To make a prairie...
Dal 25 Aprile 2013 al 02 Giugno 2013
Piacenza
Luogo: Biffi Arte - Palazzo Marazzani Visconti
Indirizzo: piazza S. Antonino ang. Via Chiapponi
Orari: da martedì a sabato 10.30-12.30/ 16-19.30 domenica 16:00 / 19:30
Curatori: Susanna Gualazzini
Telefono per informazioni: +39 0523 1720408
Sito ufficiale: http://www.biffiarte.it
To make a prairie... è occasione per rendere omaggio a tre percorsi artistici di forte identità, irriducibili a un segno comune ma insieme capaci di evocare, nella loro appassionata ricerca, la nozione di natura, intesa come spazio aperto alla relazione. E infatti nelle opere delle tre artiste, pure così difformi, si svela in controluce la presenza – spesso segreta – di “paesaggi” di volta in volta mentali, poetici, spirituali, onirici, naturalistici. Spazi con cui è possibile dialogare, o meglio spazi disponibili all’interrogazione. Al rischio e alla suggestione propri di ogni vero incontro.
Pretesto poetico, il prato evocato dai versi di Emily Dickinson accoglie con gentilezza le cifre peculiari delle tre artiste: un poco di trifoglio per i tracciati naturali di Michelle Jarvis, un’ape per l’operosità ispirata di Brigitta Rossetti, un sogno per le mises en scène oniriche di Chiara Briganti.
Chiara Briganti
Tessuta dell’oro sottile e antico di una longeva vocazione, con scelta coraggiosa Chiara Briganti chiude, negli anni Settanta, una feconda relazione settennale con il Palazzo del Quirinale, e dopo averne riordinato schedato e restaurato tutti gli apparati artistici, si ritira a “fare le scatole”. E ci hanno provato in tanti, a definirli, questi “idiorami” (Mario Praz), “giardini incantati” (Mario Farinelli), “teatrini”, “contenitori di sogni”, “trappole di legno e vetro”, “vetrinette”: sono reliquiari felici (o infelici?) in cui Briganti riversa tutti i nodi, spesso intimi, di una vita certamente fortunata ma non priva di fatiche. Nasce uno straordinario repertorio di mondi immaginati e immaginari, una “mitologia individuale di cui Chiara sola sembra avere la chiave” (Mario Praz) ma in cui alla fine “ognuno deve vedervi ciò che vuole”.
Briganti accoglie e raccoglie di tutto: pezzetti di vita, di oggetti, di memorie; ritaglia, scolla e incolla, trasforma e tesse microcosmi di irresistibile poesia. Saccheggia le proprie memorie e le offre sotto vetro, nell’incanto di pietrine colorate, schegge di legni, piumini di denti di leone, fili di lana antica, sagome ritagliate da stampe (autentiche), lenzuolini di lino, pupette Biedermeier. E sono infiniti gli estuari, letterari, onirici, psicologici, che questi teatrini aprono in chi li osserva, estuari che dialogano certamente con le conoscenze personali di ciascuno di noi, ma anche e soprattutto con le nostre nostalgie, le passioni, le ossessioni. E solo in apparenza i titoli-citazione aiutano: sono piuttosto frammenti di saggezze remote e letterarie a cui l’artista attinge, coniugando liberamente esperienza, immaginazione, cultura. E sono citazioni che ci portano lontano, oppure proprio lì, in questi “beati stanzini delle scope (volanti e stregate)”, dove viene voglia di stare accucciati, come scrive Marco Vallora, “accolti e cullati come parassiti ben pasciuti”.
Michelle Jarvis
“Arrivata col vento” a Groppallo (Piacenza), dove sceglie di vivere dopo una lunga esperienza di vita e di lavoro milanese, Michelle Jarvis recupera la perizia manuale dell’Art and Craft tipicamente inglese, e sceglie il feltro, tessuto non-tessuto per eccellenza, duttile e insieme rigoroso, severo ma capace di evocare imprevedibili morbidezze. Con il feltro l’artista crea pannelli su cui interviene sia con il ricamo (un precisissimo punto catena) che con la stampa, a tracciare una sorta di scrittura paleografica della natura. Sorprende il senso di immanenza di queste opere, l’idea di un semplice essere qui, senza cercare un “meraviglioso altrove”, creando una sorta di “copia” della natura: comunque improficua, perché la natura è sempre più bella. Ed è affettuosamente e filologicamente piacentina, questa natura: sono i sassi grigi plasmati dalle acque del Nure (il trittico Rocks Portrait, Waterfall), le foglie bruciate dei boschi di Groppallo (Sottobosco), le antiche cortecce preappenniniche che Jarvis raccoglie e ridisegna in una geografia propria e personalissima.
La critica ha scritto di loro:
“Su quelle che sono le origini dei prodotti di Chiara, il mio interesse è nullo: lascio ad altri di pronunciare e soppesare i nomi di Marcel Duchamp, di Man Ray, di Joseph Cornell, di parlare su temi quali surrealismo, fantasia onirica, e simili. Per me, e mi basta, ognuna di queste sottili, imprevedibili creazioni costituisce il punto di avvio per un romanzo (che non scriverò mai), per un racconto (che resterà alla fase gestatoria), per una lunga serie di domande. tutte senza risposta. Alle scatolette di Chiara sono debitore di uno dei più efficaci stimoli (parola brutta ma necessaria) che mi consente di evadere da un’esistenza tutto sommato banale e monotona”
Federico Zeri
“Michelle Jarvis è una donna che entra nella natura: il suo non è un dialogo, ma un corpo a corpo con le sue forme. Le modifica, ne sposta i colori, ne ridisegna le geometrie ma alla fine si ha l’impressione che la natura sia sempre più forte. La sua è la ricerca di una forma primordiale che rimanga cristallizzata in eterno nel morbido abbraccio del feltro”
Agnese Klein
“C’è la storia di ognuno di noi nelle opere di Brigitta Rossetti; c’è il senso del tempo, indefinito e sospeso, lo spazio immaginario, interiore, dello spirito; c’è la disfatta dell’uomo e del mondo, l’ansia del distacco, la perdita dell’Eden. Brigitta Rossetti ci conduce su una scala antica, alla ricerca di noi stessi, della nostra storia, del nostro futuro, per inerpicarci verso un bosco verdeggiante e idilliaco, verso un nuovo mondo di rispetto e libertà, in cui corpo e spirito possano finalmente ritrovare l’originaria osmosi”
Guido Folco
Pretesto poetico, il prato evocato dai versi di Emily Dickinson accoglie con gentilezza le cifre peculiari delle tre artiste: un poco di trifoglio per i tracciati naturali di Michelle Jarvis, un’ape per l’operosità ispirata di Brigitta Rossetti, un sogno per le mises en scène oniriche di Chiara Briganti.
Chiara Briganti
Tessuta dell’oro sottile e antico di una longeva vocazione, con scelta coraggiosa Chiara Briganti chiude, negli anni Settanta, una feconda relazione settennale con il Palazzo del Quirinale, e dopo averne riordinato schedato e restaurato tutti gli apparati artistici, si ritira a “fare le scatole”. E ci hanno provato in tanti, a definirli, questi “idiorami” (Mario Praz), “giardini incantati” (Mario Farinelli), “teatrini”, “contenitori di sogni”, “trappole di legno e vetro”, “vetrinette”: sono reliquiari felici (o infelici?) in cui Briganti riversa tutti i nodi, spesso intimi, di una vita certamente fortunata ma non priva di fatiche. Nasce uno straordinario repertorio di mondi immaginati e immaginari, una “mitologia individuale di cui Chiara sola sembra avere la chiave” (Mario Praz) ma in cui alla fine “ognuno deve vedervi ciò che vuole”.
Briganti accoglie e raccoglie di tutto: pezzetti di vita, di oggetti, di memorie; ritaglia, scolla e incolla, trasforma e tesse microcosmi di irresistibile poesia. Saccheggia le proprie memorie e le offre sotto vetro, nell’incanto di pietrine colorate, schegge di legni, piumini di denti di leone, fili di lana antica, sagome ritagliate da stampe (autentiche), lenzuolini di lino, pupette Biedermeier. E sono infiniti gli estuari, letterari, onirici, psicologici, che questi teatrini aprono in chi li osserva, estuari che dialogano certamente con le conoscenze personali di ciascuno di noi, ma anche e soprattutto con le nostre nostalgie, le passioni, le ossessioni. E solo in apparenza i titoli-citazione aiutano: sono piuttosto frammenti di saggezze remote e letterarie a cui l’artista attinge, coniugando liberamente esperienza, immaginazione, cultura. E sono citazioni che ci portano lontano, oppure proprio lì, in questi “beati stanzini delle scope (volanti e stregate)”, dove viene voglia di stare accucciati, come scrive Marco Vallora, “accolti e cullati come parassiti ben pasciuti”.
Michelle Jarvis
“Arrivata col vento” a Groppallo (Piacenza), dove sceglie di vivere dopo una lunga esperienza di vita e di lavoro milanese, Michelle Jarvis recupera la perizia manuale dell’Art and Craft tipicamente inglese, e sceglie il feltro, tessuto non-tessuto per eccellenza, duttile e insieme rigoroso, severo ma capace di evocare imprevedibili morbidezze. Con il feltro l’artista crea pannelli su cui interviene sia con il ricamo (un precisissimo punto catena) che con la stampa, a tracciare una sorta di scrittura paleografica della natura. Sorprende il senso di immanenza di queste opere, l’idea di un semplice essere qui, senza cercare un “meraviglioso altrove”, creando una sorta di “copia” della natura: comunque improficua, perché la natura è sempre più bella. Ed è affettuosamente e filologicamente piacentina, questa natura: sono i sassi grigi plasmati dalle acque del Nure (il trittico Rocks Portrait, Waterfall), le foglie bruciate dei boschi di Groppallo (Sottobosco), le antiche cortecce preappenniniche che Jarvis raccoglie e ridisegna in una geografia propria e personalissima.
La critica ha scritto di loro:
“Su quelle che sono le origini dei prodotti di Chiara, il mio interesse è nullo: lascio ad altri di pronunciare e soppesare i nomi di Marcel Duchamp, di Man Ray, di Joseph Cornell, di parlare su temi quali surrealismo, fantasia onirica, e simili. Per me, e mi basta, ognuna di queste sottili, imprevedibili creazioni costituisce il punto di avvio per un romanzo (che non scriverò mai), per un racconto (che resterà alla fase gestatoria), per una lunga serie di domande. tutte senza risposta. Alle scatolette di Chiara sono debitore di uno dei più efficaci stimoli (parola brutta ma necessaria) che mi consente di evadere da un’esistenza tutto sommato banale e monotona”
Federico Zeri
“Michelle Jarvis è una donna che entra nella natura: il suo non è un dialogo, ma un corpo a corpo con le sue forme. Le modifica, ne sposta i colori, ne ridisegna le geometrie ma alla fine si ha l’impressione che la natura sia sempre più forte. La sua è la ricerca di una forma primordiale che rimanga cristallizzata in eterno nel morbido abbraccio del feltro”
Agnese Klein
“C’è la storia di ognuno di noi nelle opere di Brigitta Rossetti; c’è il senso del tempo, indefinito e sospeso, lo spazio immaginario, interiore, dello spirito; c’è la disfatta dell’uomo e del mondo, l’ansia del distacco, la perdita dell’Eden. Brigitta Rossetti ci conduce su una scala antica, alla ricerca di noi stessi, della nostra storia, del nostro futuro, per inerpicarci verso un bosco verdeggiante e idilliaco, verso un nuovo mondo di rispetto e libertà, in cui corpo e spirito possano finalmente ritrovare l’originaria osmosi”
Guido Folco
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