OLTRE LA NEBBIA
Dal 13 Gennaio 2022 al 03 Febbraio 2022
Parma
Luogo: CHAOS ART GALLERY
Indirizzo: Vicolo al Leon d’Oro 8
E-Mail info: info.chaosartgallery@gmail.com
OLTRE LA NEBBIA
In questi tempi di pandemia ci siamo persi nella nebbia e ci siamo ritrovati, come in un labirinto dove il filo d’Arianna s’era spezzato. La nebbia è la metafora di sogni, ricordi, di disorientamento come di rifugio, ma è anche uno spazio senza dimensione, un luogo di passaggio che si attraversa e dal quale contemporaneamente si è attraversati, uscendone comunque trasformati, redenti dal silenzio, assolti e pervasi da un’umida luce, rinati. Quello che apparentemente isola, unisce in un destino comune d’ombre indistinte, incerte, alla ricerca d’appiglio che non è ramo, roccia, ma raggio di sole e azzurro di cielo, qualcosa di alto che non si spezza e sfugge, non un miraggio, ma il calore e il colore che torna ancora più vibrante: la vita.
Tutti questi artisti hanno un rapporto intimo e profondo con la nebbia, la conoscono da vicino e da sempre, per le loro origini in una terra feconda di brume.
Ogni artista ha la sua nebbia e il suo oltre. Ad ognuno, in questo catalogo, si è accompagnato un verso famoso che ne sintetizzi la visione, accompagni con il sussurro poetico il silenzio.
Fallini, trova nella nebbia la cornice d’incertezza, l’aura fascinosa che rende ancora più meravigliose le cose, come osservava Wilde. Angela Marruso si lascia sedurre dalla sua poesia e a lei s’abbandona romanticamente come Leopardi nell’infinito. Per Sergio Riviera è il velo che solo riveste d’incanto lo sfolgorio variopinto del mondo e pascolianamente nasconde le cose lontane. Per Claudio Tedoldi è sgomento romantico, sublime bellezza, trasfusione nella luce, luce essa stessa come nel celebre verso ungarettiano di “Mattina”. Sigfrido Vecchi naviga sulle trame di mutevoli paesaggi e la nebbia è la quinta del palcoscenico di una vita sognante e sognata, alla Calderon de la Barca. Questa infinita libertà senza più coordinate di spazio e di tempo, dove tutto si confonde e tutto torna sempre uguale e sempre diverso, questa materia di cui son fatti i sogni e siamo fatti anche noi, è la nebbia anche dell’argentino Ernesto Morales. Infine, nella nebbia pulsa la vita come per Gianna Zanafredi e oltre la nebbia c’è per lei e per tutti la verità. Riprendendo infatti le parole del geniale William Blake: “Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo come essa veramente è, infinita.”
OLTRE LA VISIONE
Alla mostra prendono parte anche un poeta e un musicista, tra l’altro molto amici tra loro e affini per sensibilità. Le liriche di Stefano Piva trasmettono con rigorosa icasticità ed essenzialità verbale, il senso d’abbandono, di solitudine e soprattutto d’ambiguità della nebbia. Essa è in questi versi uno stato d’animo ed è perfetto per l’atteggiamento malinconico del poeta che trova in lei la complicità di un rifugio, la sensazione di un silenzio pieno però di suoni immaginari e di ricordi che riaffiorano e poi svaniscono. Resta l’impressione di qualcosa di vano, inafferrabile, fuggevole “in quel tempo/ che non sembra sia tolto/ che non sembra sia dato.”
Quest’ umida dissolvenza la ritroviamo nella musica di Giovanni Vezzani, nelle note sospese che evocano passi ovattati, l’incedere solitario di chi s’avventura nella nebbia. Si trova anche qui l’abbandono fiducioso ad un mondo parallelo di luce dove l’anima sussurra e dialoga con se stessa, dove non c’è più tempo né spazio intorno anche solo per l’istante di un passo che è poi la vita. La musica allora coglie l’essenza di ciò che invisibilmente sfiora e fugge, avvolge e si perde come un’illusione.
In questi tempi di pandemia ci siamo persi nella nebbia e ci siamo ritrovati, come in un labirinto dove il filo d’Arianna s’era spezzato. La nebbia è la metafora di sogni, ricordi, di disorientamento come di rifugio, ma è anche uno spazio senza dimensione, un luogo di passaggio che si attraversa e dal quale contemporaneamente si è attraversati, uscendone comunque trasformati, redenti dal silenzio, assolti e pervasi da un’umida luce, rinati. Quello che apparentemente isola, unisce in un destino comune d’ombre indistinte, incerte, alla ricerca d’appiglio che non è ramo, roccia, ma raggio di sole e azzurro di cielo, qualcosa di alto che non si spezza e sfugge, non un miraggio, ma il calore e il colore che torna ancora più vibrante: la vita.
Tutti questi artisti hanno un rapporto intimo e profondo con la nebbia, la conoscono da vicino e da sempre, per le loro origini in una terra feconda di brume.
Ogni artista ha la sua nebbia e il suo oltre. Ad ognuno, in questo catalogo, si è accompagnato un verso famoso che ne sintetizzi la visione, accompagni con il sussurro poetico il silenzio.
Fallini, trova nella nebbia la cornice d’incertezza, l’aura fascinosa che rende ancora più meravigliose le cose, come osservava Wilde. Angela Marruso si lascia sedurre dalla sua poesia e a lei s’abbandona romanticamente come Leopardi nell’infinito. Per Sergio Riviera è il velo che solo riveste d’incanto lo sfolgorio variopinto del mondo e pascolianamente nasconde le cose lontane. Per Claudio Tedoldi è sgomento romantico, sublime bellezza, trasfusione nella luce, luce essa stessa come nel celebre verso ungarettiano di “Mattina”. Sigfrido Vecchi naviga sulle trame di mutevoli paesaggi e la nebbia è la quinta del palcoscenico di una vita sognante e sognata, alla Calderon de la Barca. Questa infinita libertà senza più coordinate di spazio e di tempo, dove tutto si confonde e tutto torna sempre uguale e sempre diverso, questa materia di cui son fatti i sogni e siamo fatti anche noi, è la nebbia anche dell’argentino Ernesto Morales. Infine, nella nebbia pulsa la vita come per Gianna Zanafredi e oltre la nebbia c’è per lei e per tutti la verità. Riprendendo infatti le parole del geniale William Blake: “Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo come essa veramente è, infinita.”
OLTRE LA VISIONE
Alla mostra prendono parte anche un poeta e un musicista, tra l’altro molto amici tra loro e affini per sensibilità. Le liriche di Stefano Piva trasmettono con rigorosa icasticità ed essenzialità verbale, il senso d’abbandono, di solitudine e soprattutto d’ambiguità della nebbia. Essa è in questi versi uno stato d’animo ed è perfetto per l’atteggiamento malinconico del poeta che trova in lei la complicità di un rifugio, la sensazione di un silenzio pieno però di suoni immaginari e di ricordi che riaffiorano e poi svaniscono. Resta l’impressione di qualcosa di vano, inafferrabile, fuggevole “in quel tempo/ che non sembra sia tolto/ che non sembra sia dato.”
Quest’ umida dissolvenza la ritroviamo nella musica di Giovanni Vezzani, nelle note sospese che evocano passi ovattati, l’incedere solitario di chi s’avventura nella nebbia. Si trova anche qui l’abbandono fiducioso ad un mondo parallelo di luce dove l’anima sussurra e dialoga con se stessa, dove non c’è più tempo né spazio intorno anche solo per l’istante di un passo che è poi la vita. La musica allora coglie l’essenza di ciò che invisibilmente sfiora e fugge, avvolge e si perde come un’illusione.
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