono le serie delle Carte e degli Spessori Orizzontali, nude presentazioni di segni lineari schematici tracciati sulla carta tramite pressione o piegatura e quella del Bianco+Bianco, otto tavole di identico formato su cui sono disposte serie geometriche di piccoli cubi in rilievo.
La serie Misure di spazio, tavole incise o lamiere attraversate da solchi e aggetti, sempre orizzontali, secondo una metrica calibratissima, viene esposta allo Studio UND di Monaco di Baviera nel 1967. Nello stesso anno è la personale allo Studio di Informazione Estetica di Torino, mentre già dall'anno precedente, e sino al 1969, progetta e realizza la serie delle superfici e dei Volumi TS, collocati a parete o a terra, di natura comunque ambientale, dalla forte presenza plastica, realizzati alternativamente in ferro, poliestere o laminati plastici.
Nel 1968 sono le personali allo Studio 2B di Bergamo e al Centro Arte Viva Feltrinelli di Trieste mentre nel 1969 quelle alla Galleria Diagramma di Milano e alla Galerie Friederich Tschanz di Solothurn. Parallelamente ai lavori plastici, De Alexandris prosegue il processo di indagine per mezzo della carta con la serie dei Rilievi, superfici sovrapposte su tavola con i quali si presenta nelle personali di inizio anni Settanta. Nel 1970 è alla Galerie 66 di Hoffenheim, alla Galerie Historial di Nyon, alla San Fedele di Milano e alla Galerie 58 di Rapperswil.
L'anno seguente è alla Galleria Ferrari di Verona e alla Galleria dei Mille di Bergamo, mentre nel 1972 è alla Teufel di Coblenza. Nel 1973 espone alla Galleria Peccolo di Livorno, dove torna tre anni più tardi anche nella sede di Colonia, mentre nel 1974 è alla Galleria Method di Bergamo, a La Polena di Genova, alla Galleria della Trinità di Roma e alla Adelphi di Padova. Nel 1974 nascono i primi lavori della serie t/n, cartoni tutti del medesimo formato 145x100 cm, graffiati da incisioni minime, fitte e ripetute, articolate sistematicamente secondo un andamento verticale, nei quali si attua un abbassamento percettivo estremo, e che presenta alla Galleria Martano di Torino nel 1977 e allo Studio Palazzoli di Milano nel 1979. Sempre nel 1979 esce, a cura di Paolo Fossati, la prima monografia dedicata al lavoro dell'artista.
A partire dal 1981 realizza i Trittici, superfici tripartite orizzontalmente nelle quali all'abbassamento percettivo delle superfici graffiate si uniscono, in rapporto di tensione contrapposizione, campi di trasparenze cromatiche. Successivamente le Sovrapposizioni e Stratificazioni di superfici a caduta, carte e tele appartenenti a prove di pittura dei primi anni '60, usate quali materiali di pittura, organicamente disposte per scansioni, contrapposizioni, consonanze cromatiche, trasparenze, conducono ad un coinvolgimento della pittura intesa come materia elementare che si concretizza nel 1994 con la serie, tuttora in essere, delle Stanze. Numerosissime negli anni Ottanta e Novanta le personali alla Galleria Mario Valente di Finale Ligure e alla Galleria Giancarlo Salzano di Torino. Nel 2004, a cura di Francesco Tedeschi, esce la seconda monografia dedicata all'artista e, nel 2019, quella della Galleria 10 A.M. ART di Milano a cura di Alberto Zanchetta.
Opening: 10 Giugno ore 17
Nell'esposizione un'importante selezione di opere degli anni Sessanta e Settanta che apre un dialogo inedito tra le ricerche dei due artisti.
Così scrive il curatore Marco Meneguzzo:
L'abitudine a un tipo di lettura della storia - di tutte le storie - di solito è generata da un'interpretazione molto convincente di quel che è accaduto, e anche dalle inevitabili generalizzazioni che la distanza temporale dagli avvenimenti ingenera proprio in quelle interpretazioni. La storia dell'arte, che pure è fatta di individui oltre che da linguaggi, non è esente da queste generalizzazioni e da queste abitudini: la catalogazione per movimenti e per fasi susseguenti le une alle altre è davvero comoda (in un'ottica di divulgazione scolastica o salottiera) e consente di collocare ciascuno - opera o artista - nel posto che la cronaca e la vulgata gli attribuisce, e quindi di definirlo una volta per tutte (!), in modo da rendere chiaro ciò di cui stiamo parlando, e comunque il territorio entro cui ci muoviamo.
Fortunatamente, la storia è una faccenda dinamica che, anche senza ricorrere a revisionismi impossibili, nell'urgenza di precisare alcuni momenti importanti del suo corso - importanti per noi, non per la storia che in sé è indifferente -, insieme alle generalizzazioni cerca al polo opposto di affinare il proprio sguardo, di renderlo più acuto sino a trovare delle vene "carsiche" del proprio corso che da un lato si discostano dalla corrente principale, e dall'altro magari ritrovano in tutt'altra direzione parte di quella corrente che si riteneva scorresse tranquilla verso la foce. Prendiamo a esempio la grande stagione italiana della neoavanguardia immediatamente a ridosso del 1960, che vede in Agostino Bonalumi e in Enrico Castellani (un poco meno in Piero Manzoni) i maggiori interpreti della nuova condizione della "superficie", dopo il gesto assoluto del "taglio" della stessa da parte di Lucio Fontana. Sono loro che cercano - allegoricamente e fisicamente - di "ricucire lo strappo" e di ricostruire su nuove e più ampie categorie quello che è il rapporto con un elemento imprescindibile - la superficie - dell'arte. Insieme a loro pochi altri - Paolo Scheggi, Dadamaino, Turi Simeti - e poi più nulla: tutti coloro che sono venuti dopo sono stati considerati epigoni perché troppo simili formalmente a quelli, tanto da sfiorare talvolta il plagio. Ma se questi sono da liquidare come dei copisti, la domanda che lo storico si deve porre è un'altra, ben più complessa: è possibile che una categoria così importante come la "superficie" sia stata affrontata in quegli anni, da quei pochi (naturalmente stiamo parlando di Italia, non di mondo, dove tuttavia è accaduto qualcosa di simile, ma non con la nostra pervicace cecità), e poi accantonata, come se tutto fosse risolto e soprattutto confinato in quelle esperienze?
Ecco allora che l'immagine del fiume carsico può rendere la sensazione che non si sia esplorato abbastanza, e che una parte delle acque di quel mainstream si sia riversata in altre vene più nascoste e sotterranee, per riemergere come qualcosa di nuovo, in luoghi e periodi apparentemente lontani da quella originaria esperienza.
La ricerca di Sandro De Alexandris, comparata con quella di Agostino Bonalumi, dà conto plasticamente a questa possibilità, di come due artisti raramente messi a confronto o anche solo avvicinati, possano rivelare parentele linguistiche non così lontane. Nelle pieghe della storia, cioè, si può nascondere ancora qualcosa di non visto, di non rilevato, che storicamente apre nuove prospettive di interpretazione su esperienze comunemente considerate indipendenti le une dalle altre. E proprio da una "piega" inizia l'indagine, quella piega sulla superficie che caratterizza i primi lavori di De Alexandris (dal 1964) e che poi si trasformerà in qualcos'altro. Quella piega è una piega reale, un corrugamento geometricamente determinato sulla superficie, una modifica fisica su un campo concettuale, tradizionalmente legato alla rappresentazione, qual è la tela. Quando la tela - o la carta, che diverrà materiale privilegiato di De Alexandris - viene piegata, smette di essere un semplice supporto e diventa un elemento protagonista dell'opera, che da quella piega è determinata. Bonalumi e quelli della sua generazione (che non sono poi così lontani, essendo Bonalumi nato nel 1935 e De Alexandris nel 1939) avevano già dichiarato nei fatti che la superficie "era" l'opera, sino ad accettare la definizione che Gillo Dorfles dava di queste esperienze come "pittura-oggetto", e loro era il merito di una sorta di eroicità neoavanguardistica nell'accettare la rivoluzione di Fontana e nel portarla avanti "con altri mezzi", citando von Clausewitz, ma così facendo aprivano a territori vasti e sconosciuti, la cui esplorazione prometteva grandi sviluppi... invece, la storia dell'arte così come la conosciamo ha praticamente dichiarato conclusa quella stagione coi suoi primi scopritori. Forse non ha saputo vedere che quella ricerca aveva preso un'altra piega (ancora!). Come avviene quando si getta un sasso in uno stagno, la perturbazione della quiete originaria dell'acqua - metafora per indicare l'azione dirompente di Fontana, senza il quale probabilmente quello stagno sarebbe rimasto immoto - genera alte onde vicine all'impatto - Bonalumi e Castellani -, per poi ritornare all'entropia iniziale attraverso onde sempre meno rilevate. Ma quello stagno, comunque, non è più lo stesso. E poi, persino nella metafora esiste una specie di somiglianza formale, se si considera quanto siano rilevate le superfici di Bonalumi, sin quasi ad essere degli altorilievi, e come questi rilievi si facciano sempre più minimi e minimali in De Alexandris, tanto da non venire neppure riconosciuto come frutto di quell'azione primaria di Fontana. Per lui si parla piuttosto di "analiticità", ed è giustissimo, ma questa non è anche il frutto di quell'intuizione che in maniera così netta e precisa ha posto l'accento su cosa sia la superficie, e di converso, su cosa sia la pittura? Ecco allora che una derivazione critica della cosiddetta pittura analitica dalle superfici estroflesse dei sodali di Fontana si potrebbe affiancare alla visione tradizionale di una derivazione di quella tendenza dall'astrazione geometrica e radicale. Una visione non peregrina, in cui non ci sono più epigoni, ma analisti.
Agostino Bonalumi nasce il 10 luglio 1935 a Vimercate, Milano.
Compie studi di disegno tecnico e meccanico. Pittore autodidatta, inizia a esporre giovanissimo.
Nel 1958 nasce il gruppo Bonalumi Castellani e Manzoni con una mostra alla Galleria Pater di Milano, alla quale seguiranno altre mostre a Roma, Milano e Losanna.
Nel 1961 alla Galleria Kasper di Losanna è tra i fondatori del gruppo Nuova Scuola Europea.
Arturo Schwarz acquista le sue opere e nel 1965 presenta una mostra personale di Bonalumi nella sua galleria di Milano, con presentazione in catalogo di Gillo Dorfles. Nel 1966 inizia un lungo periodo di collaborazione con la Galleria del Naviglio di Milano che lo rappresenterà in esclusiva, pubblicando nel 1973, per le Edizioni del Naviglio, un'ampia monografia a cura di Gillo Dorfles.
Nel 1966 è invitato alla Biennale di Venezia con un gruppo di opere, e nel 1970 con una sala personale. Segue un periodo di studi e di lavoro nei paesi dell'Africa mediterranea e negli Stati Uniti dove si presenterà con una personale alla galleria Bonino di New York. Nel 1967 è invitato alla Biennale di São Paulo e nel 1968 alla Biennale dei Giovani di Parigi.
Ha realizzato opere di pittura-ambientale quali, nel 1967, Blu abitabile per la mostra "Lo spazio dell'immagine", a Foligno; nel 1968 Grande Nero, per una mostra personale al Museum am Ostwall di Dortmund; nel 1979, nell'ambito della mostra "Pittura Ambiente" a Palazzo Reale di Milano l'opera Dal giallo al bianco e dal bianco al giallo, dove l'ambiente considerato attività dell'uomo, è analizzato come attività primaria e cioè psicologica, come anche in Ambiente Bianco. Spazio trattenuto e spazio invaso, realizzato nel 2002 per la Fondazione Guggenheim di Venezia.
Nel 1980 a cura della Regione Lombardia è allestita, a Palazzo Te di Mantova, un'ampia rassegna che illustra l'intero arco della sua opera. Nel 2002 l'Accademia Nazionale di San Luca di Roma celebra con una personale il conferimento ad Agostino Bonalumi del Premio Presidente della Repubblica 2001 alla carriera. Nel 2003 l'Institut Mathildenhöhe di Darmstadt presenta "Agostino Bonalumi. Malerei in der dritten dimension".
Si è occupato di scenografia realizzando nel 1970 per il Teatro Romano di Verona scene e costumi per il balletto "Partita", musica di Goffredo Petrassi, coreografia di Susanna Egri; e nel 1973 per il Teatro dell'Opera di Roma le scene e i costumi di "Rot", musica di Domenico Guaccero, coreografia di Amedeo Amodio. Ha realizzato libri d'artista per le Edizioni Colophon, Belluno e per le Edizioni Il Bulino, Roma ed ha pubblicato raccolte di poesie per la stessa Colophon, per Book Editore e per le Edizioni Poli Art.
Nonostante una malattia con cui convive ormai da tempo, Bonalumi, prosegue e lavora con assiduità sviluppando la sua ricerca fino agli esiti degli ultimi anni. Porta anche a compimento la realizzazione di un ciclo di sculture in bronzo su progetti risalenti alla fine degli anni '60. Bruxelles, Mosca, New York e Singapore sono alcune delle capitali mondiali che ospitano sue personali nell'ultimo periodo di attività.
Nell'estate del 2013 collabora con entusiasmo alla realizzazione di una sua importante mostra a Londra di cui, purtroppo, non arriverà a vederne l'apertura. Agostino Bonalumi muore a Monza il 18 settembre 2013. Solo una settimana prima era al lavoro nel posto in cui si sentiva meglio al mondo: il suo studio.
Sandro De Alexandris nasce a Torino il 31 dicembre del 1939 ed esordisce nella città natale nel 1963 con una personale alla Galleria Botero.
L'anno seguente compie le prime ricerche sulla modulazione graduata di spazi bidimensionali. Nascono le serie delle Carte e degli Spessori Orizzontali, nude presentazioni di segni lineari schematici tracciati sulla carta tramite pressione o piegatura e quella del Bianco+Bianco, otto tavole di identico formato su cui sono disposte serie geometriche di piccoli cubi in rilievo.
La serie Misure di spazio, tavole incise o lamiere attraversate da solchi e aggetti, sempre orizzontali, secondo una metrica calibratissima, viene esposta allo Studio UND di Monaco di Baviera nel 1967. Nello stesso anno è la personale allo Studio di Informazione Estetica di Torino, mentre già dall'anno precedente, e sino al 1969, progetta e realizza la serie delle superfici e dei Volumi TS, collocati a parete o a terra, di natura comunque ambientale, dalla forte presenza plastica, realizzati alternativamente in ferro, poliestere o laminati plastici.
Nel 1968 sono le personali allo Studio 2B di Bergamo e al Centro Arte Viva Feltrinelli di Trieste mentre nel 1969 quelle alla Galleria Diagramma di Milano e alla Galerie Friederich Tschanz di Solothurn. Parallelamente ai lavori plastici, De Alexandris prosegue il processo di indagine per mezzo della carta con la serie dei Rilievi, superfici sovrapposte su tavola con i quali si presenta nelle personali di inizio anni Settanta. Nel 1970 è alla Galerie 66 di Hoffenheim, alla Galerie Historial di Nyon, alla San Fedele di Milano e alla Galerie 58 di Rapperswil.
L'anno seguente è alla Galleria Ferrari di Verona e alla Galleria dei Mille di Bergamo, mentre nel 1972 è alla Teufel di Coblenza. Nel 1973 espone alla Galleria Peccolo di Livorno, dove torna tre anni più tardi anche nella sede di Colonia, mentre nel 1974 è alla Galleria Method di Bergamo, a La Polena di Genova, alla Galleria della Trinità di Roma e alla Adelphi di Padova. Nel 1974 nascono i primi lavori della serie t/n, cartoni tutti del medesimo formato 145x100 cm, graffiati da incisioni minime, fitte e ripetute, articolate sistematicamente secondo un andamento verticale, nei quali si attua un abbassamento percettivo estremo, e che presenta alla Galleria Martano di Torino nel 1977 e allo Studio Palazzoli di Milano nel 1979. Sempre nel 1979 esce, a cura di Paolo Fossati, la prima monografia dedicata al lavoro dell'artista.
A partire dal 1981 realizza i Trittici, superfici tripartite orizzontalmente nelle quali all'abbassamento percettivo delle superfici graffiate si uniscono, in rapporto di tensione contrapposizione, campi di trasparenze cromatiche. Successivamente le Sovrapposizioni e Stratificazioni di superfici a caduta, carte e tele appartenenti a prove di pittura dei primi anni '60, usate quali materiali di pittura, organicamente disposte per scansioni, contrapposizioni, consonanze cromatiche, trasparenze, conducono ad un coinvolgimento della pittura intesa come materia elementare che si concretizza nel 1994 con la serie, tuttora in essere, delle Stanze. Numerosissime negli anni Ottanta e Novanta le personali alla Galleria Mario Valente di Finale Ligure e alla Galleria Giancarlo Salzano di Torino. Nel 2004, a cura di Francesco Tedeschi, esce la seconda monografia dedicata all'artista e, nel 2019, quella della Galleria 10 A.M. ART di Milano a cura di Alberto Zanchetta.
Opening: 10 Giugno ore 17
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