Huma Bhabha. The Company

© Huma Bhabha | Huma Bhabha, Beyond the River, 2019, sughero, Styrofoam, tondino di ferro, legno, acrilico, e oil stick, 76.2×94×261.6 cm.

 

Dal 19 Settembre 2019 al 04 Gennaio 2020

Roma

Luogo: Gagosian Gallery

Indirizzo: via Francesco Crispi 16



C’è così tanta devastazione fisica in diverse parti del mondo che molte città vive sembrano degli scavi archeologici. Uno dei modi con cui amo avvicinarmi al passato è quello cinematografico, reimmaginandolo e proiettandolo verso il futuro come spesso solo il cinema fa.
— Huma Bhabha

Gagosian è lieta di presentare The Company, una mostra di nuove sculture e disegni di Huma Bhabha. È la prima volta che l’artista pakistana espone a Roma.

Tramite espressivi disegni su fotografia e sculture figurative intagliate nel sughero e nello Styrofoam, realizzate con materiali di scarto e argilla, o fuse in bronzo, Bhabha esplora le tensioni tra tempo, memoria, e sradicamento. Tra fantascienza, resti archeologici, rovine romane e utopia postbellica l’artista trasforma la figura umana in totem ghignanti, allo stesso tempo figure inquietanti e sinistramente divertenti.

The Company è in parte ispirata a “La Lotteria a Babilonia” (1941), un breve racconto di Jorge Luis Borges nel quale una società immaginaria è sopraffatta dal sistema di una lotteria incombente che dispensa ricompense e punizioni. La lotteria è presumibilmente diretta dalla Compagnia, un segreto, forse inesistente organismo che decide i destini delle persone. La processione di sculture di Bhabha svela il potere di questa Compagnia misteriosa. Questa comprende un paio di grandi mani disarticolate dal corpo che sembrano fluttuare su piedistalli trasparenti; una figura seduta; e numerose figure in piedi di diverse dimensioni. I disegni su fotografia richiamano questi personaggi, che potrebbero provenire da un lontano regno futuristico così come da una civiltà perduta. Le figure in piedi sono intagliate in pile di sughero scuro, emanante un acre odore di terra, e dal suo opposto tecnico, lo Styrofoam. Questi materiali, dall’aspetto duro e compatto, come pietre erose e marmi appena estratti, sono in realtà leggeri e morbidi e permettono a Bhabha di scolpire in
maniera rapida e spontanea senza rifiniture. Il processo scultoreo diventa così una sorta di flusso di coscienza dal quale emergono mostri alieni, divinità della fertilità e kouroi greci.

I visi delle sculture di Bhabha simili a maschere sono allo stesso tempo maestosi e conturbanti. Dipinti in sorprendenti toni pastello—azzurro, malva, rosa e verde—richiamano i graffiti, nei quali la sporcizia urbana si mescola a interventi pittorici dai colori brillanti. Con i loro lineamenti folli da cartone animato rafforzati da un profetico bipedismo, le sculture di Bhabha sembrano sia prendere in giro che mettere in guardia, in quanto riflessioni sul e testimoni dell’orgoglio e del potere umano, della venerazione e dell’iconoclastia.

Accostando cicatrici di guerra, il colonialismo e i traumi ad allusioni ad eventi attuali e ai media di massa, Bhabha ha a lungo sostenuto che il mondo sia un’apocalisse, creata sia dall’uomo che dalla natura: le sue sculture saccheggiate sembrano essere testimoni di una certa catastrofe alla quale sono riuscite a sopravvivere per raccontarne la storia. Come un faraone sul trono o un cyborg colpito da una pioggia di schegge di proiettili, una figura seduta è realizzata con argilla giallastra compressa in rete metallica, frammenti di Styrofoam macchiati, ossi giocattolo per cani e sedie arruginite provenienti da Karachi, la città natale di Bhabha, intrappolata in un fuoco incrociato di conflitti intestini e internazionali.

Nei disegni di grande formato di Bhabha, figure umane e non umane abitano lo spazio condiviso da fotografia, collage e gesti pittorici: i loro visi eterogenei e le forme indistinte sembrano infestare paesaggi, strade cittadine e siti architettonici. In uno di questi, un arco blu e beige interferisce su una fotografia che Bhabha ha scattato a Roma, ai Musei Capitolini, ad un’antica statua di un cane, con due kouroi bianchi che incombono sullo sfondo.

Huma Bhabha è nata nel 1962 a Karachi, Pakistan, vive e lavora a Poughkeepsie, New York. I suoi lavori sono inclusi nelle collezioni del Museum of Modern Art, New York; Metropolitan Museum of Art, New York; Whitney Museum of American Art, New York; Bronx Museum of Art, New York; Hammer Museum, Los Angeles; Museum of Fine Arts, Houston; Centre Pompidou, Parigi; Collezione Maramotti, Reggio Emilia, Italia; e della Art Gallery of New South Wales, Sydney. Tra le più recenti mostre istituzionali si annoverano Huma Bhabha, Aspen Art Museum, CO (2011–12); Players, Collezione Maramotti, Reggio Emilia, Italia (2012); Unnatural Histories, MoMA PS1, New York (2012–12); We Come in Peace, Roof Garden Commission, Metropolitan Museum of Art, New York (2018); Other Forms of Life, Contemporary Austin, TX (2018 –19); e They Live, Institute of Contemporary Art, Boston (2019). Bhabha ha partecipato alle mostre Intense Proximity, La Triennale, Parigi (2012); All the World’s Futures, 56th Biennale di Venezia (2015); e al 57th Carnegie International, Carnegie Museum of Art, Pittsburgh, PA (2018).

Inaugurazione: giovedì 19 settembre ore 18-20

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