Piccola Antologia Visiva: una selezione dalla collezione Cucchiarelli-Meoli
Dal 29 Ottobre 2021 al 14 Novembre 2021
Pavia
Luogo: Piccolo Chiostro San Mauro
Indirizzo: Via Riviera 20
Orari: lunedì-venerdì: mattina su appuntamento; pomeriggio 15 – 17:30. Sabato e domenica 10 – 13 / 15 – 19
Curatori: Paolo Campiglio
Telefono per informazioni: +39 329 3545759
E-Mail info: info@piccolochiostro.it
Un nuovo appuntamento con l’arte contemporanea è allestito nei suggestivi spazi del Piccolo Chiostro San Mauro di Pavia, una location di grandi potenzialità che coniuga antico e contemporaneo recentemente riportata alla luce dopo un meticoloso restauro e destinata a eventi culturali. Il focus è oggi su una collezione d’arte pavese che Attilio Meoli, rappresentante della casa d’aste Art-Rite, da sempre appassionato ed esperto d’arte, ha radunato negli ultimi anni condividendo le sue scelte con la moglie Angela Cucchiarelli: un itinerario visivo internazionale che è frutto prima di tutto di una emozione a contatto con alcune testimonianze del novecento, e che lascia sullo sfondo l’aspetto, complementare, dell’investimento economico e della cosiddetta capitalizzazione.
La mostra, a cura di Paolo Campiglio - docente di storia dell’arte contemporanea presso il Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Pavia - raduna una selezione di una ventina di opere e prende avvio da una curiosa testimonianza di Secondo Futurismo: una tempera di Enrico Prampolini, un progetto di scenografia per il balletto Renard (o Il gallo e la volpe) di Igor Strawinsky, messo in scena per la prima volta nel 1922, che ebbe un grande successo anche in Italia, quando fu presentato ai cinquanta spettatori dell’esclusivo Teatro delle Arti di Anton Giulio Bragaglia il 29 novembre del 1941. Il bozzetto di scena coniuga l’astrazione cosmica delle tele degli anni venti e trenta teorizzate nel suo Manifesto della scenografia futurista (1915) con un ritorno alla figurazione tipico degli anni quaranta in un’accezione sempre più metafisica in cui oggetti, strutture ed elementi naturali convivono secondo intenzionali ingrandimenti di scala.
Il percorso mostra in filigrana, tuttavia, l’iniziale predilezione per l’arte del secondo dopoguerra, acquisita dai coniugi al principio della loro avventura di collezionisti e amatori d’arte: l’informale del “segno-gesto” è attestato da alcune tele del gruppo romano di “Forma 1” come l’opera Lacrime per l’anarchia (1957) di Achille Perilli, in cui il collage di fogli di giornale convive con un segno denso di colature; un suggestivo Senza titolo di Toti Scialoja, ove il gesto materico sembra perdersi in un profondo azzurro cielo, e una tela di Giulio Turcato della serie dei Fosforescenti, realizzata con materiali sperimentali volti ad attribuire alla “macchia” un carattere di fluttuazione spaziale e luminosità irreale.
Tale emozione per il segno si avverte anche in Fuite de Phrixos, opera giovanile di Gianni Bertini in cui le livide masse pittoriche sembrano alludere a strutture industriali, metafore del progressivo avanzamento della società meccanica nell’Italia del dopoguerra; un segno che diviene effusione spaziale del colore sulla carta, con un moto quasi ascensionale, in Hsiao Chinl’artista che coniuga sapientemente la tradizione cinese del pennello su carta con la gestualità occidentale. Del maestro, tuttavia, la collezione include anche l’opera VK 120 (1960) un pezzo raro e sorprendente del periodo di formazione, quando l’artista, giunto in Italia per studiare all’Accademia di Brera, si segnalava nell’ambito del gruppo del Bar Giamaica. In lui, come nello scultore giapponese Azuma (tra i primi orientali ad avere familiarità coi gesti di Lucio Fontana e Piero Manzoni) la necessità di coniugare tradizione asiatica e un modus operandi tipicamente occidentale si incarnava in una reazione allo spontaneismo informale verso la codificazione di strutture pittoriche semplici.
A risultati analoghi, di una pittura che anima strutture elementari in uno spazio virtuale, giungeranno, per vie differenti, anche gli esponenti della Pittura analitica degli anni Settanta, che non solo opteranno per la superficie dipinta in un clima di ridondante concettualismo, ma conferiranno alla spazialità inclusiva delle loro opere il compito di generare quell’ “altro” spazio (come metafora di una dimensione esistenziale in grado di contenere in sé finito e infinito). Valentino Vago, è infatti presente con una notevole tela del 1973 e Rodolfo Aricò, con un’opera essenziale che anticipa le più note “strutture” degli anni Settanta. Diverso è il caso di Enrico Baj, i cui personaggi dall’aria svagata, apparentemente ingenua, celano un atteggiamento caustico e di aperta denuncia nei confronti della società contemporanea.
La collezione Cucchiarelli-Meoli, infatti, non si arresta a nomi noti del novecento, ma da ultimo si è aperta a una declinazione più contemporanea, legata ai temi dell’attualità: ne fanno fede l’opera di Cattelan, la tela dell’olandese visionario Aaron Van Erp, erede di Bacon ed Ensor, di violenta denuncia sociale (con allusioni al tema dell’abuso sui minori) o la nota fotografia dell’australiana Tracey Moffat, della serie Scarred for life II (1999), una lucida e spietata accusa nei confronti di una società che approfitta della fragilità del mondo infantile e giovanile.
La mostra, a cura di Paolo Campiglio - docente di storia dell’arte contemporanea presso il Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Pavia - raduna una selezione di una ventina di opere e prende avvio da una curiosa testimonianza di Secondo Futurismo: una tempera di Enrico Prampolini, un progetto di scenografia per il balletto Renard (o Il gallo e la volpe) di Igor Strawinsky, messo in scena per la prima volta nel 1922, che ebbe un grande successo anche in Italia, quando fu presentato ai cinquanta spettatori dell’esclusivo Teatro delle Arti di Anton Giulio Bragaglia il 29 novembre del 1941. Il bozzetto di scena coniuga l’astrazione cosmica delle tele degli anni venti e trenta teorizzate nel suo Manifesto della scenografia futurista (1915) con un ritorno alla figurazione tipico degli anni quaranta in un’accezione sempre più metafisica in cui oggetti, strutture ed elementi naturali convivono secondo intenzionali ingrandimenti di scala.
Il percorso mostra in filigrana, tuttavia, l’iniziale predilezione per l’arte del secondo dopoguerra, acquisita dai coniugi al principio della loro avventura di collezionisti e amatori d’arte: l’informale del “segno-gesto” è attestato da alcune tele del gruppo romano di “Forma 1” come l’opera Lacrime per l’anarchia (1957) di Achille Perilli, in cui il collage di fogli di giornale convive con un segno denso di colature; un suggestivo Senza titolo di Toti Scialoja, ove il gesto materico sembra perdersi in un profondo azzurro cielo, e una tela di Giulio Turcato della serie dei Fosforescenti, realizzata con materiali sperimentali volti ad attribuire alla “macchia” un carattere di fluttuazione spaziale e luminosità irreale.
Tale emozione per il segno si avverte anche in Fuite de Phrixos, opera giovanile di Gianni Bertini in cui le livide masse pittoriche sembrano alludere a strutture industriali, metafore del progressivo avanzamento della società meccanica nell’Italia del dopoguerra; un segno che diviene effusione spaziale del colore sulla carta, con un moto quasi ascensionale, in Hsiao Chinl’artista che coniuga sapientemente la tradizione cinese del pennello su carta con la gestualità occidentale. Del maestro, tuttavia, la collezione include anche l’opera VK 120 (1960) un pezzo raro e sorprendente del periodo di formazione, quando l’artista, giunto in Italia per studiare all’Accademia di Brera, si segnalava nell’ambito del gruppo del Bar Giamaica. In lui, come nello scultore giapponese Azuma (tra i primi orientali ad avere familiarità coi gesti di Lucio Fontana e Piero Manzoni) la necessità di coniugare tradizione asiatica e un modus operandi tipicamente occidentale si incarnava in una reazione allo spontaneismo informale verso la codificazione di strutture pittoriche semplici.
A risultati analoghi, di una pittura che anima strutture elementari in uno spazio virtuale, giungeranno, per vie differenti, anche gli esponenti della Pittura analitica degli anni Settanta, che non solo opteranno per la superficie dipinta in un clima di ridondante concettualismo, ma conferiranno alla spazialità inclusiva delle loro opere il compito di generare quell’ “altro” spazio (come metafora di una dimensione esistenziale in grado di contenere in sé finito e infinito). Valentino Vago, è infatti presente con una notevole tela del 1973 e Rodolfo Aricò, con un’opera essenziale che anticipa le più note “strutture” degli anni Settanta. Diverso è il caso di Enrico Baj, i cui personaggi dall’aria svagata, apparentemente ingenua, celano un atteggiamento caustico e di aperta denuncia nei confronti della società contemporanea.
La collezione Cucchiarelli-Meoli, infatti, non si arresta a nomi noti del novecento, ma da ultimo si è aperta a una declinazione più contemporanea, legata ai temi dell’attualità: ne fanno fede l’opera di Cattelan, la tela dell’olandese visionario Aaron Van Erp, erede di Bacon ed Ensor, di violenta denuncia sociale (con allusioni al tema dell’abuso sui minori) o la nota fotografia dell’australiana Tracey Moffat, della serie Scarred for life II (1999), una lucida e spietata accusa nei confronti di una società che approfitta della fragilità del mondo infantile e giovanile.
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