Justin Peyser. Diaspora... alla deriva IV
Dal 24 Maggio 2013 al 08 Settembre 2013
Roma
Luogo: Museo Carlo Bilotti - Aranciera di Villa Borghese
Indirizzo: viale Fiorello la Guardia
Orari: da martedì a venerdì 10-16; sabato e domenica 10-19
Curatori: Francesca Pietracci
Costo del biglietto: intero € 8, ridotto € 3
Telefono per informazioni: +39 06 0608
E-Mail info: museo.bilotti@comune.roma.it
Sito ufficiale: http://www.museocarlobilotti.it
L’artista newyorkese Justin Peyser affronta i temi dell’esilio e della diaspora considerandoli elementi correlati non solo a specifiche questioni di intolleranza, ma anche ad alcuni aspetti dei fenomeni di comunicazione, di circolazione delle idee e di opportunità di incontro.
Il progetto “Diaspora … alla deriva IV”, curato da Francesca Pietracci, è composto da 10 sculture che indicano una partenza forzata e senza destinazione certa, l’inizio di un viaggio alla ricerca di percorsi e canali di comunicazione sia fisici che tecnologici.
Concepite come un progetto itinerante, le grandi sculture di Justin Peyser sono arrivate in Italia via mare, salpando dal porto di New York e attraversando la penisola in un susseguirsi di simboliche derive e di concreti approdi. Esposte a Ca’ Zenobio di Venezia, al Maschio Angioino e al Palazzo delle Arti di Napoli, al Museo MAB e al Palazzo dei Bruzi di Cosenza, verranno ora presentate a Roma, dal 24 maggio all’8 settembre 2013, presso il Museo Carlo Bilotti - Aranciera di Villa Borghese (conferenza stampa e inaugurazione 23 maggio 2013), su iniziativa di Roma Capitale Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.
In ciascuna delle città che hanno ospitato la mostra, l’artista e le opere hanno interagito significativamente con il tessuto urbano e museale, ma soprattutto hanno creato numerose e toccanti occasioni di incontro con un pubblico multietnico ed eterogeneo, per cultura, per ideologia o per appartenenza religiosa.
Rispetto ai flussi naturali, si tratta una diaspora al contrario, di un esodo da un Paese più ricco (USA) ad uno più povero (ITALIA), di un viaggio provocato dallo spaesamento culturale, dal disagio psicologico, dal senso di non appartenenza, dalla necessità di raggiungere altri luoghi in cerca di ataviche radici e di possibili sintonie.
In questa mostra i concetti di diaspora e deriva sono rappresentati dalla metafora di un ballo struggente e corale. Le sculture che compongono questa grande installazione raffigurano personaggi misteriosi e senza volto, realizzati in lamiere metalliche tenute insieme da spesse saldature lasciate ruvide, con la bruciatura della fiamma visibile, perché, come dichiara l’artista, “l’andare vagabondando nella diaspora lascia cicatrici, così come il loro sbilanciamento da un lato rappresenta l’essere in bilico tra due patrie”
Le sculture rappresentano esseri pomposi e disperati, ironici e dall’effetto dondolante. Collocati in cerchio, fanno pensare ad una danza galleggiante e a un viaggio che dalla deriva li sta portando ad un approdo di fortuna. Affacciandosi dal grande terrazzo del Museo Carlo Bilotti, guardano il parco di Villa Borghese dall’alto, ricordando ai passanti la danza della vita unitamente alla simbologia del viaggio.
A cavallo tra una sofisticata versione degli stili post-modern e avant-pop, le opere di Justin Peyser presentano delle peculiarità apparentemente discordanti, ma magicamente fuse: dolore, perdita, poesia, ironia ed eleganza si fondono dando vita ad una melodia perfetta, fatta di ritmo e di lirismo, di denuncia e di senso di appartenenza. Se può esistere un testo in grado di frapporsi tra lo sguardo dello spettatore e l’opera, questo non può che essere l’indimenticabile canzone di Leonard Cohen (presente a Roma con il super concerto del 7 luglio) intitolata “Dance Me to the End of Love”, ripresa dal motivo suonato da un quartetto d’archi di musicisti ebrei alla soglia di un forno crematorio. (Francesca Pietracci - dal testo in catalogo).
Il progetto “Diaspora … alla deriva IV”, curato da Francesca Pietracci, è composto da 10 sculture che indicano una partenza forzata e senza destinazione certa, l’inizio di un viaggio alla ricerca di percorsi e canali di comunicazione sia fisici che tecnologici.
Concepite come un progetto itinerante, le grandi sculture di Justin Peyser sono arrivate in Italia via mare, salpando dal porto di New York e attraversando la penisola in un susseguirsi di simboliche derive e di concreti approdi. Esposte a Ca’ Zenobio di Venezia, al Maschio Angioino e al Palazzo delle Arti di Napoli, al Museo MAB e al Palazzo dei Bruzi di Cosenza, verranno ora presentate a Roma, dal 24 maggio all’8 settembre 2013, presso il Museo Carlo Bilotti - Aranciera di Villa Borghese (conferenza stampa e inaugurazione 23 maggio 2013), su iniziativa di Roma Capitale Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.
In ciascuna delle città che hanno ospitato la mostra, l’artista e le opere hanno interagito significativamente con il tessuto urbano e museale, ma soprattutto hanno creato numerose e toccanti occasioni di incontro con un pubblico multietnico ed eterogeneo, per cultura, per ideologia o per appartenenza religiosa.
Rispetto ai flussi naturali, si tratta una diaspora al contrario, di un esodo da un Paese più ricco (USA) ad uno più povero (ITALIA), di un viaggio provocato dallo spaesamento culturale, dal disagio psicologico, dal senso di non appartenenza, dalla necessità di raggiungere altri luoghi in cerca di ataviche radici e di possibili sintonie.
In questa mostra i concetti di diaspora e deriva sono rappresentati dalla metafora di un ballo struggente e corale. Le sculture che compongono questa grande installazione raffigurano personaggi misteriosi e senza volto, realizzati in lamiere metalliche tenute insieme da spesse saldature lasciate ruvide, con la bruciatura della fiamma visibile, perché, come dichiara l’artista, “l’andare vagabondando nella diaspora lascia cicatrici, così come il loro sbilanciamento da un lato rappresenta l’essere in bilico tra due patrie”
Le sculture rappresentano esseri pomposi e disperati, ironici e dall’effetto dondolante. Collocati in cerchio, fanno pensare ad una danza galleggiante e a un viaggio che dalla deriva li sta portando ad un approdo di fortuna. Affacciandosi dal grande terrazzo del Museo Carlo Bilotti, guardano il parco di Villa Borghese dall’alto, ricordando ai passanti la danza della vita unitamente alla simbologia del viaggio.
A cavallo tra una sofisticata versione degli stili post-modern e avant-pop, le opere di Justin Peyser presentano delle peculiarità apparentemente discordanti, ma magicamente fuse: dolore, perdita, poesia, ironia ed eleganza si fondono dando vita ad una melodia perfetta, fatta di ritmo e di lirismo, di denuncia e di senso di appartenenza. Se può esistere un testo in grado di frapporsi tra lo sguardo dello spettatore e l’opera, questo non può che essere l’indimenticabile canzone di Leonard Cohen (presente a Roma con il super concerto del 7 luglio) intitolata “Dance Me to the End of Love”, ripresa dal motivo suonato da un quartetto d’archi di musicisti ebrei alla soglia di un forno crematorio. (Francesca Pietracci - dal testo in catalogo).
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