Montezuma, Fontana, Mirko. La scultura in mosaico dalle origini a oggi

© Ph. Laura Lenzi | Athos Ongaro, Dama o Eleonora, 1981, mosaico su resina, h 65x55x50 cm. Collezione privata

 

Dal 06 Ottobre 2017 al 07 Gennaio 2018

Ravenna

Luogo: MAR – Museo d’Arte della Città di Ravenna

Indirizzo: via di Roma 13

Enti promotori:

  • Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
  • Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
  • Marcegaglia Carbon Steel
  • MAR – Museo d’Arte della Città di Ravenna

Telefono per informazioni: +39 0544 482017

Sito ufficiale: http://mar.ra.it



Nell’ambito della V edizione Ravenna Mosaico Rassegna Biennale di Mosaico Contemporaneo, grazie al prezioso contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, di Marcegaglia Carbon Steel, il MAR – Museo d’Arte della Città di Ravenna, apre una mostra di ampio respiro sul rapporto tra la scultura e il mosaico, con l’intento di sondare e documentare la nascita, l’evoluzione di questo linguaggio e le differenti declinazioni del concetto di “tessera” da parte degli scultori a partire dagli anni Trenta del Novecento, momento in cui, dopo che Gino Severini rinnova la pratica del mosaico in funzione della decorazione architettonica, si avviano le ricerche plastiche mosaicate di Lucio Fontana e Mirko Basaldella, tra i più geniali artisti del secondo Novecento italiano.

Difficile pensare che, in quegli anni, tra fine anni Trenta e primi anni Quaranta, Fontana e Mirko possano aver intrapreso la sperimentazione del mosaico sulla scultura semplicemente trasponendo le riflessioni di Severini, Sironi e gli altri, alla loro arte, senza che sentissero l’esigenza di operare una riflessione storica, una ricerca che fornisse anche a loro un modello di riferimento antico, un punto di partenza che giustificasse la sperimentazione del mosaico facendola slittare dal piano bidimensionale a quello tridimensionale.

Come è stato storicamente dimostrato nel catalogo della mostra toscana del 2014 al Museo Civico di Montevarchi (Arezzo), ad innestare quel singolare “corto circuito” creativo alla base delle loro creazioni col mosaico furono gli esempi “primitivi” mesoamericani (presenti in mostra), che entrambi videro in momenti e luoghi diversi, anche grazie al crescente interesse per l’arte dell’antica America Latina esistente in Italia già negli anni Venti e che vedrà impegnate personalità di spicco nel censimento dei reperti provenienti da quell’area presenti sul nostro territorio nazionale, fino all’organizzazione della mostra dell’antica America Latina organizzata a Roma nel 1933.

Il percorso che coniuga la scultura al mosaico, dopo gli esempi di Fontana e Mirko tra anni Trenta e anni Quaranta, si interrompe per ricomparire di prepotenza tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, con alcune sporadiche eccezioni negli anni Cinquanta e Sessanta.

Se Fontana e Mirko sono “i precursori”, antesignani dell’unione felice tra scultura e mosaico, tra anni Sessanta e anni Settanta, Zavagno e Licata sono invece da considerare come i due indirizzi su cui si dipana la ricerca dei decenni seguenti soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo di materiali “non tradizionali”, il primo, e l’impiego delle tessere musive, lapidee o vitree, nel contemporaneo, il secondo.

Sulla trama di questo doppio e diverso utilizzo dei materiali – tradizionali e non – corre l’ordito della mostra che documenta le differenti temperature espressive della scultura tra XX e XXI secolo, iconica o aniconica, poetica o narrativa, simbolica o concettuale, sempre nella specifica coniugazione con l’arte del mosaico che si intensifica e si individua come “genere specifico” allo scadere degli anni Settanta ad opera di Antonio Trotta, Athos Ongaro e della Transavanguardia di Chia e Paladino; artisti che, anche nei decenni seguenti, faranno della scultura mosaicata una ricerca non episodica, soprattutto grazie alle innovazioni tecniche e tecnologiche date dai nuovi materiali di origine sintetica, che hanno permesso il superamento dei limiti tradizionali delle malte cementizie rendendo più agevole l’esecuzione musiva sulla tridimensionalità.
Tale ripresa non mancherà di suggestionare designer “colti” come Mendini e Sottsass che opereranno alcune incursioni sperimentali nella scultura. Dalla seconda metà degli anni Ottanta ad oggi, le ricerche e la produzione artistica in questa singolare declinazione della scultura si moltiplicano con esiti diversi e singolari e nel contempo tracciano il disegno della multiforme ricerca artistica dell’ultimo scorcio del XX secolo. Alcuni artisti e mosaicisti eseguiranno occasionali lavori tridimensionali, altri li alterneranno equilibratamente alla loro produzione bidimensionale, altri ancora si orienteranno verso la scultura in maniera più frequente, sino a farla diventare sempre più esclusiva.

Da questo momento, anche grazie alla realizzazione di alcuni lavori di importanza internazionale realizzati a Ravenna, come la tomba di Rudolf Nureyev a Parigi – oggi inamovibile, ma presente in allestimento mediante una installazione virtuale e multimediale – il fenomeno scultura e mosaico vedrà un’accelerazione con artisti di varia provenienza che si connoteranno fortemente come scultori mosaicisti tout court, consolidando la percezione che la scultura mosaicata abbia ormai imboccato una strada di assoluta autonomia.

Tra XX e XXI secolo il linguaggio musivo nella scultura si evolve in differenti e metamorfiche declinazioni del concetto di “tessera”, anche grazie alle sollecitazioni delle ricerche internazionali sui concetti di accumulo, assemblaggio parcellizzato e “poetica dell’oggetto” messi in campo dal Nouveau Realisme francese e poi dalla Nuova Scultura Britannica, per poi proseguire con elementi di spiccata originalità sino alle attuali generazioni, che lo impiegano in modo sempre più innovativo ed inatteso.

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