Stefano Cagol. Archeology of the Anthropocene. Far before and after us
Dal 09 Novembre 2022 al 13 Gennaio 2023
Milano
Luogo: C+N Gallery CANEPANERI
Indirizzo: Foro Buonaparte 48
Orari: da martedì a venerdì 10:00-17:00
Telefono per informazioni: +39 02 36768281
E-Mail info: info@canepaneri.com
Sito ufficiale: http://www.canepaneri.com
Una mostra che guarda all’idea di tempo oltre l’essere umano è la seconda personale di Stefano Cagol da C+N Gallery CANEPANERI.
L’artista sceglie di riprendere l’abusata definizione dell’era dell’essere umano per scrutarne la fine e immaginare un mondo in cui le interferenze antropogeniche continuano il loro corso anche dopo di noi, un’era vicina al suo termine e già antica. Mentre gli scienziati sono ancora occupati in processi di denominazione, ricerche di marcatori e tentativi di datazione di quest’epoca geologica, in competizione tra loro tra chi fa iniziare l’Antropocene con il nucleare, la rivoluzione industriale o l’agricoltura, l’artista lo vede coincidere con la nostra stessa origine, con un momento evolutivo di distinzione dalle altre specie: il controllo del fuoco. Già allora, fin da subito, eravamo come adesso: esseri splendidi e ingegnosi, ma anche così arroganti e aggressivi con tutto e con tutti. Già allora ha avuto inizio il nostro impatto, la stessa antropogenicità è un iperoggetto, nel suo essere time- & spacetransgressive. L’Antropocene, che alle nostre orecchie suona così legato al presente e al futuro, affonda vischiosamente nel nostro passato più remoto.
Stefano Cagol evoca questo tempo in una ventina di opere scultoree, installative, video, fotografiche e sonore attraverso la presenza concettuale di singoli elementi, il fuoco, il ghiaccio una volta eterno, la materia migrante, rocce alpine che erano fondali tropicali, polimeri metamorfici e radiazioni, come fossero parte del nostro strato geologico. Ne nasce così una sorta di stratigrafia, non lineare né descrittiva, che richiama diversi momenti dell’epoca dell’essere umano, l’età dei combustibili fossili e della plastica, quella dell’atomica, arrivando fino a periodi molto prima di noi e dopo. In uno sguardo tra origine, fine (e oltre), la temporalità è anche durata, di ghiacciai antichi migliaia di anni, polietilene che ne resiste mille, esplosioni nucleari radioattive per un milione di anni e il nostro impatto che ci sopravvivrà. In questa dimensione, l’artista si pone tra luce e buio, in una solitudine sciamanica e divinatoria.
Il percorso espositivo è una selezione di opere storicizzate e altre inedite che rendono conto della coerenza della ricerca di questo artista. Troviamo il lavoro video del 2022 “Far before and after us”, un rito del fuoco realizzato tra vette innalzatesi da fondali primordiali. L’ha realizzato per la partecipazione alla Biennale di Venezia nella mostra “Pera + Flora + Fauna. The Story of Indigenousness and the Ownership of History” del padiglione dello stato del Perak – Malaysia (fino al 27 novembre agli Archivi della Misericodia). Un’altra opera da Biennale esposta è “The Ice Monolith” per il Padiglione Nazionale delle Maldive a Venezia nel 2013: un blocco di ghiaccio alpino lasciato sparire sotto gli occhi dei passanti, che allora colpì i media internazionali e ora figura su testi scolastici come esempio imprescindibile di arte a confronto con questioni climatiche. Reperti del riscaldamento globale sono le opere scultoree inedite “Monuments to the flow (of matter)”, flaconi in plastica recuperati, plasmati dal calore e innalzati su un piedestallo in marmo. Citando la loro autentica, sono “opere garantite per 1000 anni”: il tempo oltre l’essere umano. L’Isola di Bouvet nell’Antartide è ricreata da freddi accartocciamenti in alluminio a specchio schiacciati tra le mani e imbullonati. Quell’isola è considerata il luogo più remoto sul pianeta, ma per questo non scevro da fatti atomici. È poi presente una delle prime opere dell’artista, realizzata nel 1995 ma quanto mai attuale. È la registrazione di un’esplosione nucleare rallentata all’estremo: ne esce un suono simile a uno strumento ad arco, straniante e straziante, sintesi perfetta dell’essere umano che agita fatalmente le corde del pianeta.
L’apocalittico Stefano Cagol, mentre sta portando avanti il suo progetto WE ARE THE FLOOD sul concetto di diluvio attraverso una piattaforma di confronto all’interno del MUSE Museo delle Scienze di Trento, crede, fino in fondo, nell’artista con un ruolo sociale e spirituale.
La mostra è accompagnata da un testo critico di Elisa Barison, curatrice della Stadt Galerie Brixen.
Stefano Cagol (Trento, 1969) ha studiato all'Accademia di Brera a Milano e alla Ryerson University di Toronto con una borsa di studio post-dottorato del Governo del Canada. Vincitore dell’Italian Council (2019) del Ministero Italiano della Cultura e di premi come il Visit di E.on Stiftung e il Terna per l’Arte Contemporanea, lavora negli ambiti dell’Arte Concettuale, Arte Ambientale, Eco Art e Land Art. Ha partecipato a biennali come la 59., 55. e 54. Biennale di Venezia, Manifesta 11, 14. Biennale di Curitiba, 2. OFF Biennale Cairo, 1. Xinjiang Biennale e 1. Biennale di Singapore. Gli hanno dedicato mostre personali musei come CCA Center for Contemporary Art di Tel Aviv (2021), MA*GA di Gallarate (2019), Galleria Civica di Trento/Mart (2016), ZKM Karlsruhe (2012) e Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (2000).
L’artista sceglie di riprendere l’abusata definizione dell’era dell’essere umano per scrutarne la fine e immaginare un mondo in cui le interferenze antropogeniche continuano il loro corso anche dopo di noi, un’era vicina al suo termine e già antica. Mentre gli scienziati sono ancora occupati in processi di denominazione, ricerche di marcatori e tentativi di datazione di quest’epoca geologica, in competizione tra loro tra chi fa iniziare l’Antropocene con il nucleare, la rivoluzione industriale o l’agricoltura, l’artista lo vede coincidere con la nostra stessa origine, con un momento evolutivo di distinzione dalle altre specie: il controllo del fuoco. Già allora, fin da subito, eravamo come adesso: esseri splendidi e ingegnosi, ma anche così arroganti e aggressivi con tutto e con tutti. Già allora ha avuto inizio il nostro impatto, la stessa antropogenicità è un iperoggetto, nel suo essere time- & spacetransgressive. L’Antropocene, che alle nostre orecchie suona così legato al presente e al futuro, affonda vischiosamente nel nostro passato più remoto.
Stefano Cagol evoca questo tempo in una ventina di opere scultoree, installative, video, fotografiche e sonore attraverso la presenza concettuale di singoli elementi, il fuoco, il ghiaccio una volta eterno, la materia migrante, rocce alpine che erano fondali tropicali, polimeri metamorfici e radiazioni, come fossero parte del nostro strato geologico. Ne nasce così una sorta di stratigrafia, non lineare né descrittiva, che richiama diversi momenti dell’epoca dell’essere umano, l’età dei combustibili fossili e della plastica, quella dell’atomica, arrivando fino a periodi molto prima di noi e dopo. In uno sguardo tra origine, fine (e oltre), la temporalità è anche durata, di ghiacciai antichi migliaia di anni, polietilene che ne resiste mille, esplosioni nucleari radioattive per un milione di anni e il nostro impatto che ci sopravvivrà. In questa dimensione, l’artista si pone tra luce e buio, in una solitudine sciamanica e divinatoria.
Il percorso espositivo è una selezione di opere storicizzate e altre inedite che rendono conto della coerenza della ricerca di questo artista. Troviamo il lavoro video del 2022 “Far before and after us”, un rito del fuoco realizzato tra vette innalzatesi da fondali primordiali. L’ha realizzato per la partecipazione alla Biennale di Venezia nella mostra “Pera + Flora + Fauna. The Story of Indigenousness and the Ownership of History” del padiglione dello stato del Perak – Malaysia (fino al 27 novembre agli Archivi della Misericodia). Un’altra opera da Biennale esposta è “The Ice Monolith” per il Padiglione Nazionale delle Maldive a Venezia nel 2013: un blocco di ghiaccio alpino lasciato sparire sotto gli occhi dei passanti, che allora colpì i media internazionali e ora figura su testi scolastici come esempio imprescindibile di arte a confronto con questioni climatiche. Reperti del riscaldamento globale sono le opere scultoree inedite “Monuments to the flow (of matter)”, flaconi in plastica recuperati, plasmati dal calore e innalzati su un piedestallo in marmo. Citando la loro autentica, sono “opere garantite per 1000 anni”: il tempo oltre l’essere umano. L’Isola di Bouvet nell’Antartide è ricreata da freddi accartocciamenti in alluminio a specchio schiacciati tra le mani e imbullonati. Quell’isola è considerata il luogo più remoto sul pianeta, ma per questo non scevro da fatti atomici. È poi presente una delle prime opere dell’artista, realizzata nel 1995 ma quanto mai attuale. È la registrazione di un’esplosione nucleare rallentata all’estremo: ne esce un suono simile a uno strumento ad arco, straniante e straziante, sintesi perfetta dell’essere umano che agita fatalmente le corde del pianeta.
L’apocalittico Stefano Cagol, mentre sta portando avanti il suo progetto WE ARE THE FLOOD sul concetto di diluvio attraverso una piattaforma di confronto all’interno del MUSE Museo delle Scienze di Trento, crede, fino in fondo, nell’artista con un ruolo sociale e spirituale.
La mostra è accompagnata da un testo critico di Elisa Barison, curatrice della Stadt Galerie Brixen.
Stefano Cagol (Trento, 1969) ha studiato all'Accademia di Brera a Milano e alla Ryerson University di Toronto con una borsa di studio post-dottorato del Governo del Canada. Vincitore dell’Italian Council (2019) del Ministero Italiano della Cultura e di premi come il Visit di E.on Stiftung e il Terna per l’Arte Contemporanea, lavora negli ambiti dell’Arte Concettuale, Arte Ambientale, Eco Art e Land Art. Ha partecipato a biennali come la 59., 55. e 54. Biennale di Venezia, Manifesta 11, 14. Biennale di Curitiba, 2. OFF Biennale Cairo, 1. Xinjiang Biennale e 1. Biennale di Singapore. Gli hanno dedicato mostre personali musei come CCA Center for Contemporary Art di Tel Aviv (2021), MA*GA di Gallarate (2019), Galleria Civica di Trento/Mart (2016), ZKM Karlsruhe (2012) e Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (2000).
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