Tino Stefanoni. L’enigma dell'ovvio
Dal 20 Novembre 2013 al 11 Gennaio 2014
Milano
Luogo: Galleria Credito Valtellinese
Indirizzo: corso Magenta 59
Orari: da lunedì a venerdì 13-19.30; sabato 9-12
Curatori: Valerio Dehò
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 48 008015
E-Mail info: galleriearte@creval.it
Sito ufficiale: http://www.creval.it/
L’esposizione presenterà oltre cento opere, dal 1965 a oggi, di uno tra i protagonisti degli ultimi cinquant’anni di arte italiana.
Dal 20 novembre 2013 all’11 gennaio 2014, la Galleria Gruppo Credito Valtellinese spazio milanese dell’omonima Fondazione, ospiterà la più grande e completa antologica di Tino Stefanoni (Lecco, 1937) dal titolo L’enigma dell’ovvio.
La mostra, curata da Valerio Dehò, con il sostegno di Licini Gomme Lecco e Trizero (internet software & mobile solutions), presenterà oltre cento opere, realizzate dal 1965 a oggi, in grado di documentare il percorso creativo di un artista che è riuscito a combinare gli echi della Pop Art internazionale con la razionalità della Metafisica di Carlo Carrà e di Giorgio de Chirico, i cui lavori sono diventati delle vere e proprie icone contemporanee.
Nella pittura di Tino Stefanoni sono evidenti i richiami proprio a quella pittura del Quattrocento italiano e, in particolare, del Beato Angelico, in cui la passione per l’osservazione è sempre stata legata alla rivelazione delle geometrie segrete tra gli oggetti e gli elementi del paesaggio.
Il percorso espositivo cronologico, parte dai lavori in cui ancora si avvertivano le suggestioni della Pop Art, per poi proseguire con i Segnali stradali regolamentari (1969-70) con l’inserimento ironico di oggetti-icona nei cartelli stradali.
Queste immagini ritornano protagoniste nelle tele degli anni ’70 che mostrano una ‘metafisica senza mitologia’ con oggetti comuni come matite, mescoli, borse per l’acqua, flaconi, imbuti, e altro, disposti su ordinate fila, sovrapposti o affiancati gli uni agli altri che dialogano con lo spazio vuoto o segnato da linee geometriche.
Già alla fine degli anni ‘70 con Elenchi di cose sviluppa la sua pittura concettuale con 215 quadri realizzati con la lente d’ingrandimento, dove soggetti minimali e assolutamente quotidiani, estranei alla tradizione della pittura come pinze o martelli, diventano protagonisti di una ritrattistica quasi maniacale. Seguirà la serie Apparizioni in cui domina l’essenzialità della linea e la distanza dal colore.
Dalla metà degli anni ’80, il colore racchiuso dalla linea nera caratterizza le nature morte e le vedute, mai la figura umana, e diventa la cifra espressiva più riconoscibile della sua arte fino a oggi. Sono ambientazioni nelle quali Stefanoni recupera, senza mitizzarla, la Metafisica di Carlo Carrà e Giorgio de Chirico, ma in cui è sempre presente la memoria della lezione di eleganza e rarefazione del Beato Angelico.
Le sue casette, i suoi alberi sono oggetti ridotti all’essenziale, alla semplicità di una forma riconoscibile, quasi illustrativa. Sono elementi della storia dell’arte italiana che diventano icone, per questo devono essere comprensibili, proprio perché hanno dei valori diversi dalla semplice rappresentazione.
I paesaggi o le nature morte che costituiscono gran parte del lavoro di Stefanoni non vogliono spiegare o raccontare, quanto rappresentare uno stato delle cose. La pittura è irrinunciabile ma deve riflettere sempre lo spirito del tempo che la produce.
Anche le sue più recenti Sinopie, richiamando la tecnica dell’affresco, riflettono questo suo inserimento nella classicità del dipingere e aprono a delle forme di azzeramento del colore e dei contorni dei paesaggi, fino a diventare semplice pittura, sempre alla ricerca dell’essenzialità.
Il titolo dell’esposizione, L’enigma dell’ovvio, rispecchia perfettamente la poetica di Tino Stefanoni fatta di elementi semplici, ma che vengono presentati in un modo spiazzante, metafisico, facendoli diventare qualcosa di misterioso. La dimensione di apparente semplicità, rende enigmatici questi lavori che attestano la qualità e il pensiero di un artista che ha traversato da protagonista gli ultimi 50 anni di storia dell’arte italiana.
Accompagna la mostra, un catalogo (edizione Fondazione Gruppo Credito Valtellinese), con testo del curatore e un saggio inedito che Arturo Schwarz ha voluto dedicare a Tino Stefanoni.
Tino Stefanoni, nato a Lecco nel 1937, ha studiato al Liceo Artistico Beato Angelico e alla facoltà di architettura del
Politecnico di Milano.
La sua vera e propria attività artistica inizia nel 1967 con il conseguimento del 1° premio S.Fedele di Milano e nel 1968 la prima personale alla storica galleria Apollinaire di Milano con un saggio di Pierre Restany.
Dal 1967 ad oggi molte sono le esposizioni in Italia e all'estero.
Dal 20 novembre 2013 all’11 gennaio 2014, la Galleria Gruppo Credito Valtellinese spazio milanese dell’omonima Fondazione, ospiterà la più grande e completa antologica di Tino Stefanoni (Lecco, 1937) dal titolo L’enigma dell’ovvio.
La mostra, curata da Valerio Dehò, con il sostegno di Licini Gomme Lecco e Trizero (internet software & mobile solutions), presenterà oltre cento opere, realizzate dal 1965 a oggi, in grado di documentare il percorso creativo di un artista che è riuscito a combinare gli echi della Pop Art internazionale con la razionalità della Metafisica di Carlo Carrà e di Giorgio de Chirico, i cui lavori sono diventati delle vere e proprie icone contemporanee.
Nella pittura di Tino Stefanoni sono evidenti i richiami proprio a quella pittura del Quattrocento italiano e, in particolare, del Beato Angelico, in cui la passione per l’osservazione è sempre stata legata alla rivelazione delle geometrie segrete tra gli oggetti e gli elementi del paesaggio.
Il percorso espositivo cronologico, parte dai lavori in cui ancora si avvertivano le suggestioni della Pop Art, per poi proseguire con i Segnali stradali regolamentari (1969-70) con l’inserimento ironico di oggetti-icona nei cartelli stradali.
Queste immagini ritornano protagoniste nelle tele degli anni ’70 che mostrano una ‘metafisica senza mitologia’ con oggetti comuni come matite, mescoli, borse per l’acqua, flaconi, imbuti, e altro, disposti su ordinate fila, sovrapposti o affiancati gli uni agli altri che dialogano con lo spazio vuoto o segnato da linee geometriche.
Già alla fine degli anni ‘70 con Elenchi di cose sviluppa la sua pittura concettuale con 215 quadri realizzati con la lente d’ingrandimento, dove soggetti minimali e assolutamente quotidiani, estranei alla tradizione della pittura come pinze o martelli, diventano protagonisti di una ritrattistica quasi maniacale. Seguirà la serie Apparizioni in cui domina l’essenzialità della linea e la distanza dal colore.
Dalla metà degli anni ’80, il colore racchiuso dalla linea nera caratterizza le nature morte e le vedute, mai la figura umana, e diventa la cifra espressiva più riconoscibile della sua arte fino a oggi. Sono ambientazioni nelle quali Stefanoni recupera, senza mitizzarla, la Metafisica di Carlo Carrà e Giorgio de Chirico, ma in cui è sempre presente la memoria della lezione di eleganza e rarefazione del Beato Angelico.
Le sue casette, i suoi alberi sono oggetti ridotti all’essenziale, alla semplicità di una forma riconoscibile, quasi illustrativa. Sono elementi della storia dell’arte italiana che diventano icone, per questo devono essere comprensibili, proprio perché hanno dei valori diversi dalla semplice rappresentazione.
I paesaggi o le nature morte che costituiscono gran parte del lavoro di Stefanoni non vogliono spiegare o raccontare, quanto rappresentare uno stato delle cose. La pittura è irrinunciabile ma deve riflettere sempre lo spirito del tempo che la produce.
Anche le sue più recenti Sinopie, richiamando la tecnica dell’affresco, riflettono questo suo inserimento nella classicità del dipingere e aprono a delle forme di azzeramento del colore e dei contorni dei paesaggi, fino a diventare semplice pittura, sempre alla ricerca dell’essenzialità.
Il titolo dell’esposizione, L’enigma dell’ovvio, rispecchia perfettamente la poetica di Tino Stefanoni fatta di elementi semplici, ma che vengono presentati in un modo spiazzante, metafisico, facendoli diventare qualcosa di misterioso. La dimensione di apparente semplicità, rende enigmatici questi lavori che attestano la qualità e il pensiero di un artista che ha traversato da protagonista gli ultimi 50 anni di storia dell’arte italiana.
Accompagna la mostra, un catalogo (edizione Fondazione Gruppo Credito Valtellinese), con testo del curatore e un saggio inedito che Arturo Schwarz ha voluto dedicare a Tino Stefanoni.
Tino Stefanoni, nato a Lecco nel 1937, ha studiato al Liceo Artistico Beato Angelico e alla facoltà di architettura del
Politecnico di Milano.
La sua vera e propria attività artistica inizia nel 1967 con il conseguimento del 1° premio S.Fedele di Milano e nel 1968 la prima personale alla storica galleria Apollinaire di Milano con un saggio di Pierre Restany.
Dal 1967 ad oggi molte sono le esposizioni in Italia e all'estero.
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