Sabrina D’Alessandro. Parole Parlanti
![Sabrina D'Alessandro, Raplapla, Parola parlante, 2016 Sabrina D'Alessandro, Raplapla, Parola parlante, 2016](http://www.arte.it/foto/600x450/7a/120703-03Sabrina-DAlessandro-Raplapla_-Parola-parlante-2016.jpg)
Sabrina D'Alessandro, Raplapla, Parola parlante, 2016
Dal 14 Settembre 2021 al 24 Settembre 2021
Milano
Luogo: Fondazione Mudima
Indirizzo: Via Tadino 26
Orari: lunedì–venerdì 11-13 / 15-19
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02.29409633
E-Mail info: info@mudima.net
Sito ufficiale: http://www.mudima.net
Tra un’opera e l’altra, inseriti come elemento di disturbo a riprodurre l’atmosfera di quelle inaugurazioni, una serie di pappacchioni, scatti rubati da Sabrina D’Alessandro durante i vernissage in periodo pre-covid (2009-2018).
Mani che stringono tramezzini, bicchieri mezzi vuoti, culatelli e coltelli; in assenza del buffet reale, l’artista espone le fotografie. Stampe laser su carta, inchiodate al muro in contrasto con la preziosità e la purezza formale delle parole parlanti, incise in oro a caldo su tela rossa.
Raplaplà, seperòso, redamare… parole recuperate negli anni da Sabrina D’Alessandro e che, come scrive Stefano Bartezzaghi «hanno da dire qualcosa che non si perde mai e ci riguarda da vicino». Per leggerle e ascoltare la loro voce sibillina occorre infatti avvicinarsi, cercando di non farsi distrarre dalle «fameliche vestigia» dei pappacchioni, accompagnati a loro volta da un motto: Art is what makes food more interesting than art (l’arte è ciò che rende il cibo più interessante dell’arte).
È bastato sostituire la parola life con la parola food e la famosa frase di Robert Filliou è diventata la provocatoria definizione di quel che spesso i vernissage furono e potrebbero tornare a essere. Con tutti gli interrogativi sul futuro dell’arte che ne conseguono.
Una delle possibili risposte è già nella mostra, da godere in silenzio e nell’opera in marmo, acciaio e ottone al centro della sala: il Farlingotto, «scultura poliglotta che insegna a tacere in 12 lingue» (2020, courtesy Museo di Santa Maria della Scala, Siena).
Mani che stringono tramezzini, bicchieri mezzi vuoti, culatelli e coltelli; in assenza del buffet reale, l’artista espone le fotografie. Stampe laser su carta, inchiodate al muro in contrasto con la preziosità e la purezza formale delle parole parlanti, incise in oro a caldo su tela rossa.
Raplaplà, seperòso, redamare… parole recuperate negli anni da Sabrina D’Alessandro e che, come scrive Stefano Bartezzaghi «hanno da dire qualcosa che non si perde mai e ci riguarda da vicino». Per leggerle e ascoltare la loro voce sibillina occorre infatti avvicinarsi, cercando di non farsi distrarre dalle «fameliche vestigia» dei pappacchioni, accompagnati a loro volta da un motto: Art is what makes food more interesting than art (l’arte è ciò che rende il cibo più interessante dell’arte).
È bastato sostituire la parola life con la parola food e la famosa frase di Robert Filliou è diventata la provocatoria definizione di quel che spesso i vernissage furono e potrebbero tornare a essere. Con tutti gli interrogativi sul futuro dell’arte che ne conseguono.
Una delle possibili risposte è già nella mostra, da godere in silenzio e nell’opera in marmo, acciaio e ottone al centro della sala: il Farlingotto, «scultura poliglotta che insegna a tacere in 12 lingue» (2020, courtesy Museo di Santa Maria della Scala, Siena).
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