Aldo Colò e le edizioni del Tavolo Rosso
Dal 19 Settembre 2013 al 31 Ottobre 2013
Pordenone
Luogo: Biblioteca Civica
Indirizzo: piazza XX Settembre
Orari: lunedì 14-19; da martedì a sabato 9-19
Curatori: Giancarlo Pauletto
Telefono per informazioni: +39 0434 392980
E-Mail info: biblioteca@comune.pordenone.it
Sito ufficiale: http://www.comune.pordenone.it/it/comune/biblioteca
Omaggio all’opera grafica dell’artista friulano Aldo Colò (1928) e alla sensibile mediazione del maestro-stampatore Corrado Albicocco, il cui rigore tecnico e la cui perizia artigiana è presupposto indispensabile per la squisita resa estetica delle grafiche e dei libri d’artista delle edizioni il Tavolo Rosso che saranno presenti in mostra.
Le incisioni cui Aldo Colò si è dedicato nel corso della sua attività artistica non sono molte, ma sono – tutte – al suo massimo livello, il quale lo pone, a mio giudizio, tra i più importanti artisti e incisori italiani del secondo Novecento.
Ciò prescinde completamente da questioni di maggior o minor notorietà, pertiene soltanto a quella che appare essere la sostanza culturale della sua arte, che si impianta in una storia precisa, e che ha definite risoluzioni formali.
La storia culturale è quella, assolutamente nobile, dell’astrattismo friulano “dei giovani”, Ciussi, Celiberti Baldan Zavagno e altri notevoli e tra essi, certo in primo piano, appunto Colò, che come i suoi più o meno coetanei attorno al sessanta passa dal figurativo all’astratto e, nell’astratto, quasi subito a quelle cadenze geometrizzanti di intonazione cubista, di cui la storia della sua pittura testimonia ad alto livello, e che in questa mostra di incisioni può essere particolarmente riletta nell’ Ovale grigio dell’82 e nel Grande ovale nero dell’83, fino ad arrivare al piccolo ma prezioso Ovale n.1 del ’90.
Si tratta, qui, di una geometria resa essenziale, di un cubismo ridotto a struttura elementare sia in termini di cromia come in termini di costruzione: cromie basse e molto raffinate, appena mosse da segni obliqui indispensabili tuttavia a togliere ogni senso di rigidità e freddezza, strutture che sembrano quasi il prodotto di un calcolo matematico e che per questa via irresistibilmente rimandano al Rinascimento, quello di Domenico Veneziano e di Piero della Francesca e del resto il cubismo storico, Picasso e Braque, non si era certo dimenticato dei maestri del Quattrocento.
Colò lavora qui – ma così sarà anche successivamente – a costruire metafore di realtà, gli spazi appena accennati, le tracce con cui li va occupando – vedi appunto gli Ovali con tracce dell’87 – mimano universi in cui si produce una molteplice armonia, in cui l’emergenza del fenomeno non smette di assestarsi in una totalità, in un ordine non sottinteso, ma dichiarato, non tanto possibile, quanto realizzato.
Con gli anni novanta invece questa sorta di totalità si spezza e il frammento comincia ad invadere lo spazio in tutte le direzioni, assumendo via via un sempre più evidente ed esibito carattere “esistenziale”.
Siamo sempre nell’ambito della metafora, naturalmente, ché metaforico è tutto l’impianto dell’arte di Colò: tuttavia ora, nei fondi spesso lavorati all’acquatinta, si impone un che d’atmosferico, in qualche caso di quasi naturalistico – cfr. ad esempio Composizione e Senza titolo del 2009 -: in modi sussurrati, entra in queste tavole un elemento drammatico, un’intenzione non pacifica, una dialettica forma-sfondo che indica chiaramente la volontà di assumere, dall’esperienza della vita, anche gli aspetti problematici.
Basta, per rendersi conto di quanto vado dicendo, confrontare il già citato Ovale grigio del 1982 con l’Ovale nero del 2009: tanto bloccato nella sua perfezione metafisica quello, quanto mosso, vibrato e per così dire indifeso quest’ultimo.
Così l’artista arriva a composizioni come Molecole in transizione e Grande grigio, sempre del 2009, in cui la nuova intenzione è dichiarata in termini che appaiono indubitabili, legati anche alla dimensione stessa delle tavole le quali, proprio per la loro ampiezza, inducono ad una sorta di lettura successoria degli elementi visivi, indicando per ciò stesso - non fossero sufficienti le osservazioni già esposte - come il centro dell’attenzione sia ora sulla temporalità, e quindi sulla transitorietà di tutto ciò che è nell’uomo e per l’uomo.
Le incisioni cui Aldo Colò si è dedicato nel corso della sua attività artistica non sono molte, ma sono – tutte – al suo massimo livello, il quale lo pone, a mio giudizio, tra i più importanti artisti e incisori italiani del secondo Novecento.
Ciò prescinde completamente da questioni di maggior o minor notorietà, pertiene soltanto a quella che appare essere la sostanza culturale della sua arte, che si impianta in una storia precisa, e che ha definite risoluzioni formali.
La storia culturale è quella, assolutamente nobile, dell’astrattismo friulano “dei giovani”, Ciussi, Celiberti Baldan Zavagno e altri notevoli e tra essi, certo in primo piano, appunto Colò, che come i suoi più o meno coetanei attorno al sessanta passa dal figurativo all’astratto e, nell’astratto, quasi subito a quelle cadenze geometrizzanti di intonazione cubista, di cui la storia della sua pittura testimonia ad alto livello, e che in questa mostra di incisioni può essere particolarmente riletta nell’ Ovale grigio dell’82 e nel Grande ovale nero dell’83, fino ad arrivare al piccolo ma prezioso Ovale n.1 del ’90.
Si tratta, qui, di una geometria resa essenziale, di un cubismo ridotto a struttura elementare sia in termini di cromia come in termini di costruzione: cromie basse e molto raffinate, appena mosse da segni obliqui indispensabili tuttavia a togliere ogni senso di rigidità e freddezza, strutture che sembrano quasi il prodotto di un calcolo matematico e che per questa via irresistibilmente rimandano al Rinascimento, quello di Domenico Veneziano e di Piero della Francesca e del resto il cubismo storico, Picasso e Braque, non si era certo dimenticato dei maestri del Quattrocento.
Colò lavora qui – ma così sarà anche successivamente – a costruire metafore di realtà, gli spazi appena accennati, le tracce con cui li va occupando – vedi appunto gli Ovali con tracce dell’87 – mimano universi in cui si produce una molteplice armonia, in cui l’emergenza del fenomeno non smette di assestarsi in una totalità, in un ordine non sottinteso, ma dichiarato, non tanto possibile, quanto realizzato.
Con gli anni novanta invece questa sorta di totalità si spezza e il frammento comincia ad invadere lo spazio in tutte le direzioni, assumendo via via un sempre più evidente ed esibito carattere “esistenziale”.
Siamo sempre nell’ambito della metafora, naturalmente, ché metaforico è tutto l’impianto dell’arte di Colò: tuttavia ora, nei fondi spesso lavorati all’acquatinta, si impone un che d’atmosferico, in qualche caso di quasi naturalistico – cfr. ad esempio Composizione e Senza titolo del 2009 -: in modi sussurrati, entra in queste tavole un elemento drammatico, un’intenzione non pacifica, una dialettica forma-sfondo che indica chiaramente la volontà di assumere, dall’esperienza della vita, anche gli aspetti problematici.
Basta, per rendersi conto di quanto vado dicendo, confrontare il già citato Ovale grigio del 1982 con l’Ovale nero del 2009: tanto bloccato nella sua perfezione metafisica quello, quanto mosso, vibrato e per così dire indifeso quest’ultimo.
Così l’artista arriva a composizioni come Molecole in transizione e Grande grigio, sempre del 2009, in cui la nuova intenzione è dichiarata in termini che appaiono indubitabili, legati anche alla dimensione stessa delle tavole le quali, proprio per la loro ampiezza, inducono ad una sorta di lettura successoria degli elementi visivi, indicando per ciò stesso - non fossero sufficienti le osservazioni già esposte - come il centro dell’attenzione sia ora sulla temporalità, e quindi sulla transitorietà di tutto ciò che è nell’uomo e per l’uomo.
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