Fabio Barile. Osservare la terra

© Fabio Barile

 

Dal 15 Novembre 2017 al 09 Gennaio 2018

Roma

Luogo: Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione

Indirizzo: via di San Michele 18

Orari: da lunedì a venerdì ore 10-18

Curatori: Benedetta Cestelli Guidi

Enti promotori:

  • MiBACT

Telefono per informazioni: +39 06 58552240

E-Mail info: ic-cd@beniculturali.it

Sito ufficiale: http://www.iccd.beniculturali.it



Il 15 novembre alle ore 17.30 presso la sede ICCD viene presentato il progetto fotografico  “Osservare la terra” di Fabio Barile. 
Interverranno Laura Moro, direttore ICCD, la curatrice della mostra Benedetta Cestelli Guidi e Francesco Pardi dell’Università di Firenze. Sarà presente l'autore.

Fabio Barile (Barletta, 1980) lavora dal 2014 ad un ambizioso progetto fotografico centrato sull'osservazione del fenomeno geologico in Italia, intitolato An investigation of the laws observable in the composition, dissolution, and restoration of land.
Barile ha ripercorso i passi del geologo scozzese James Hutton il quale, basandosi sull'osservazione di comuni e ripetute morfologie geologiche denunciò la temporalità del pianeta terra aprendo così il campo ad una nuova scienza (Theory of the Earth, 1785). La morfologia, o anche la forma, è dunque la stele di Rosetta della geologia attraverso cui comprendere la temporalità millenaria della terra, una temporalità a tal punto 'altra' da quella umana da essere quasi inimmaginabile. Riferendosi al suo lavoro il fotografo ha parlato di una terapia dell'insignificanza: nell'era dell'antropocene è bene (ri)pensarci come creature che vivono nell'intervallo di un battito di ciglia mentre il pianeta ci ha preceduti e ci sopravviverà. Il progetto fotografico di Fabio Barile aiuta a immaginare questo tempo 'altro' attraverso due serie di immagini: all'osservazione di fenomeni geologici tanto comuni quanto ricorrenti sul nostro territorio segue la verifica dei processi di genesi, evoluzione e sedimentazione degli stessi in laboratorio.

Le fotografie sono distinte anche dal punto di vista compositivo: quelle dei fenomeni geologici scattate in esterno sono composte in inquadrature chiuse prive per lo più della linea dell'orizzonte; riprendono conformazioni geologiche per lo più comuni e ricorrenti; sono prive di contesto paesaggistico con la conseguenza che le reali dimensioni del fenomeno geologico sfuggono anche ad una analisi approfondita; insistono sulla potenziale qualità astratta del fenomeno fotografato.
Le fotografie degli esperimenti, realizzati in un angolo di casa con materiali di uso comune, sono sequenze narrative articolate in più scatti in modo da documentare le fasi di alterazione progressiva del fenomeno geologico; sono a tal punto minime e discrete quasi fossero sussurrate; la loro composizione rivela la dimensione giocosa della sperimentazione e il risultato visivo rimanda ad una estetica che strizza l'occhio all'Arte Povera.

Le due serie fotografiche sono il risultato di ritmi e operazioni diversi; nell'allestimento della mostra è il tempo lunghissimo della conformazione geologica ad avere il posto principale occupando ad altezza d'occhio le pareti delle sale, mentre le verifiche in laboratorio sono poste, tranne due eccezioni, in bacheca così che la loro funzione indiziaria ed esplicativa ne venga evidenziata.
Nel 2017 Fabio Barile ha iniziato a confrontare il suo lavoro con la fotografia conservata negli archivi storici dell'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione; la mostra Osservare la terra documenta il dialogo tessuto ed intende restituire sul piano squisitamente visivo alcune riflessioni nate da questa nuova fase di elaborazione del progetto fotografico.

Le fotografie di archivio sono esposte a parete su due registri paralleli a quello principale, così da solleticare nel visitatore la possibilità di messa in dialogo tra contemporaneo e storico. L'unica eccezione è costituita dalle fotografie storiche che documentano la diffusione dei massi erratici in Lombardia, esposte in bacheca accanto agli esperimenti realizzati da Fabio Barile attraverso cui viene visualizzato questo particolarissimo fenomeno di migrazione di grandi frammenti di rocce. Come è noto l'archivio fotografico storico dell'ICCD conserva fotografie di documentazione dei beni culturali italiani nel lungo tempo di oltre un secolo (1895 – ad oggi). Solo gradualmente il paesaggio e le sue conformazioni geologiche sono stati riconosciuti come bene culturale (Legge Bottai, 1939) seppur nell'accezione di 'bellezze naturali'. La fotografia ha avuto una funzione a tal punto centrale in questo processo di inclusione nel 'registro' del patrimonio nazionale da apparire sempre ed ancora non abbastanza sottolineata; l'archivio fotografico dell'ICCD si configura dunque come un serbatoio di cartine al tornasole per capire il se, il quando, il come ed il cosa è stato fotografato e tutelato.

Nella preparazione della mostra si è scavato nell'archivio selezionando alcune stampe storiche – diverse per formato, tecnica e presentazione dell'immagine – che documentano conformazioni geologiche non identiche ma simili a quelle fotografate da Fabio Barile.

La verifica ed il confronto ha portato a molteplici risultati, ampliando le prospettive del progetto autoriale da un lato e aprendo nuovi orizzonti per la fotografia storica dall'altro. Una delle aperture riguarda la possibilità di distinguere tra le modalità dello sguardo; nella sala 2 della mostra è articolata la contrapposizione tra l'attività del guardare/distrazione e quella del guardare/osservazione. Solo predisponendosi al guardare/osservazione si è poi pronti ad entrare nel vivo della mostra e comprendere le sezioni tematiche in cui è suddivisa l'esposizione della sala 3, il cui impianto espositivo è suddiviso in quattro sezioni che documentano altrettante fenomenologie geologiche comuni quali l'erosione, la dissoluzione, il vulcanismo e la sedimentazione.

Gli accostamenti tra le fotografie di Fabio Barile e quelle d'archivio forzano spesso il campo più ovvio delle assonanze per favorire quello delle divergenze; insistono più sugli scarti che sulla continuità e/o identità compositiva. Calcando l'interstizio di queste visibili divergenze compositive sono emerse criticità – le omissioni ma anche le ricorrenze – che documentano il tortuoso percorso del riconoscimento del fenomeno geologico quale bene culturale, e dunque dell'attenzione ai fini della conservazione e della tutela.

Un secondo elemento è apparso ancora più significativo. Premesso che l'archivio fotografico è serbatoio polisemico in cui la dimensione autoriale è tralasciata a favore di una pluralità di sguardi spesso anonimi, si è verificato come persista una unica 'visione' condivisa da fotografi operanti a latitudini geografiche diverse e in tempi distanti; questo allineamento compositivo dell'immagine fotografica è tradotto nell'insistenza nel fotografare fenomeni geologici straordinari, ripresi a causa della loro monumentalità e singolarità e trasformati in ulteriori elementi folklorici utili a rinsaldare processi identitari su scala locale. La geologia dunque come elemento di folklore e non come strumento di conoscenza del terreno; a questa fossilizzazione dello sguardo dei fotografi nella lunga durata di un secolo (1870 – 1970 ca.) si contrappongono poche eccezioni che diventano indicatori preziosi per delineare progettualità specifiche tese a restituire la morfologia del terreno anche nel nostro non lontano passato.

La mostra Osservare la terra è stata dunque una preziosa occasione per tracciare i contorni di questa storia e per verificare come una narrazione articolata su molti tempi e su molti sguardi possa ampliare il campo di azione della progettualità contemporanea e al contempo restituire senso e profondità di lettura critica all'archivio fotografico ed alle fotografie storiche qui conservate.

Si ringraziano i funzionari ed i fotografi dell'ICCD che hanno partecipato alla progettazione ed alla realizzazione di questa mostra; un ringraziamento particolare a Davide di Gianni, Niccolò Fano, Luca La Torre, Laura Moro, Nicola Nunziata, Francesco Pardi, Sveva Taverna, Simona Turco.

Le fotografie storiche in mostra sono stampe originali tratte dall’archivio fotografico della Direzione Generale Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione (fondo MPI) conservato presso I’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione.

Fabio Barile (Barletta, 1980) ha studiato fotografia alla Fondazione Studio Marangoni. Nel 2007 viene selezionato tra i quindici finalisti del concorso “Atlante Italiano_007” e le sue immagini sono esposte al MAXXI di Roma. Dal 2010 entra a far parte di “Documentary Platform, A Visual Archive”. Nel 2012 il dummy “Soli Finti” è selezionato per il Dummy Award del Photobook Festival ed esposto a Le Bal, Parigi. Nel 2015, il suo lavoro "Homage to James Hutton" fa parte della collettiva del Festival internazionale di Fotografia di Roma. Il suo lavoro si concentra sullo studio del paesaggio, analizzandolo nel suo evolversi e studiando le interazioni complesse che avvengono al suo interno. http://www.fabiobarile.com/

Benedetta Cestelli Guidi è curatrice e studiosa indipendente. Si occupa di fotografia storica e contemporanea. All'insegnamento universitario alterna la ricerca sulla fotografia storica e la progettazione di mostre e volumi di autori contemporanei. Dal 2014 è impegnata nel riordino storico critico dell'archivio fotografico della Direzione Generale Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione (fondo MPI). 
La mostra rimarrà aperta dal 16 novembre al 9 gennaio 2018 dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 18.00 presso la sede ICCD, in via di San Michele 18. 

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