Progetto XXI. Betty Bee / Laure Prouvost
Dal 11 Aprile 2014 al 24 Maggio 2014
Napoli
Luogo: Fondazione Morra Greco
Indirizzo: largo Avellino 17
Esplorare la produzione artistica più recente, ancora discussa, non del tutto sedimentata, contribuire a ricercare e mostrare l’arte sperimentale più avanzata e sostenere le nuove idee, i discorsi e le tendenze dell’arte contemporanea. E’ questo il cuore di Progetto XXI che, dopo il successo dell’edizione 2013, vede rinnovata la collaborazione tra la Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee e la Fondazione Morra Greco.
La programmazione per l’anno 2014 propone la realizzazione di quattro mostre che prevedono il coinvolgimento di artisti di generazioni differenti e provenienti da diversi ambiti geografici, tra cui: gli emergenti Laure Prouvost, Henrik Hakansson e Kirsten Pieroth, gli italiani Betty Bee e Franco Vaccari, alcuni tra i più interessanti interpreti dell’avanguardia Est Europea, come Stano Filko e Jir?í Kovanda.
Due donne le protagoniste di questa primavera 2014 di Progetto XXI: Laure Prouvost, 36 anni, francese, vincitrice del Turner Prize 2013 per la sua videoinstallazione Wantee, commissionata dalla Tate Modern nell’ambito della mostra Kurt Schwitters in Britain, e la napoletana Betty Bee, 51 anni, dotata di un’innata capacità narrativa con cui combina fantasie e desideri ed immagini di innocenza e sensualità. Due percorsi espositivi presso la Fondazione Morra Greco (largo Avellino 17 – Napoli) dall’11 aprile al 24 maggio 2014.
Laure Prouvost – Polpomotorino
Frutto di una riflessione e una produzione che Laure Prouvost ha avviato alla fine del 2011, in occasione di una residenza d’artista a Napoli e durante visite successive, la mostra Polpomotorino ha come motivo centrale il carattere tentacolare e irriducibile della città partenopea.
Durante il suo soggiorno, Laure Prouvost ha osservato la città e la sua corporeità; ha filmato le strade, di giorno e di notte, le dinamiche sociali, i rituali che vi hanno luogo. Ha registrato il ritmo incessante e concitato della vita, i rumori assordanti, l’aria salmastra del mare e quella malsana dei vicoli. Ha interpretato la tradizione artistica e storica e il complesso intreccio di bellezza e decadenza, nobiltà e violenza.
Le sensazioni divergenti di questa esplorazione sono confluite in una mostra che ha la struttura frammentaria, la tensione espressiva e la densità sinestetica di un testo poetico. Il centro di Polpomotorino è costituito da una grande scultura ottenuta con l’assemblaggio di diverse parti di vecchi motorini. La contraddistingue un carattere ambiguo, allo stesso tempo monumentale e giocoso: simile a un obelisco, sembra una giostra, un cactus, ricorda alcune fontane delle piazze cittadine. Questa scultura è parte di una grande video installazione che porta la strada nei sotterranei della Fondazione Morra Greco. La mostra include inoltre una serie di lavori più piccoli e una video proiezione. Polpomotorino è caratterizzata dai toni stridenti e dal sapore aspro e metallico dei lamponi, da vivi contrasti di luce e ombra; è attraversata da un’energia selvaggia e sensuale. Mette in scena un gioco di riflessi e rispecchiamenti con la vita, confonde lo spettatore, nasconde e rivela, aggredisce, abbaglia e sorprende.
La ricerca di Laure Prouvost si basa sul tentativo di superare i limiti e le specificità dei linguaggi e riuscire ad articolare, in una narrazione non lineare, i complessi intrecci di sensazioni immateriali e fisiche. Il suo lavoro indaga gli slittamenti tra realtà e finzione, i limiti della comunicazione, dell’interpretazione e del significato, le potenzialità del fraintendimento e dell’errore. I suoi video, caratterizzati dal montaggio molto veloce di immagini e suoni e intervallati da testi spesso diretti allo spettatore, sono in genere inseriti in grandi installazioni in cui l’artista combina linguaggi molteplici – dalla scultura, alla pittura, al disegno, ai collage, alla performance – nel tentativo di afferrare la fisicità del reale e tradurla in un’esperienza artistica ugualmente complessa.
Laure Prouvost (1978, Lille, Francia) vive e lavora a Londra, dove ha studiato al Central St. Martin College of Arts e al Goldsmiths College. Nel 2013 Prouvost ha vinto il Turner Prize con il lavoro Wantee, commissionato nel 2012 dalla Tate Modern, nell’ambito della mostra Kurt Schwitters in Britain. Laure Prouvost ha inoltre vinto la quarta edizione del Max Mara Prize for Women per il quale ha presentato la mostra Farfromwords presso la Collezione Maramotti di Reggio Emilia e la White Chapel di Londra.
I suoi lavori sono stati inoltre presentati presso: Tate Britain, Londra; CCA, Glasgow; Portikus, Francoforte; National Centre for Contemporary Arts, Mosca; New Museum, New York. Tra le sue prossime mostre personali: Neuer Berliner Kunstverein, Berlino; Laboratorio Arte Alameda, Città del Messico; MOTINTERNATIONAL; Bruxelles; Extra City Kunsthal, Anversa.
Betty Bee – Second Life
Il lavoro di Betty Bee può essere letto come un processo di autoterapia attraverso l’arte, travestimento di sé da un lato e messa a nudo della sua anima dall’altro. Il suo cammino esistenziale e le dinamiche sociali ed affettive che lo hanno contraddistinto coincidono con il suo percorso artistico condotto attraverso performance, video, pittura, fotografia. Se la provocazione e la prorompente esuberanza pop-kitsch caratterizza tendenzialmente i lavori fotografici, i video e le performance, la produzione pittorica assume un carattere molto più intimista e la storia che questa volta la Bee vuole narrare non è di violenza ed espiazione ma di cambiamento e liberazione.
Second life, titolo della mostra, è esemplificativo della trasformazione fissata sulla tela dall’artista che, attraverso l’esposizione di cinque lavori pittorici, riscopre se stessa e dà voce alle evoluzioni emozionali che hanno caratterizzato l’ultimo periodo della sua vita. I dipinti in mostra sono stati realizzati tutti nel 2013, ad eccezione dell’unico lavoro risalente al 1998 che prelude alla produzione recente. Sintomi indiscutibili della necessità di tutelare l’interiorità dell’artista sono i due i motivi ricorrenti in tutte le opere: gli elementi di protezione e la pittura fluorescente. Gli strumenti di difesa quali la catena, il filo spinato, la rete, il nido d’ape, tentano di segnare un limite tra lo sguardo dello spettatore e lo svelamento dell’animo della Bee; la delimitazione è necessaria per salvaguardare un’innocenza duramente preservata perché mai vissuta. La pittura fluorescente, al contempo, viene utilizzata per rendere meno visibile ad occhio nudo l’esistenza di quest’altro essere costantemente celato, mai mostrato nel gesto fisico ma solo nell’opera, dominato da un ingenuità quasi abbagliante nella sua purezza. Se dunque nei lavori precedenti, apparentemente ciò da cui bisognava proteggersi era l’aggressività e la prepotenza estetica dell’artista con la sua dirompente e provocatoria femminilità, qui si dichiara che la parte più pericolosa del suo essere è l’aspetto interiore, da difendere strenuamente e da far illuminare solo di notte.
Ciascuna delle opere occupa una sala del primo piano della Fondazione, permettendo a ciascun lavoro di respirare e non accavallarsi alle sensazioni dell’altro. L’opera Crust, 2013 rappresenta il mondo dell’artista insieme alla terra, i pianeti, gli esseri pensanti ed intelligenti che la Bee scruta dall’alto come se fosse un’enorme testa capace di guardare il tutto durante la grande pausa della notte, che con il sonno porta via solo il tempo. Segue Loneliness, 2013 in cui la sensazione di distanza dagli altri provata dall’artista è accentuata dalla presenza della rete e dalla roccia in cui questa è fissata, segno della sua capacità di restare razionale e cosciente nonostante la tentazione di perdersi in se stessa. Ancora, con Life, 2013, si recupera l’ottimismo e l’aspetto infantile della sua pittura, gioiosa e puerile, alla ricerca della felicità tra la visione e la riproposizione di scenari da cartone animato. In Couple, 2013 invece, i due rami in fiore ai margini dello spazio della tela rappresentano i due componenti di una coppia, sempre più distanti ed incapaci di provare sentimenti che permettano di seguire un percorso di vita univoco. Senza Titolo, 1998, ci catapulta definitivamente nel romanticismo fiabesco che caratterizza le nuova produzione di Betty Bee. In occasione della mostra l’opera è stata ribattezzata La Grande Bellezza perché come l’artista dichiara “Sfiorisce il mondo ma quello che porta al nulla, perché quando c’è qualcosa di bello, le cose, finalmente, rifioriscono”.
La bambina dentro Betty, cresciuta fuori ma mai davvero dentro, può dunque cominciare a vivere realmente e a smettere di nascondersi dietro gesti, movenze ed atti che finalmente ha il coraggio di abbandonare. Betty Bee ,in quanto donna, raggiunge finalmente la sua seconda vita, la cui pulsazione, questa volta, non potrà essere sporcata dagli occhi di chi guarda.
Betty Bee è nata nel 1963 a Napoli, dove vive e lavora.
Le sue opere sono state esposte presso: Palazzo delle Esposizioni, Roma (1996); Centre for Contemporary Art, Amsterdam (1996); Castel Sant’Elmo, Napoli (1999); Biennale di Valencia (2001); Pan, Napoli (2005); Chelsea Art Museum, New York (2006); Maxxi, Roma (2007); Istituto Italiano di Cultura, New York (2008); Religare Arts, Nuova Delhi (2009); Cam, Casoria per la 54 Biennale di Venezia; Palazzo Zenobio, Venezia (2011), Museo del 900, Milano (2013).
La programmazione per l’anno 2014 propone la realizzazione di quattro mostre che prevedono il coinvolgimento di artisti di generazioni differenti e provenienti da diversi ambiti geografici, tra cui: gli emergenti Laure Prouvost, Henrik Hakansson e Kirsten Pieroth, gli italiani Betty Bee e Franco Vaccari, alcuni tra i più interessanti interpreti dell’avanguardia Est Europea, come Stano Filko e Jir?í Kovanda.
Due donne le protagoniste di questa primavera 2014 di Progetto XXI: Laure Prouvost, 36 anni, francese, vincitrice del Turner Prize 2013 per la sua videoinstallazione Wantee, commissionata dalla Tate Modern nell’ambito della mostra Kurt Schwitters in Britain, e la napoletana Betty Bee, 51 anni, dotata di un’innata capacità narrativa con cui combina fantasie e desideri ed immagini di innocenza e sensualità. Due percorsi espositivi presso la Fondazione Morra Greco (largo Avellino 17 – Napoli) dall’11 aprile al 24 maggio 2014.
Laure Prouvost – Polpomotorino
Frutto di una riflessione e una produzione che Laure Prouvost ha avviato alla fine del 2011, in occasione di una residenza d’artista a Napoli e durante visite successive, la mostra Polpomotorino ha come motivo centrale il carattere tentacolare e irriducibile della città partenopea.
Durante il suo soggiorno, Laure Prouvost ha osservato la città e la sua corporeità; ha filmato le strade, di giorno e di notte, le dinamiche sociali, i rituali che vi hanno luogo. Ha registrato il ritmo incessante e concitato della vita, i rumori assordanti, l’aria salmastra del mare e quella malsana dei vicoli. Ha interpretato la tradizione artistica e storica e il complesso intreccio di bellezza e decadenza, nobiltà e violenza.
Le sensazioni divergenti di questa esplorazione sono confluite in una mostra che ha la struttura frammentaria, la tensione espressiva e la densità sinestetica di un testo poetico. Il centro di Polpomotorino è costituito da una grande scultura ottenuta con l’assemblaggio di diverse parti di vecchi motorini. La contraddistingue un carattere ambiguo, allo stesso tempo monumentale e giocoso: simile a un obelisco, sembra una giostra, un cactus, ricorda alcune fontane delle piazze cittadine. Questa scultura è parte di una grande video installazione che porta la strada nei sotterranei della Fondazione Morra Greco. La mostra include inoltre una serie di lavori più piccoli e una video proiezione. Polpomotorino è caratterizzata dai toni stridenti e dal sapore aspro e metallico dei lamponi, da vivi contrasti di luce e ombra; è attraversata da un’energia selvaggia e sensuale. Mette in scena un gioco di riflessi e rispecchiamenti con la vita, confonde lo spettatore, nasconde e rivela, aggredisce, abbaglia e sorprende.
La ricerca di Laure Prouvost si basa sul tentativo di superare i limiti e le specificità dei linguaggi e riuscire ad articolare, in una narrazione non lineare, i complessi intrecci di sensazioni immateriali e fisiche. Il suo lavoro indaga gli slittamenti tra realtà e finzione, i limiti della comunicazione, dell’interpretazione e del significato, le potenzialità del fraintendimento e dell’errore. I suoi video, caratterizzati dal montaggio molto veloce di immagini e suoni e intervallati da testi spesso diretti allo spettatore, sono in genere inseriti in grandi installazioni in cui l’artista combina linguaggi molteplici – dalla scultura, alla pittura, al disegno, ai collage, alla performance – nel tentativo di afferrare la fisicità del reale e tradurla in un’esperienza artistica ugualmente complessa.
Laure Prouvost (1978, Lille, Francia) vive e lavora a Londra, dove ha studiato al Central St. Martin College of Arts e al Goldsmiths College. Nel 2013 Prouvost ha vinto il Turner Prize con il lavoro Wantee, commissionato nel 2012 dalla Tate Modern, nell’ambito della mostra Kurt Schwitters in Britain. Laure Prouvost ha inoltre vinto la quarta edizione del Max Mara Prize for Women per il quale ha presentato la mostra Farfromwords presso la Collezione Maramotti di Reggio Emilia e la White Chapel di Londra.
I suoi lavori sono stati inoltre presentati presso: Tate Britain, Londra; CCA, Glasgow; Portikus, Francoforte; National Centre for Contemporary Arts, Mosca; New Museum, New York. Tra le sue prossime mostre personali: Neuer Berliner Kunstverein, Berlino; Laboratorio Arte Alameda, Città del Messico; MOTINTERNATIONAL; Bruxelles; Extra City Kunsthal, Anversa.
Betty Bee – Second Life
Il lavoro di Betty Bee può essere letto come un processo di autoterapia attraverso l’arte, travestimento di sé da un lato e messa a nudo della sua anima dall’altro. Il suo cammino esistenziale e le dinamiche sociali ed affettive che lo hanno contraddistinto coincidono con il suo percorso artistico condotto attraverso performance, video, pittura, fotografia. Se la provocazione e la prorompente esuberanza pop-kitsch caratterizza tendenzialmente i lavori fotografici, i video e le performance, la produzione pittorica assume un carattere molto più intimista e la storia che questa volta la Bee vuole narrare non è di violenza ed espiazione ma di cambiamento e liberazione.
Second life, titolo della mostra, è esemplificativo della trasformazione fissata sulla tela dall’artista che, attraverso l’esposizione di cinque lavori pittorici, riscopre se stessa e dà voce alle evoluzioni emozionali che hanno caratterizzato l’ultimo periodo della sua vita. I dipinti in mostra sono stati realizzati tutti nel 2013, ad eccezione dell’unico lavoro risalente al 1998 che prelude alla produzione recente. Sintomi indiscutibili della necessità di tutelare l’interiorità dell’artista sono i due i motivi ricorrenti in tutte le opere: gli elementi di protezione e la pittura fluorescente. Gli strumenti di difesa quali la catena, il filo spinato, la rete, il nido d’ape, tentano di segnare un limite tra lo sguardo dello spettatore e lo svelamento dell’animo della Bee; la delimitazione è necessaria per salvaguardare un’innocenza duramente preservata perché mai vissuta. La pittura fluorescente, al contempo, viene utilizzata per rendere meno visibile ad occhio nudo l’esistenza di quest’altro essere costantemente celato, mai mostrato nel gesto fisico ma solo nell’opera, dominato da un ingenuità quasi abbagliante nella sua purezza. Se dunque nei lavori precedenti, apparentemente ciò da cui bisognava proteggersi era l’aggressività e la prepotenza estetica dell’artista con la sua dirompente e provocatoria femminilità, qui si dichiara che la parte più pericolosa del suo essere è l’aspetto interiore, da difendere strenuamente e da far illuminare solo di notte.
Ciascuna delle opere occupa una sala del primo piano della Fondazione, permettendo a ciascun lavoro di respirare e non accavallarsi alle sensazioni dell’altro. L’opera Crust, 2013 rappresenta il mondo dell’artista insieme alla terra, i pianeti, gli esseri pensanti ed intelligenti che la Bee scruta dall’alto come se fosse un’enorme testa capace di guardare il tutto durante la grande pausa della notte, che con il sonno porta via solo il tempo. Segue Loneliness, 2013 in cui la sensazione di distanza dagli altri provata dall’artista è accentuata dalla presenza della rete e dalla roccia in cui questa è fissata, segno della sua capacità di restare razionale e cosciente nonostante la tentazione di perdersi in se stessa. Ancora, con Life, 2013, si recupera l’ottimismo e l’aspetto infantile della sua pittura, gioiosa e puerile, alla ricerca della felicità tra la visione e la riproposizione di scenari da cartone animato. In Couple, 2013 invece, i due rami in fiore ai margini dello spazio della tela rappresentano i due componenti di una coppia, sempre più distanti ed incapaci di provare sentimenti che permettano di seguire un percorso di vita univoco. Senza Titolo, 1998, ci catapulta definitivamente nel romanticismo fiabesco che caratterizza le nuova produzione di Betty Bee. In occasione della mostra l’opera è stata ribattezzata La Grande Bellezza perché come l’artista dichiara “Sfiorisce il mondo ma quello che porta al nulla, perché quando c’è qualcosa di bello, le cose, finalmente, rifioriscono”.
La bambina dentro Betty, cresciuta fuori ma mai davvero dentro, può dunque cominciare a vivere realmente e a smettere di nascondersi dietro gesti, movenze ed atti che finalmente ha il coraggio di abbandonare. Betty Bee ,in quanto donna, raggiunge finalmente la sua seconda vita, la cui pulsazione, questa volta, non potrà essere sporcata dagli occhi di chi guarda.
Betty Bee è nata nel 1963 a Napoli, dove vive e lavora.
Le sue opere sono state esposte presso: Palazzo delle Esposizioni, Roma (1996); Centre for Contemporary Art, Amsterdam (1996); Castel Sant’Elmo, Napoli (1999); Biennale di Valencia (2001); Pan, Napoli (2005); Chelsea Art Museum, New York (2006); Maxxi, Roma (2007); Istituto Italiano di Cultura, New York (2008); Religare Arts, Nuova Delhi (2009); Cam, Casoria per la 54 Biennale di Venezia; Palazzo Zenobio, Venezia (2011), Museo del 900, Milano (2013).
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