Bruno Di Bello. #digitale #archeologico

Bruno Di Bello, Studio per Archeo Uno, 2017, inkjet su tela, cm 90x140

 

Dal 11 Novembre 2017 al 17 Dicembre 2017

Napoli

Luogo: MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Indirizzo: piazza Museo 18

Orari: tutti i giorni, tranne il martedì h 9-19.30

Curatori: Maria Savarese

Enti promotori:

  • Patrocinio Morale del Comune di Napoli
  • Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee - Napoli

Costo del biglietto: il biglietto d’ingresso al museo comprende la visita alla mostra: intero € 12, ridotto € 6

Telefono per informazioni: +39 081 442 2149

Sito ufficiale: http://www.museoarcheologiconapoli.it



Archeologia, tecnologie digitali e arte contemporanea si uniscono in un connubio perfetto nella mostra di Bruno Di Bello “#digitale #archeologico” esposta dall’11 novembre al 17 dicembre 2017 al MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
L’esposizione, a cura di Maria Savarese, si avvale del patrocinio del Comune di Napoli, del matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee ed è realizzata in collaborazione con lo stesso MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ancora una volta fa dialogare la sua mirabile collezione con i linguaggi contemporanei come fortemente voluto dal direttore Paolo Giulierini, e la Fondazione Marconi di Milano.
 
Con l’aiuto del campionario internazionale dei colori PANTONE, Di Bello (Torre del Greco (NA), 1938, vive e lavora a Milano) ha rilevato con precisione i colori usati dagli artisti pompeiani, autori degli affreschi conservati al Museo, per comporre la palette con cui ha poi realizzato tre grandi polittici – di 6 metri ciascuno – di geometria digitale esposti sulle tre pareti della Sala del Cielo Stellato.
Gli antichi colori degli affreschi conservati negli spazi del Museo Archeologico non sono che il punto di partenza di un progetto che si basa interamente sull’utilizzo delle tecnologie digitali.
Le tele, stampate a inkjet, di Di Bello sono frutto dell'elaborazione di pattern matematici nei quali egli introduce alcuni segni reali generativi di nuove forme astratte.
In Archeo Uno è evidente il rapporto con l’architettura dello spazio espositivo, infatti le forme degli incavi della volta della sala si rintracciano nelle forme frattaliche dell’opera.
In Archeo Due dominante è la texture verde individuata in un vaso di vetro semifuso dal fuoco della lava che travolse Pompei, scoperto durante una delle visite dell’artista al Museo.
Infine, in Archeo Tre il fondo rosso è un vero e proprio omaggio ai tanti rossi pompeiani rilevati attraverso il riferimento PANTONE.
“Immagini di un’estrema sensualità quelle di Di Bello, il quale guarda al passato della nostra terra usando lo sguardo del futuro” scrive la curatrice Maria Savarese nel suo testo in catalogo.
 
“Sono convinto che riusciremo a trovare un linguaggio veramente di avanguardia solo attraverso un uso competente ed esperto delle tecnologie digitali” afferma Di Bello nel 2000 quando, dopo oltre un decennio di ricerca imperniata sulla conoscenza e sull’approfondimento della fotografia digitale e dei sistemi informatici e telematici, inaugura una nuova fase incentrata sull'immagine ottenuta mediante la tecnologia digitale.
Dopo duemilacinquecento anni in cui architettura e arte hanno impostato i loro canoni sulle geometrie pitagorica, euclidea e non-euclidea, l’avvento del calcolatore ha consentito di visualizzare nuove geometrie derivate da nuove teorie matematiche: un universo di forme cui l’artista ha attinto per dare vita a nuove immagini astratte che avessero però radici nei processi naturali di crescita della forma, dall’infinitamente piccolo delle cellule, alla frastagliatura delle coste, all’infinitamente grande delle galassie.
 
Il progetto è completato da un video di Roberto Paci Dalò, vincitore del Premio Napoli 2015, visibile per tutta la durata della mostra accanto alle opere di Di Bello, e dal catalogo edito da Skira che contiene la riproduzione delle opere esposte, una selezione di immagini di repertorio, i testi critici di Maria Savarese, Bruno Corà, Raffella Perna, una conversazione tra l’artista e Marco Biraghi, storico dell’architettura, e una poesia di Nanni Balestrini.

Bruno Di Bello è nato a Torre del Greco nel 1938. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli inizia a esporre e dà vita al Gruppo ʼ58 con Biasi, Del Pezzo, Fergola, Luca e Persico. Tra i meriti di questa giovane formazione c’è quello di aver stabilito un contatto diretto con le coeve vicende milanesi, grazie soprattutto al periodico “Documento Sud”, ideale corrispettivo di “Azimuth”. Nel ʼ65 inizia a inserire la fotografia nei suoi lavori, nel ʼ66 ha la prima personale alla Modern Art Agency di Lucio Amelio, nel 1967 comincia a usare direttamente la tela fotosensibile e si trasferisce a Milano. L’anno seguente espone con il gruppo della Mec-Art, teorizzata da Pierre Restany. Di Bello indaga sulle possibilità di scomposizione dell’immagine, sulle icone dei protagonisti delle avanguardie storiche e dei propri miti artistici (Klee, Duchamp, Man Ray, Mondrian e i costruttivisti russi) sviluppando così un’idea di arte come riflessione sulla storia dell’arte moderna. Espone per la prima volta a Milano da Toselli nel ʼ69 e nel ʼ70 alla Galleria Kuchels, Bochum, alla Galleria Wspòlczesna, Varsavia, alla Galleria Bertesca di Genova e alla Biennale di Venezia. Dal 1971 inizia la collaborazione con lo Studio Marconi: un’installazione composta da 26 tele fotografiche con la scomposizione dell’intero alfabeto. Vi esporrà ancora nel ʼ74, nel ʼ76, nel ʼ78 e nellʼ81. Dai primi anni Settanta sulle sue tele fotografiche compaiono parole e concetti che, scomponendosi e ricomponendosi, animano un gioco di perdita e di ritrovamento del significato. Nel ʼ74 espone alla Galleria Art in Progress a Monaco e alla Kunsthalle di Berna, nel ʼ75 alla Galleria Müller di Stoccarda e allʼI.C.C. di Anversa, nel ʼ77 alla Galleria Lucio Amelio di Napoli e al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Espone nel ʼ78 alla Galleria Rondanini di Roma e nell’estate 1980 realizza un grande lavoro per il Festival di Spoleto. Altri lavori degli anni Settanta/Ottanta sono eseguiti disegnando sulla tela sensibile direttamente con il raggio di luce di una torcia elettrica, e negli anni Ottanta Di Bello sperimenta un nuovo modo di usare la tecnica fotografica, giustapponendo tra la fonte luminosa e la tela figure umane e oggetti che proiettano su quest’ultima le loro ombre, sviluppando poi la tela fotosensibile con larghe pennellate di rivelatore come in Apollo e Dafne nel terremoto, eseguito per la collezione Terrae motus allestita da Lucio Amelio nel 1987 ed esposta a Parigi - Grand Palais, ora in permanenza presso la Reggia di Caserta. A partire dagli anni Novanta Di Bello si dedica allo studio di nuove tecnologie operando ricerche sulle immagini sintetiche, la fotografia digitale e le nuove geometrie visualizzabili al computer. Espone i nuovi lavori alla Galleria Giò Marconi nel 2003, nel 2004 alla Plurima di Udine, nel 2005 a Napoli alla Fondazione Morra e nel 2008 alla Galleria Elleni di Bergamo. Nel 2010 la Fondazione Marconi gli dedica una grande antologica. Per l’occasione esce la monografia Bruno Di Bello - Antologia, edita da Silvana Editoriale per la VAF-Stiftung di Francoforte, a cura di Volker Feierabend con testi di Michele Bonuomo, Mario Costa, Marco Meneguzzo e Angela Tecce. Nel 2011 ha una personale al Museo MAC di Niteroi a Rio de Janeiro, mostra che ha avuto un esordio al Museo della Certosa di Capri e un seguito al PAN - Palazzo delle Arti, a Napoli. Nel 2011 tiene una “lectio magistralis” al Politecnico di Milano nel corso di Alberto Aschieri ed espone il suo Grande vetro 2 del ʼ75 alla mostra dei lavori del corso di “Progettazione Architettonica 3” nel patio del Politecnico. Nel novembre 2015 mostra personale alla Fondazione Marconi, Milano con testo introduttivo di Bruno Corà. Nel novembre 2016 “Là dove interviene il disegno-la fotografia” alla Fondazione Bottari Lattes-Torino a cura di Luca Panaro.
Bruno Di Bello vive e lavora a Milano. 

Inaugurazione sabato 11 novembre ore 16 30


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