Nicola Samorì. Intus. Cristalli di crisi
Dal 10 Maggio 2014 al 15 Giugno 2014
Lissone | Milano
Luogo: Museo d’Arte Contemporanea
Indirizzo: viale Padania 6
Orari: Martedì, Mercoledì, Venerdì h 15-19 Giovedì h 15-23 Sabato e Domenica h 10-12 / 15-19
Curatori: Alberto Zanchetta
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 039 7397368 / 039 2145174
E-Mail info: museo@comune.lissone.mb.it
Sito ufficiale: http://www.museolissone.it
Dal 10 maggio al 15 giugno 2014, il Museo d’Arte Contemporanea di Lissone (MB) ospita la mostra di Nicola Samorì (Forlì, 1977), dal titolo INTUS. Cristalli di crisi.
L’esposizione, curata da Alberto Zanchetta, direttore del museo, è la prima personale di sole sculture dell’artista romagnolo, il quale proporrà una trentina opere che rappresentano un vasto campionario di soluzioni rispetto al rilievo, al bassorilievo e al calco della pittura, attingendo in modo trasversale a diversi periodi della sporadica esperienza plastica di Samorì.
Teste convulse in marmo, gesso o bronzo si accompagneranno a una ricca sequenza di busti liquefatti nell’onice o nel marmo rosa.
Tutti questi lavori nascono da un interrogativo posto dall’artista: “un dipinto quando muore diventa una scultura? Forse lo è sempre stato ma solo perdendo i processi d’illusione indotti dal colore e cedendo il passo ai movimenti prodotti dalla superficie esso scivola nello spazio della scultura”.
La rassegna prosegue con alcune sculture dalla postura tortile – “corpi senza ossa” ottenuti staccando la pittura dal supporto rigido e facendole assumere un volume plastico – e un altorilievo pittorico di 200x300 cm coperto in foglia di rame ossidato. Le sale del museo brianzolo accoglieranno inoltre un nudo di quasi due metri e mezzo di lunghezza, ingigantimento di un modellino in cera che ha subìto una torsione attraverso la pressione delle mani; infine, una serie di busti con la faccia rivolta a parete, intenti a fissare otto formelle in bronzo, marmo e olio (di circa 40x30 cm cadauna).
«Se l’ambizione della mia pittura - afferma ancora Samorì - è quella di risvegliarsi dal sonno bidimensionale, l’aspirazione della mia scultura è talvolta quella di fare tabula rasa dell’immagine scacciando i rilievi dal piano e scavando i volumi da dentro».
Il titolo, INTUS, allude proprio a un “dentro” violato attraverso un lavoro di chirurgia scultorea. L’artista ha voluto avvicinarsi a dei testimoni plastici, più o meno antichi, per instillare al loro interno un processo di decomposizione corporea. Emblematici di questo atteggiamento sono una testa liquefatta in marmo rosa del Portogallo e due onici parzialmente cave, che rappresentano la risposta plastica più coerente al modus operandi che Samorì sta sperimentando con la pittura negli ultimi anni. In entrambe le effigi, la forma si genera intorno all'ammanco naturale che si cristallizza in modo diverso, a seconda del tipo di pietra e di formazione spontanea della stessa. Una delle due teste è il ritratto che Daniele da Volterra fece a Michelangelo, il cui naso deturpato a seguito di una zuffa ne segnò per sempre il profilo e l’immagine.
Altrettanto emblematico è il sottotitolo, Cristalli di crisi, tratta da un’espressione usata dallo storico dell’arte tedesco Carl Einstein che fa riferimento a “qualcosa che si manifesta come anomalo nella storia dell’arte, osando promuovere l’avanzata sovversiva delle forme attraverso un assalto regressivo dell’informe”. Tale regressione caratterizza tutte le opere esposte.
L’esposizione, curata da Alberto Zanchetta, direttore del museo, è la prima personale di sole sculture dell’artista romagnolo, il quale proporrà una trentina opere che rappresentano un vasto campionario di soluzioni rispetto al rilievo, al bassorilievo e al calco della pittura, attingendo in modo trasversale a diversi periodi della sporadica esperienza plastica di Samorì.
Teste convulse in marmo, gesso o bronzo si accompagneranno a una ricca sequenza di busti liquefatti nell’onice o nel marmo rosa.
Tutti questi lavori nascono da un interrogativo posto dall’artista: “un dipinto quando muore diventa una scultura? Forse lo è sempre stato ma solo perdendo i processi d’illusione indotti dal colore e cedendo il passo ai movimenti prodotti dalla superficie esso scivola nello spazio della scultura”.
La rassegna prosegue con alcune sculture dalla postura tortile – “corpi senza ossa” ottenuti staccando la pittura dal supporto rigido e facendole assumere un volume plastico – e un altorilievo pittorico di 200x300 cm coperto in foglia di rame ossidato. Le sale del museo brianzolo accoglieranno inoltre un nudo di quasi due metri e mezzo di lunghezza, ingigantimento di un modellino in cera che ha subìto una torsione attraverso la pressione delle mani; infine, una serie di busti con la faccia rivolta a parete, intenti a fissare otto formelle in bronzo, marmo e olio (di circa 40x30 cm cadauna).
«Se l’ambizione della mia pittura - afferma ancora Samorì - è quella di risvegliarsi dal sonno bidimensionale, l’aspirazione della mia scultura è talvolta quella di fare tabula rasa dell’immagine scacciando i rilievi dal piano e scavando i volumi da dentro».
Il titolo, INTUS, allude proprio a un “dentro” violato attraverso un lavoro di chirurgia scultorea. L’artista ha voluto avvicinarsi a dei testimoni plastici, più o meno antichi, per instillare al loro interno un processo di decomposizione corporea. Emblematici di questo atteggiamento sono una testa liquefatta in marmo rosa del Portogallo e due onici parzialmente cave, che rappresentano la risposta plastica più coerente al modus operandi che Samorì sta sperimentando con la pittura negli ultimi anni. In entrambe le effigi, la forma si genera intorno all'ammanco naturale che si cristallizza in modo diverso, a seconda del tipo di pietra e di formazione spontanea della stessa. Una delle due teste è il ritratto che Daniele da Volterra fece a Michelangelo, il cui naso deturpato a seguito di una zuffa ne segnò per sempre il profilo e l’immagine.
Altrettanto emblematico è il sottotitolo, Cristalli di crisi, tratta da un’espressione usata dallo storico dell’arte tedesco Carl Einstein che fa riferimento a “qualcosa che si manifesta come anomalo nella storia dell’arte, osando promuovere l’avanzata sovversiva delle forme attraverso un assalto regressivo dell’informe”. Tale regressione caratterizza tutte le opere esposte.
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