Metamorfosi

Opere di Erzsébet Palásti dalla mostra 'Metamorfosi', Accademia d'Ungheria di Roma
Dal 18 Gennaio 2021 al 31 Marzo 2021
Roma
Luogo: Pagina Facebook e canale YouTube Accademia d'Ungheria
Indirizzo: online
Curatori: Francesca Pietracci
L’Accademia d’Ungheria in Roma, anche durante il periodo di pandemia e chiusura al pubblico degli spazi espositivi pubblici, ha continuato a produrre cultura e momenti di incontro online.
La mostra Metamorfosi, curata da Francesca Pietracci, ne è un esempio e propone al pubblico una riflessione profonda sul periodo che si sta vivendo.
Il progetto ha preso origine dal lavoro dell’artista ungherese Erzsébet Palásti, nata a Salgótarján (Ungheria) nel 1972 e residente a Roma da tempo. Le sue opere si basano sulla reciproca influenza di linguaggi primitivi e tecnologici. L’essere umano, con la sua memoria e i suoi simboli, si avvicina e contamina il mondo della tecnica, delle macchine, dei computer e della biotecnologia. Esseri ibridi prendono forma nei suoi dipinti secondo una scala che va dall’estremamente grande all’estremamente piccolo. I suoi colori sono acidi e industriali, galleggiano nel mare dell’inconscio e sembrano voler riportare serenità e riflessione all’essere umano.
Le opere di Giuseppe Colacino, nato a Soverato (CZ) nel 1992 e che vive e lavora a Torino, rappresentano invece uno stadio embrionale degli esseri viventi, concepiti nella loro complessità e nelle loro possibilità di incontro e trasmutazione. Il suo è un linguaggio minimale, costruito su una specifica grammatica estetica. Esili forme costanti e mutanti percorrono la tela bianca, piccoli esseri neri, fragili e tenaci, vicini e lontani, soli e complementari. Il loro aspetto esterno corrisponde a quello interno, volteggiano e si rivoltano dentro la loro stessa epidermide. Trasmettono ritmo e suggeriscono la danza della vita e della sua origine.
Giosuè Cannizzaro, nato a Palermo 1983 e residente nelle Marche, realizza dipinti di grandi dimensioni nei quali smaschera immagini e simboli dell’inconscio. Il suo è un punto di vista per certi versi malinconico e introspettivo, ma attraverso il quale fa rivivere l’onda fluttuante del dolore e del suo superamento. La vita e la morte, l’amore e l’odio duettano dentro ogni essere umano, così come nelle sue immagini, per metà realistiche e per metà fantastiche. Il suo lavoro, come la sua vita, sono un vero e proprio invito a non abbassare la guardia, a riuscire ad esternare incubi e speranze, a mettere d’accordo paure e aspirazioni profonde.
Per diversi aspetti questo progetto basato sul concetto di Metamorfosi lega la poetica dei giovani artisti contemporanei Erzsébet Palásti, Giosuè Cannizzaro e Giuseppe Colacino all’Art Nouveau e, in particolare, alle notevoli esperienze presenti a Budapest e note in tutto il mondo come Magyar Szecesszió (Secessione Ungherese). Caratterizzate da ornamenti floreali, animali e di bellezza femminile, le costruzioni ungheresi più rinomate furono realizzate dall’architetto Ödön Lechner, al quale si devono stupendi edifici quali la Banca dei risparmi postali (1899-1901), il Museo di Arti Applicate (1891-1896) e la villa Sipeki-Balázs (1905-1907), mentre il più famoso decoratore e mosaicista fu Miksa Róth (fine ‘800 e inizio ‘900).
Ciò non di meno quello della Metamorfosi costituisce anche un tema classico trattato da Ovidio, da Kafka e da tanti altri autori al fine di sondare le potenzialità umane sia da un punto di vista antropologico che psicologico.
Le forme della natura (vegetali, animali e umane) si intrecciano e si trasformano nelle opere contemporanee di questa mostra con linguaggi nuovi, ma sostanzialmente collegati ai concetti delle correnti Liberty. Si tratta di una nuova visiona della vita, di esistenze che si fondono con il passato e con il futuro per dare origine a nuove interpretazioni per quanto concerne la progettualità dell’arte inserita all’interno della vita quotidiana (arte, design e moda), della tecnologia (riproducibilità di modelli, simboli e tag) e della poesia (nuovo vocabolario dell’introspezione). È così che ciascun artista, nella differenza degli stili e delle loro possibili applicazioni, si presenta introducendo il pubblico al discorso della metamorfosi. Per ognuno di loro l’evoluzione delle forme corrisponde all’evoluzione della consapevolezza dell’essere umano, della sua riappropriazione del mondo e della natura che lo circonda, nella definizione formale e concettuale di un sé che si espande e oltrepassa il limite individualistico.
Visibile online sulla pagina Facebook e sul canale YouTube dell’Accademia d’Ungheria in Roma:
https://www.facebook.com/Accadung
https://www.youtube.com/watch?v=_LFh_DOZmxU
visitabile in sede a partire dal prossimo decreto di riapertura degli spazi culturali.
La mostra Metamorfosi, curata da Francesca Pietracci, ne è un esempio e propone al pubblico una riflessione profonda sul periodo che si sta vivendo.
Il progetto ha preso origine dal lavoro dell’artista ungherese Erzsébet Palásti, nata a Salgótarján (Ungheria) nel 1972 e residente a Roma da tempo. Le sue opere si basano sulla reciproca influenza di linguaggi primitivi e tecnologici. L’essere umano, con la sua memoria e i suoi simboli, si avvicina e contamina il mondo della tecnica, delle macchine, dei computer e della biotecnologia. Esseri ibridi prendono forma nei suoi dipinti secondo una scala che va dall’estremamente grande all’estremamente piccolo. I suoi colori sono acidi e industriali, galleggiano nel mare dell’inconscio e sembrano voler riportare serenità e riflessione all’essere umano.
Le opere di Giuseppe Colacino, nato a Soverato (CZ) nel 1992 e che vive e lavora a Torino, rappresentano invece uno stadio embrionale degli esseri viventi, concepiti nella loro complessità e nelle loro possibilità di incontro e trasmutazione. Il suo è un linguaggio minimale, costruito su una specifica grammatica estetica. Esili forme costanti e mutanti percorrono la tela bianca, piccoli esseri neri, fragili e tenaci, vicini e lontani, soli e complementari. Il loro aspetto esterno corrisponde a quello interno, volteggiano e si rivoltano dentro la loro stessa epidermide. Trasmettono ritmo e suggeriscono la danza della vita e della sua origine.
Giosuè Cannizzaro, nato a Palermo 1983 e residente nelle Marche, realizza dipinti di grandi dimensioni nei quali smaschera immagini e simboli dell’inconscio. Il suo è un punto di vista per certi versi malinconico e introspettivo, ma attraverso il quale fa rivivere l’onda fluttuante del dolore e del suo superamento. La vita e la morte, l’amore e l’odio duettano dentro ogni essere umano, così come nelle sue immagini, per metà realistiche e per metà fantastiche. Il suo lavoro, come la sua vita, sono un vero e proprio invito a non abbassare la guardia, a riuscire ad esternare incubi e speranze, a mettere d’accordo paure e aspirazioni profonde.
Per diversi aspetti questo progetto basato sul concetto di Metamorfosi lega la poetica dei giovani artisti contemporanei Erzsébet Palásti, Giosuè Cannizzaro e Giuseppe Colacino all’Art Nouveau e, in particolare, alle notevoli esperienze presenti a Budapest e note in tutto il mondo come Magyar Szecesszió (Secessione Ungherese). Caratterizzate da ornamenti floreali, animali e di bellezza femminile, le costruzioni ungheresi più rinomate furono realizzate dall’architetto Ödön Lechner, al quale si devono stupendi edifici quali la Banca dei risparmi postali (1899-1901), il Museo di Arti Applicate (1891-1896) e la villa Sipeki-Balázs (1905-1907), mentre il più famoso decoratore e mosaicista fu Miksa Róth (fine ‘800 e inizio ‘900).
Ciò non di meno quello della Metamorfosi costituisce anche un tema classico trattato da Ovidio, da Kafka e da tanti altri autori al fine di sondare le potenzialità umane sia da un punto di vista antropologico che psicologico.
Le forme della natura (vegetali, animali e umane) si intrecciano e si trasformano nelle opere contemporanee di questa mostra con linguaggi nuovi, ma sostanzialmente collegati ai concetti delle correnti Liberty. Si tratta di una nuova visiona della vita, di esistenze che si fondono con il passato e con il futuro per dare origine a nuove interpretazioni per quanto concerne la progettualità dell’arte inserita all’interno della vita quotidiana (arte, design e moda), della tecnologia (riproducibilità di modelli, simboli e tag) e della poesia (nuovo vocabolario dell’introspezione). È così che ciascun artista, nella differenza degli stili e delle loro possibili applicazioni, si presenta introducendo il pubblico al discorso della metamorfosi. Per ognuno di loro l’evoluzione delle forme corrisponde all’evoluzione della consapevolezza dell’essere umano, della sua riappropriazione del mondo e della natura che lo circonda, nella definizione formale e concettuale di un sé che si espande e oltrepassa il limite individualistico.
Visibile online sulla pagina Facebook e sul canale YouTube dell’Accademia d’Ungheria in Roma:
https://www.facebook.com/Accadung
https://www.youtube.com/watch?v=_LFh_DOZmxU
visitabile in sede a partire dal prossimo decreto di riapertura degli spazi culturali.
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