Ferruccio D'Angelo. Antologica
Dal 27 Luglio 2013 al 25 Agosto 2013
Neviano degli Arduini | Parma
Luogo: Collezione Civica d'Arte
Indirizzo: frazione Sella di Lodrignano
Curatori: Edoardo Di Mauro, Stefania Provinciali
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0521 843110/ 329 6170951
E-Mail info: alessandrogarbasi@libero.it
Sito ufficiale: http://www.comune.neviano-degli-arduini.pr.it
Sabato 27 luglio si inaugura l'antologica di Ferruccio D'Angelo, artista residente a Cambiano(To), docente presso il Primo Liceo Artistico a Torino, tra i più significativi esponenti della generazione dell'arte italiana emersa tra la seconda metà degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta.
Il lavoro di Ferruccio D'Angelo, protagonista di questo appuntamento espositivo presso il Museo di Arte Contemporanea di Nerviano degli Arduini, in provincia di Parma, è analizzabile da molteplici punti di vista : formali, estetici, sociologici. Le opere dell’artista torinese si presentano dotate di una cospicua stratificazione di significati, abbinata ad un coerente e non casuale eclettismo stilistico e si inquadrano perfettamente al centro del dibattito attuale sul concetto e sulla prassi della contemporaneità, non solo da un punto di vista squisitamente artistico ma in senso più ampio “politico”, secondo l’intuizione di Walter Benjamin sul ruolo dell’arte in una società dove la riproducibilità tecnica l’ ha sottratta dal precedente dominio del “magico” e poi del “rituale”.
Analizzando la genesi e l’evoluzione della produzione artistica di Ferruccio D'Angelo devo confermare come l’ascendenza storica è da individuarsi in una precisa ed originale linea del Concettuale italiano caratterizzata da un senso di ludica e disincantata ironia, dall’uso di reperti oggettuali e di tinte vive e squillanti, dal paradosso linguistico spesso centrato sull’ambiguità del significato che annovera personalità quali, tra le altre, quelle di Aldo Mondino, Piero Gilardi, Pino Pascali, Alighiero Boetti. Non va però dimenticata una filiazione col versante legato all'Arte Povera, perchè le opere di D'Angelo, specie quelle prodotte sul finire degli anni Ottanta, adottano materiali di recupero e vanno alla ricerca di una relazione tra artificio e natura, così come con le strutture regolari, asciutte ed eleganti, di Gianni Piacentino, principale esponente del Minimalismo italiano.
Ferruccio D'Angelo si presenta sulla ribalta della scena , prima torinese poi italiana, poco prima del 1990, a ridosso di quell’ondata di “new wave” artistica che ebbe a caratterizzare in positivo il nostro paese a partire dalla metà degli anni ’80 con un eclettismo stilistico dove soprattutto pittura ed installazione si sono manifestate ammantate da una verve briosa ed originale, fortemente contaminata dalla frequentazione e dalla citazione di altri ambiti espressivi con cui condividevano un entusiasmo derivato dalla convinzione di vivere una fase in cui il definitivo prevalere delle nuove tecnologie avrebbe concesso spazio molto maggiore per l’estrinsecazione della propria dimensione creativa e di una interiorità da vivere in chiave individuale al di fuori del peso limitante delle vecchie ideologie. Soprattutto la pittura in quegli anni conobbe una fase di profondo rinnovamento formale in cui la citazione che aveva già caratterizzato la Transavanguardia era gradualmente superata da uno stile in cui predominava una nuova tipologia narrativa tale da prefigurare una sorta di ironica epica metropolitana dove il confine tra arte “alta” e “bassa”, tra pittura e fumetto, si assottigliava fino a scomparire.
Purtroppo il felice momento vissuto dall’arte italiana tra la metà degli anni ’80 e la corrispondente del decennio successivo venne gravemente inficiata da problematiche interne al “sistema”, da me più volte denunciate, che favorirono un prevalere mediatico di istanze legate ad una banale reiterazione di moduli espressivi stancamente vassalli del concettuale di matrice analitica. Ferruccio D'Angelo è stato uno dei pochi artisti di qualità emersi in quella fase a non conoscere un lungo e frustrante periodo di oscuramento, riuscendo sin dall ’ inizio ad ottenere un buon livello di visibilità, che ha mantenuto sostanzialmente stabile nel tempo, grazie al supporto di critici e collezionisti. Rimane aperta la questione di una valorizzazione definitiva di quella generazione , che sta lentamente procedendo, come da me recentemente stigmatizzato, nel 2011 e 2012, con le due edizioni, e relativi cataloghi, della rassegna “Un' Altra Storia”, dedicata ad una rivisitazione degli ultimi trent'anni di arte italiana, che è stata in grado di smuovere le acque e suscitare un vivace dibattito. Parlavo in apertura dell'eclettismo stilistico di Ferruccio D'Angelo, attitudine che lo pone in sintonia con le coordinate stilistiche di un'epoca in cui non assistiamo alla prevalenza di una tendenza a scapito di altre. Questo si esplicita nelle linee espressive legate alla installazione, alla fotografia ed alla pittura. Nell'ambito di questa mostra, strutturata nel termini di una piccola antologica, sarà possibile visionarle nella loro completezza.
La linea dell'installazione ha dapprima seguito la regola dell'assemblaggio rigoroso di materiali di recupero, secondo un approccio ancora legato, in parte, ad una visione “classica” dell'avanguardia. In seguito questo progetto si è dotato di ulteriore forza ed originalità, evidenziate in particolare dall'importante personale svoltasi nel 1991 alla galleria milanese di Piero Cavellini, curata da Renato Barilli, intitolata “Cinema”, dove D'Angelo presentò, con un allestimento spettacolare, delle imponenti e rigorose sculture disposte in serie,ad evocare le poltrone delle sale cinematografiche. Le strutture vengono realizzate incastrando tra loro bidoni riciclati, dipinti in monocromia blu, colore altamente simbolico. Questa linea dimostra la conferma ed il superamento del legame con la tradizione concettuale, ed uno spostamento verso territori legati al funzionalismo di un art design più vicino allo spirito dei tempi, caratterizzati da un estetica diffusa ormai bel al di fuori del tradizionale recinto dell'arte.
Questa tipologia di opera è riapparsa periodicamente nell'orizzonte di D'Angelo, ed è stata di frequente adoperata per operazioni di arte pubblica, dove la dimensione etica riscopre la sua centralità al di fuori delle pastoie dello star system e del mercato globalizzato. Recentemente le forme sono passate dalla regolarità delle strutture ad incastro, alla morbida espansione sferica, grandi palloni decorati pittoricamente seguendo lo schema delle ultime tele dell'artista, a rappresentarne una sostanziale tridimensionalizzazione. La fotografia, recentemente presentata nell'ambito della quinta edizione del BAM Biennale d'Arte Contemporanea del Piemonte, si manifesta come scenografia e teatralizzazione di un'immagine di partenza, sempre legata alla poetica dell'autore, e riproposta come velata da un filtro mentale, che simula la formazione del pensiero e del progetto. Venendo in ultimo alla pittura, bisogna notare come questa abbia attraversato da sempre il percorso di D'Angelo, anche quando non si manifestava apertamente, come attitudine mentale.
Le fasi principali, nel corso del tempo, sono state due. Nella prima appare evidente un richiamo alla tradizione pop, ma con un'iconografia inconsueta, legata al frame televisivo, e ad oggetti e marche spesso provenienti da quel mondo mediterraneo da cui l'artista proviene ed al quale è indissolubilmente legato. I colori sono a tinte vive e la pennellata è fluida, tale da ottenere una esaltazione dell'immagine e della sua forza evocativa. Legati a questa serie sono alcuni lavori su cui l'artista sta attualmente sperimentando. In questi viene privilegiata la dimensione dell'interno, spazi pubblici e privati dal carattere fortemente simbolico, luoghi a cui l'autore è legato da un legame di cultura, storia e memoria. Le opere successive si apparentano agli ultimi anni di D'Angelo, dove, secondo quanto egli stesso sostiene nella biografia del sito internet recentemente aggiornato, si sgancia da tematiche fisse alla quali non è più interessato.
Le opere sono realizzate su supporti plastici di recupero, prevalentemente circolari dove, su sfondi dipinti a monocromo l'artista si cimenta in tracciati che abbandonano l'immediatezza dell'immagine mediale, per sintetizzarla tramite un segno preciso e sintetica, in cui l'aniconicità si mescola a barlumi e tracce di immagini concrete, e dove si evidenzia la volontà dell'autore di cimentarsi con temi appartenenti alla sfera profonda dell'esistenza. In ultimo, sintonizzandomi con quanto sostenuto di recente da Federico Vercellone nel fondamentale saggio “Dopo la morte dell'arte”, il lavoro di Ferruccio D'Angelo è li a testimoniare come il celebre paradosso hegeliano non significhi, al tempo attuale e, in origine, a partire dalla seconda metà del Settecento, la scomparsa dell'arte ma, semplicemente, la creazione di una nuova mitologia che non è più quella dell'orizzonte metafisico tradizionale ma una nuova dimensione mediata dal rapporto con il progresso tecnologico, che l'artista pone al centro delle sue riflessioni, pur non ostentandolo in maniera palese e diretta.
Edoardo Di Mauro, luglio 2013.
Il lavoro di Ferruccio D'Angelo, protagonista di questo appuntamento espositivo presso il Museo di Arte Contemporanea di Nerviano degli Arduini, in provincia di Parma, è analizzabile da molteplici punti di vista : formali, estetici, sociologici. Le opere dell’artista torinese si presentano dotate di una cospicua stratificazione di significati, abbinata ad un coerente e non casuale eclettismo stilistico e si inquadrano perfettamente al centro del dibattito attuale sul concetto e sulla prassi della contemporaneità, non solo da un punto di vista squisitamente artistico ma in senso più ampio “politico”, secondo l’intuizione di Walter Benjamin sul ruolo dell’arte in una società dove la riproducibilità tecnica l’ ha sottratta dal precedente dominio del “magico” e poi del “rituale”.
Analizzando la genesi e l’evoluzione della produzione artistica di Ferruccio D'Angelo devo confermare come l’ascendenza storica è da individuarsi in una precisa ed originale linea del Concettuale italiano caratterizzata da un senso di ludica e disincantata ironia, dall’uso di reperti oggettuali e di tinte vive e squillanti, dal paradosso linguistico spesso centrato sull’ambiguità del significato che annovera personalità quali, tra le altre, quelle di Aldo Mondino, Piero Gilardi, Pino Pascali, Alighiero Boetti. Non va però dimenticata una filiazione col versante legato all'Arte Povera, perchè le opere di D'Angelo, specie quelle prodotte sul finire degli anni Ottanta, adottano materiali di recupero e vanno alla ricerca di una relazione tra artificio e natura, così come con le strutture regolari, asciutte ed eleganti, di Gianni Piacentino, principale esponente del Minimalismo italiano.
Ferruccio D'Angelo si presenta sulla ribalta della scena , prima torinese poi italiana, poco prima del 1990, a ridosso di quell’ondata di “new wave” artistica che ebbe a caratterizzare in positivo il nostro paese a partire dalla metà degli anni ’80 con un eclettismo stilistico dove soprattutto pittura ed installazione si sono manifestate ammantate da una verve briosa ed originale, fortemente contaminata dalla frequentazione e dalla citazione di altri ambiti espressivi con cui condividevano un entusiasmo derivato dalla convinzione di vivere una fase in cui il definitivo prevalere delle nuove tecnologie avrebbe concesso spazio molto maggiore per l’estrinsecazione della propria dimensione creativa e di una interiorità da vivere in chiave individuale al di fuori del peso limitante delle vecchie ideologie. Soprattutto la pittura in quegli anni conobbe una fase di profondo rinnovamento formale in cui la citazione che aveva già caratterizzato la Transavanguardia era gradualmente superata da uno stile in cui predominava una nuova tipologia narrativa tale da prefigurare una sorta di ironica epica metropolitana dove il confine tra arte “alta” e “bassa”, tra pittura e fumetto, si assottigliava fino a scomparire.
Purtroppo il felice momento vissuto dall’arte italiana tra la metà degli anni ’80 e la corrispondente del decennio successivo venne gravemente inficiata da problematiche interne al “sistema”, da me più volte denunciate, che favorirono un prevalere mediatico di istanze legate ad una banale reiterazione di moduli espressivi stancamente vassalli del concettuale di matrice analitica. Ferruccio D'Angelo è stato uno dei pochi artisti di qualità emersi in quella fase a non conoscere un lungo e frustrante periodo di oscuramento, riuscendo sin dall ’ inizio ad ottenere un buon livello di visibilità, che ha mantenuto sostanzialmente stabile nel tempo, grazie al supporto di critici e collezionisti. Rimane aperta la questione di una valorizzazione definitiva di quella generazione , che sta lentamente procedendo, come da me recentemente stigmatizzato, nel 2011 e 2012, con le due edizioni, e relativi cataloghi, della rassegna “Un' Altra Storia”, dedicata ad una rivisitazione degli ultimi trent'anni di arte italiana, che è stata in grado di smuovere le acque e suscitare un vivace dibattito. Parlavo in apertura dell'eclettismo stilistico di Ferruccio D'Angelo, attitudine che lo pone in sintonia con le coordinate stilistiche di un'epoca in cui non assistiamo alla prevalenza di una tendenza a scapito di altre. Questo si esplicita nelle linee espressive legate alla installazione, alla fotografia ed alla pittura. Nell'ambito di questa mostra, strutturata nel termini di una piccola antologica, sarà possibile visionarle nella loro completezza.
La linea dell'installazione ha dapprima seguito la regola dell'assemblaggio rigoroso di materiali di recupero, secondo un approccio ancora legato, in parte, ad una visione “classica” dell'avanguardia. In seguito questo progetto si è dotato di ulteriore forza ed originalità, evidenziate in particolare dall'importante personale svoltasi nel 1991 alla galleria milanese di Piero Cavellini, curata da Renato Barilli, intitolata “Cinema”, dove D'Angelo presentò, con un allestimento spettacolare, delle imponenti e rigorose sculture disposte in serie,ad evocare le poltrone delle sale cinematografiche. Le strutture vengono realizzate incastrando tra loro bidoni riciclati, dipinti in monocromia blu, colore altamente simbolico. Questa linea dimostra la conferma ed il superamento del legame con la tradizione concettuale, ed uno spostamento verso territori legati al funzionalismo di un art design più vicino allo spirito dei tempi, caratterizzati da un estetica diffusa ormai bel al di fuori del tradizionale recinto dell'arte.
Questa tipologia di opera è riapparsa periodicamente nell'orizzonte di D'Angelo, ed è stata di frequente adoperata per operazioni di arte pubblica, dove la dimensione etica riscopre la sua centralità al di fuori delle pastoie dello star system e del mercato globalizzato. Recentemente le forme sono passate dalla regolarità delle strutture ad incastro, alla morbida espansione sferica, grandi palloni decorati pittoricamente seguendo lo schema delle ultime tele dell'artista, a rappresentarne una sostanziale tridimensionalizzazione. La fotografia, recentemente presentata nell'ambito della quinta edizione del BAM Biennale d'Arte Contemporanea del Piemonte, si manifesta come scenografia e teatralizzazione di un'immagine di partenza, sempre legata alla poetica dell'autore, e riproposta come velata da un filtro mentale, che simula la formazione del pensiero e del progetto. Venendo in ultimo alla pittura, bisogna notare come questa abbia attraversato da sempre il percorso di D'Angelo, anche quando non si manifestava apertamente, come attitudine mentale.
Le fasi principali, nel corso del tempo, sono state due. Nella prima appare evidente un richiamo alla tradizione pop, ma con un'iconografia inconsueta, legata al frame televisivo, e ad oggetti e marche spesso provenienti da quel mondo mediterraneo da cui l'artista proviene ed al quale è indissolubilmente legato. I colori sono a tinte vive e la pennellata è fluida, tale da ottenere una esaltazione dell'immagine e della sua forza evocativa. Legati a questa serie sono alcuni lavori su cui l'artista sta attualmente sperimentando. In questi viene privilegiata la dimensione dell'interno, spazi pubblici e privati dal carattere fortemente simbolico, luoghi a cui l'autore è legato da un legame di cultura, storia e memoria. Le opere successive si apparentano agli ultimi anni di D'Angelo, dove, secondo quanto egli stesso sostiene nella biografia del sito internet recentemente aggiornato, si sgancia da tematiche fisse alla quali non è più interessato.
Le opere sono realizzate su supporti plastici di recupero, prevalentemente circolari dove, su sfondi dipinti a monocromo l'artista si cimenta in tracciati che abbandonano l'immediatezza dell'immagine mediale, per sintetizzarla tramite un segno preciso e sintetica, in cui l'aniconicità si mescola a barlumi e tracce di immagini concrete, e dove si evidenzia la volontà dell'autore di cimentarsi con temi appartenenti alla sfera profonda dell'esistenza. In ultimo, sintonizzandomi con quanto sostenuto di recente da Federico Vercellone nel fondamentale saggio “Dopo la morte dell'arte”, il lavoro di Ferruccio D'Angelo è li a testimoniare come il celebre paradosso hegeliano non significhi, al tempo attuale e, in origine, a partire dalla seconda metà del Settecento, la scomparsa dell'arte ma, semplicemente, la creazione di una nuova mitologia che non è più quella dell'orizzonte metafisico tradizionale ma una nuova dimensione mediata dal rapporto con il progresso tecnologico, che l'artista pone al centro delle sue riflessioni, pur non ostentandolo in maniera palese e diretta.
Edoardo Di Mauro, luglio 2013.
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