PROJECT ROOM #14 - Rosa in mano. Nevine Mahmoud, Margherita Raso, Derek MF Di Fabio
Dal 11 Settembre 2021 al 17 Dicembre 2021
Milano
Luogo: Fondazione Arnaldo Pomodoro
Indirizzo: Via Vigevano 9
Curatori: Eva Fabbris
Enti promotori:
- Patrocinio di Regione Lombardia e Comune di Milano
Telefono per informazioni: +39 02 890 753 94
E-Mail info: info@fondazionearnaldopomodoro
Sito ufficiale: http://www.fondazionearnaldopomodoro.it
Con la mostra Rosa in mano di Nevine Mahmoud e Margherita Raso con Derek MF Di Fabio, dall’11 settembre al 17 dicembre 2021 la Fondazione Arnaldo Pomodoro presenta il secondo appuntamento del ciclo espositivo 2021 delle Project Room, progetto “osservatorio” dedicato ai più recenti sviluppi del panorama artistico internazionale, affidato per quest’anno alla guest curator Eva Fabbris.
L’insieme dei lavori esposti è una danza di posizioni e di contatti fisici; è un confronto tra presenze e assenze, tra interi e parti, tra cromie e sensazioni.
Nevine Mahmoud (Londra, 1988 – vive e lavora a Los Angeles) e Margherita Raso (Lecco, 1991 – vive e lavora tra New York e Milano) radicano entrambe la loro pratica in un corpo a corpo con materiali e tecniche: opere scolpite o soffiate (vetro) per l’una, lavori a telaio meccanico o manuale per l’altra.
Il risultato consiste per Mahmoud in oggetti a sé stanti, rappresentazioni spiccatamente sensuali di pezzi di corpi o di elementi naturali che si presentano come forme “chiuse”, mondi scultorei auto-riferiti. l tessuti di Raso si danno invece come opere che non hanno una forma prefissata e stabile: superfici di grande qualità tattile e visiva che occupano gli spazi pendendo dal soffitto, aggrappandosi alle pareti, appoggiandosi su superfici trovate.
l motivi di Raso emergono dall’intreccio dei fili tessuti a telaio jaquard, a volte apparentemente astratti a volte più eminentemente figurativi: in quest’ultimo caso quello che accade su ciascun drappo è l’apparire di un insieme di silhouette di corpi, ripetuti e sovrapposti in un pattern veloce che potrebbe ricordare dei movimenti di animazione da cartoon, o dei brevi tratti cronofotografici. L’impatto materico del tessuto, con i suoi chiaro-scuri, il gioco opaco-lucido, il contraddittorio senso di peso panneggiato e dell’impermanenza della forma, precede e sovrasta la riconoscibilità di questo soggetto.
Mahmoud segue una traiettoria più “surrealisteggiante”, traducendo brani di corpo femminile e frutti ammiccanti nel più levigato dei marmi o in vetri soffiati vagamente decadenti. In un continuo gioco di superfici, che coinvolge anche i supporti – di volta in volta le sculture poggiano su basi opache o trasparenti, colorate e lineari, le sue sculture giocano una doppia carta di seduzione – la sensualità del soggetto (una lingua, un seno, una pesca) è esaltata e contraddetta dalla fredda e composta tattilità di marmi e vetri.
Il confronto tra le due artiste si espande grazie all’intervento di un terzo artista: Derek MF Di Fabio (Milano, 1987 – vive e lavora tra Perdaxius e Berlino). Il lavoro di Di Fabio spesso consiste in workshop, il cui risultato finale è di relativa importanza oggettuale. La sua attenzione poetica è spostata sulle situazioni, su come si possano ascoltare e interpretare.
La selezione delle opere di Mahmoud testimonia la coerenza della sua produzione dal 2017 al 2021, in un ricorrere e variare di temi e materiali (spaziando tra marmo, alabastro e vetro) che confermano il focus del suo sguardo di scultrice sulla vitalità dei corpi.
Raso presenta un’opera prodotta per questa occasione espositiva: un tessuto di larghezza di più di 3 metri in cui l’interesse per la riproduzione delle silhouette sovrapposte di corpi prende una direzione animata, quasi narrativa, mostrando posizioni di slancio e altre che sembrano alludere a delle cadute.
Le opere delle due artiste sono al centro di un laboratorio condotto da Di Fabio presso il carcere di Vigevano a partire da febbraio 2020, che si svolge sia in presenza che in forma epistolare. Confermando la potenza fisica emanata da queste sculture, Di Fabio le porta metaforicamente in carcere attraverso immagini e racconti, offrendole a un gruppo di detenuti come spunti per un laboratorio di scrittura che passa anche per il confronto con autori letterari e teorici (James Ballard, Dino Buzzati, William Gibson, Alexis Pauline Gumbs…). Nelle parole dell’artista “il workshop propone la scultura ai partecipanti come somma di gesti e decisioni da indagare attraverso narrazioni e l'invocazione di ciò che è altro. Il tema è il rapporto materiale e sensibile con qualcosa che non è presente, la relazione fisica con la memoria.”
Il risultato del laboratorio è una traccia audio scaricabile gratuitamente dal sito della Fondazione e il cui ascolto può fungere da ‘audio-guida’ della mostra.
Dal momento che il workshop è ancora in corso, all’inaugurazione verrà presentata una prima parte dei materiali: il lavoro completo sarà presentato nel corso dell’autunno.
L’insieme dei lavori esposti è una danza di posizioni e di contatti fisici; è un confronto tra presenze e assenze, tra interi e parti, tra cromie e sensazioni.
Nevine Mahmoud (Londra, 1988 – vive e lavora a Los Angeles) e Margherita Raso (Lecco, 1991 – vive e lavora tra New York e Milano) radicano entrambe la loro pratica in un corpo a corpo con materiali e tecniche: opere scolpite o soffiate (vetro) per l’una, lavori a telaio meccanico o manuale per l’altra.
Il risultato consiste per Mahmoud in oggetti a sé stanti, rappresentazioni spiccatamente sensuali di pezzi di corpi o di elementi naturali che si presentano come forme “chiuse”, mondi scultorei auto-riferiti. l tessuti di Raso si danno invece come opere che non hanno una forma prefissata e stabile: superfici di grande qualità tattile e visiva che occupano gli spazi pendendo dal soffitto, aggrappandosi alle pareti, appoggiandosi su superfici trovate.
l motivi di Raso emergono dall’intreccio dei fili tessuti a telaio jaquard, a volte apparentemente astratti a volte più eminentemente figurativi: in quest’ultimo caso quello che accade su ciascun drappo è l’apparire di un insieme di silhouette di corpi, ripetuti e sovrapposti in un pattern veloce che potrebbe ricordare dei movimenti di animazione da cartoon, o dei brevi tratti cronofotografici. L’impatto materico del tessuto, con i suoi chiaro-scuri, il gioco opaco-lucido, il contraddittorio senso di peso panneggiato e dell’impermanenza della forma, precede e sovrasta la riconoscibilità di questo soggetto.
Mahmoud segue una traiettoria più “surrealisteggiante”, traducendo brani di corpo femminile e frutti ammiccanti nel più levigato dei marmi o in vetri soffiati vagamente decadenti. In un continuo gioco di superfici, che coinvolge anche i supporti – di volta in volta le sculture poggiano su basi opache o trasparenti, colorate e lineari, le sue sculture giocano una doppia carta di seduzione – la sensualità del soggetto (una lingua, un seno, una pesca) è esaltata e contraddetta dalla fredda e composta tattilità di marmi e vetri.
Il confronto tra le due artiste si espande grazie all’intervento di un terzo artista: Derek MF Di Fabio (Milano, 1987 – vive e lavora tra Perdaxius e Berlino). Il lavoro di Di Fabio spesso consiste in workshop, il cui risultato finale è di relativa importanza oggettuale. La sua attenzione poetica è spostata sulle situazioni, su come si possano ascoltare e interpretare.
La selezione delle opere di Mahmoud testimonia la coerenza della sua produzione dal 2017 al 2021, in un ricorrere e variare di temi e materiali (spaziando tra marmo, alabastro e vetro) che confermano il focus del suo sguardo di scultrice sulla vitalità dei corpi.
Raso presenta un’opera prodotta per questa occasione espositiva: un tessuto di larghezza di più di 3 metri in cui l’interesse per la riproduzione delle silhouette sovrapposte di corpi prende una direzione animata, quasi narrativa, mostrando posizioni di slancio e altre che sembrano alludere a delle cadute.
Le opere delle due artiste sono al centro di un laboratorio condotto da Di Fabio presso il carcere di Vigevano a partire da febbraio 2020, che si svolge sia in presenza che in forma epistolare. Confermando la potenza fisica emanata da queste sculture, Di Fabio le porta metaforicamente in carcere attraverso immagini e racconti, offrendole a un gruppo di detenuti come spunti per un laboratorio di scrittura che passa anche per il confronto con autori letterari e teorici (James Ballard, Dino Buzzati, William Gibson, Alexis Pauline Gumbs…). Nelle parole dell’artista “il workshop propone la scultura ai partecipanti come somma di gesti e decisioni da indagare attraverso narrazioni e l'invocazione di ciò che è altro. Il tema è il rapporto materiale e sensibile con qualcosa che non è presente, la relazione fisica con la memoria.”
Il risultato del laboratorio è una traccia audio scaricabile gratuitamente dal sito della Fondazione e il cui ascolto può fungere da ‘audio-guida’ della mostra.
Dal momento che il workshop è ancora in corso, all’inaugurazione verrà presentata una prima parte dei materiali: il lavoro completo sarà presentato nel corso dell’autunno.
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