La tempesta (1938) di Fausto Pirandello. Un capolavoro ritrovato
Dal 30 Novembre 2016 al 04 Dicembre 2016
Roma
Luogo: Galleria d'Arte Moderna
Indirizzo: via Francesco Crispi 24
Enti promotori:
- Roma Capitale
- Assessorato alla Crescita culturale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
Costo del biglietto: biglietto con tariffazione ordinaria, prenotazione consigliata
Telefono per informazioni: +39 060608
Sito ufficiale: http://www.galleriaartemodernaroma.it
Da mercoledì 30 novembre a domenica 4 dicembre 2016 la Galleria d’Arte Moderna di Roma espone il dipinto La tempesta (1938), un capolavoro assoluto del pittore Fausto Pirandello (Roma 1899-1975). L’opera, della quale dal 1939 si erano perse le tracce, è stata recentemente ritrovata in una collezione privata italiana. L’eccezionale riscoperta sarà presentata al pubblico in anteprima martedì 29 novembre 2016 alle ore 16.00 da Fabio Benzi e Flavia Matitti, curatori dell’importante mostra antologica Fausto Pirandello. Opere dal 1923 al 1973in corso a Roma negli spazi della Galleria Russo, fino al 14 dicembre 2016.Promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.
Fausto Pirandello dipinse La tempesta nel 1938, all’apice della sua attività creativa (olio su compensato, cm 150x225, firmato in basso a sinistra: «Pirandello 1938»). Opera di dimensioni ambiziose e impressionanti (è la composizione più grande dipinta dall’artista) è certamente uno dei massimi capolavori non solo della sua produzione, ma dell’arte italiana tra le due guerre. L’opera venne esposta per la prima volta nel febbraio 1939 alla III Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma, dove Fausto Pirandello, pittore quarantenne già premiato nella precedente edizione, era stato invitato con una sala personale che fece scalpore. «In questa serenità paradisiaca e in tanta monotonia di purgatorio – osservava acutamente Raffaele De Grada sulle pagine di «Corrente di Vita giovanile» – alcune sale, come quella di Fausto Pirandello, rappresentano l’inferno».
La Galleria d’Arte Moderna, che fino al 4 dicembre ospita l’esposizione dal titolo Roma anni Trenta. La Galleria d’arte Moderna e le Quadriennali d’arte 1931 – 1935 – 1939,dedicata alle prime edizioni storiche delle Quadriennali d’Arte Nazionale, appare dunque la cornice ideale in cui esporre per la prima volta al pubblico questa eccezionale riscoperta.
La tempesta venne poi inviata negli Stati Uniti ed esposta nell’autunno del 1939 al Carnegie Institute di Pittsburgh. Da quel momento il dipinto scompare dalla circolazione. Considerato disperso dagli studiosi, era noto solo grazie alle illustrazioni in bianco e nero pubblicate all’epoca.
«La tempesta – spiega Fabio Benzi – rappresenta una scena che, come sempre in Pirandello, accentua gli aspetti surreali e drammatici di una realtà scarna, esistenzialmente sofferente. L’idea nasce da una visione di tempesta estiva nella campagna di Anticoli Corrado, il paese vicino Roma dove molti artisti risiedevano. Qui in particolare vivevano Emanuele Cavalli e Giuseppe Capogrossi, suoi amici e sodali nella prima elaborazione della Scuola Romana. Il tonalismo, che partendo dalla loro ricerca era divenuto il linguaggio giovanile di punta nell’Italia degli anni Trenta, si esprime qui attraverso una ricerca di scavo nella realtà dei corpi e delle cose, che genera un senso di allarme e di inquietudine. Il dramma della tempesta, metafora di un disastro incombente, sembra presagire le distruzioni della guerra che di lì a poco scoppierà, con la fuga disordinata di figure il cui terrore è reificato nelle sottane sollevate che trasformano le donne in lugubri fantasmi, immagini di disperazione e terrore senza volto. Il miracoloso stamparsi di una foglia secca sul nero violaceo della gonna strappata dal vento mostra come a quel terrore sia impassibile l’ineluttabilità della natura. Pirandello dà della scena una soluzione visionaria e inquietante, attraverso figure spatolate, dalle posizioni e dai gesti quotidiani, ma come bloccate in composizioni ritmiche e innaturali: figure dominate da un’ansia immanente, conturbante e surreale. L’artista compone attraverso l’indagine di uno spazio distorto, sempre planato su schemi diagonali e instabili, quegli spazi vuoti che la coscienza non riesce a colmare nel suo rapporto complesso con la realtà. Ci restituisce senza retorica, attraverso una materia scabra e allo stesso tempo sontuosa, una condizione umana dolorosa, di straordinaria forza spirituale».
L’opera, recentemente ritrovata in una collezione privata italiana, era appartenuta al giornalista siciliano Telesio Interlandi (1894-1965), personaggio assai discusso e tuttavia amico della famiglia Pirandello. «Oltre a questo dipinto – racconta Flavia Matitti – si sa che Telesio Interlandi possedeva diverse altre opere di Fausto Pirandello, tra le quali I ranocchi, acquistato nel 1939 proprio alla III Quadriennale. Il dipinto, raffigurante tre ragazzi che raccolgono rane, venne però gravemente danneggiato durante la guerra e dell’opera sopravvive oggi in una collezione privata solo la metà superiore».
Alla controversa vicenda intellettuale e umana di Interlandi, fondatore e direttore dal 1924 del quotidiano «Il Tevere», dal 1933 del settimanale letterario «Quadrivio» e dal 1938 del famigerato quindicinale «La difesa della razza», si è interessato tra i primi Leonardo Sciascia, che progettava di occuparsi diffusamente dell’affaire Interlandi. Dopo la sua morte il progetto è stato ripreso da un altro siciliano, Giampiero Mughini, cui si deve la biografia A via della Mercede c’era un razzista (Rizzoli 1991), a tutt’oggi uno dei pochi studi dedicati a Telesio Interlandi.
Il prestito e l’esposizione dell’opera sono stati realizzati grazie all’interessamento e al contributo della Galleria Russo di Roma.
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