Paolo Guzzanti. Sviluppo dell’astrattismo esistenziale nei poco ruggenti anni Venti del terzo millennio
Dal 28 Gennaio 2022 al 17 Febbraio 2022
Roma
Luogo: Medina Roma Art Gallery
Indirizzo: Via Angelo Poliziano 32-34
Telefono per informazioni: +39 06 960 30 764
E-Mail info: info@medinaroma.com
Sito ufficiale: http://www.medinaroma.com
Dal 28 Gennaio al 17 Febbraio 2022, Medina Roma Art Gallery presenta la mostra personale di Arte Contemporanea di Paolo Guzzanti “Sviluppo dell’astrattismo esistenziale nei poco ruggenti anni Venti del terzo millennio”.
L’evento di opening di Sabato 5 Febbraio alle ore 18.00 è inaugurato dal critico Daniele Radini Tedeschi.
Noto al grande pubblico come giornalista, politico e saggista, Paolo Guzzanti si è dedicato all’Arte Contemporanea, in particolare alle seconde avanguardie del Novecento, con focus specifico sulle correnti statunitensi, sperimentando percorsi di elaborazione e sintesi. Nella mostra si evidenzia la sua ricerca artistica espressa attraverso dipinti che mantengono organicamente una coerenza stilistica basata sull’espressionismo astratto.
«Sono opere astratte?», si interroga Guzzanti. «Per lo più sì, sono astratte e non significano nulla. Chi le guarda scopre significati suoi, come accade con le macchie d’inchiostro di Rorschach. Sono molto stupito e curioso dei messaggi personali degli osservatori, mentre io riconosco a malapena i miei stati d’animo.»
Il critico Daniele Radini Tedeschi ne parla come di «[…] immagini folgoranti, piene di bebop e tormento, pozze di sfumature, ombre senza corpi, celle prive di numero. […] le sue teche dipinte sono librerie dell’anima, simili a quei piccoli scaffali della memoria dove i vecchi pescatori raccoglievano i souvenir portati dal mare.»
La mostra mette in luce diverse declinazioni tecniche dell’autore tra il dripping/action e l’informale. Accanto a bianchi/neri, spiccano le predominanze di colore rosso che comunicano l’intensità passionale mentre quelle di colore blu-verde-giallo sono percepite come una miscela difficilmente separabile. Nell’insieme, si tratta di figurazioni che quasi appaiono oniriche.
Paolo Guzzanti nasce a Roma nel 1940. Noto al grande pubblico come giornalista, politico e saggista, si è dedicato all’Arte Contemporanea, in particolare alle seconde avanguardie del Novecento, con focus specifico sulle correnti statunitensi, sperimentando percorsi di elaborazione e sintesi. La sua ricerca artistica si esprime attraverso opere che mantengono organicamente una coerenza stilistica che si basa sull’espressionismo astratto. Nella prima fase del suo percorso artistico, il suo stile è molto materico, denso, a tratti carnale. Si misura anche con l’action painting e l’informale. In questo momento dipinge prevalentemente tele infernali o disperate in cui inquietudine, dubbio e amore sono ingabbiati in scacchiere oniriche.
«Dipingevo da bambino scene molto drammatiche usando smalto verde come sangue di grilli. A sedici fui espulso da tutte le scuole della Repubblica per un anno. Fu la mia fortuna: scoprii in splendida solitudine una Roma che pullulava di gallerie e pittori, sicché cominciai a imitarli e ad esporre a via Margutta che era allora una terra d’avanguardia. Uno zio mecenate comperava gli invenduti e leggeva le mie poesie al magnetofono. Poi smisi di produrre perché il giornalismo mi assorbì per decenni ed ora ho ripreso affrontando tele che si dipingono da sole: devi svegliarle con colpi brutali e loro ti guidano, poi ti possiedono e ciascuna comanda rivelando segni e fantasmi che poi scopro dilatando le foto. Sono opere astratte? Per lo più sì, sono astratte e non significano nulla. Chi le guarda scopre significati suoi, come accade con le macchie d’inchiostro di Rorschach. Sono molto stupito e curioso dei messaggi personali degli osservatori, mentre io riconosco a malapena i miei stati d’animo.»
Paolo Guzzanti
«La pittura astratta, avendo per sua natura rinunciato ad un fine realistico, mantiene tuttavia alcuni elementi fondanti della rappresentazione: l’armonia, il ritmo, il gusto e l’effetto. Nei quadri di Paolo Guzzanti troviamo un attento accordo cromatico in grado di evocare simmetrie dell’anima, grazie a semitoni, incastri, grumi di materia.
È come se la stratificazione del tempo vivesse una sua esistenza indipendente, con la volontà ridotta al minimo rispetto all’ispirazione. Ciò avviene poiché in questi dipinti scorre un tempo interiore ben lontano dalla brulicante vita che circonda l’Autore.
Dalle sue finestre, affacciate sul centro storico della Capitale, si esibisce un mondo di fremiti entusiasti, l’alta borghesia conduce la propria parvenza di realtà; una sensuale ragazza dagli occhi a mandorla, nel palazzo di fronte, si asciuga i capelli con un telo bianco; un giovane seminarista acquista sotto, nella sartoria ecclesiastica, la prima casula o forse l’ultima; una scolaresca di biondine americane sfiora il vicolo stonando ‘O sole mio.
Intanto, oltre quei vetri, nella casa di Paolo, l’orologio dell’arte disattende i suoi appuntamenti con la vita e il Nostro artista, puntuale con la storia, finalmente decide di perdere alcuni treni. Dipinge, stratifica, spruzza, applica dorature acriliche, compone “acrostici indolenti”, respira solventi.
Ed ecco immagini folgoranti, piene di bebop e tormento, pozze di sfumature, ombre senza corpi, celle prive di numero. Sono steli, catacombe, logge che si rivelano nascondendosi, si incupiscono, seccandosi ogni giorno di più, come a voler mantenere in quell’irrigidimento continuo un’azione autonoma.
Intorno libri, un Novecento vivisezionato in rosso e nero, gli stessi colori che affondano nelle tele, che inchiodano in reticolati drastici ogni possibile conciliazione. E magari le sue teche dipinte sono librerie dell’anima, simili a quei piccoli scaffali della memoria dove i vecchi pescatori raccoglievano i souvenir portati dal mare.
I dipinti affollano la casa, si muovono nello spazio e lo abitano, come specchi di anni complessi. Tutto appare curioso e silenzioso.
Perché sono senza cornice? Forse teche e riquadri esistono già, dentro l’opera, atte a coronare una sempre maggiore solidificazione dell’idea, entro lo straziante, eterno lirismo della tela.»
Daniele Radini Tedeschi
L’evento di opening di Sabato 5 Febbraio alle ore 18.00 è inaugurato dal critico Daniele Radini Tedeschi.
Noto al grande pubblico come giornalista, politico e saggista, Paolo Guzzanti si è dedicato all’Arte Contemporanea, in particolare alle seconde avanguardie del Novecento, con focus specifico sulle correnti statunitensi, sperimentando percorsi di elaborazione e sintesi. Nella mostra si evidenzia la sua ricerca artistica espressa attraverso dipinti che mantengono organicamente una coerenza stilistica basata sull’espressionismo astratto.
«Sono opere astratte?», si interroga Guzzanti. «Per lo più sì, sono astratte e non significano nulla. Chi le guarda scopre significati suoi, come accade con le macchie d’inchiostro di Rorschach. Sono molto stupito e curioso dei messaggi personali degli osservatori, mentre io riconosco a malapena i miei stati d’animo.»
Il critico Daniele Radini Tedeschi ne parla come di «[…] immagini folgoranti, piene di bebop e tormento, pozze di sfumature, ombre senza corpi, celle prive di numero. […] le sue teche dipinte sono librerie dell’anima, simili a quei piccoli scaffali della memoria dove i vecchi pescatori raccoglievano i souvenir portati dal mare.»
La mostra mette in luce diverse declinazioni tecniche dell’autore tra il dripping/action e l’informale. Accanto a bianchi/neri, spiccano le predominanze di colore rosso che comunicano l’intensità passionale mentre quelle di colore blu-verde-giallo sono percepite come una miscela difficilmente separabile. Nell’insieme, si tratta di figurazioni che quasi appaiono oniriche.
Paolo Guzzanti nasce a Roma nel 1940. Noto al grande pubblico come giornalista, politico e saggista, si è dedicato all’Arte Contemporanea, in particolare alle seconde avanguardie del Novecento, con focus specifico sulle correnti statunitensi, sperimentando percorsi di elaborazione e sintesi. La sua ricerca artistica si esprime attraverso opere che mantengono organicamente una coerenza stilistica che si basa sull’espressionismo astratto. Nella prima fase del suo percorso artistico, il suo stile è molto materico, denso, a tratti carnale. Si misura anche con l’action painting e l’informale. In questo momento dipinge prevalentemente tele infernali o disperate in cui inquietudine, dubbio e amore sono ingabbiati in scacchiere oniriche.
«Dipingevo da bambino scene molto drammatiche usando smalto verde come sangue di grilli. A sedici fui espulso da tutte le scuole della Repubblica per un anno. Fu la mia fortuna: scoprii in splendida solitudine una Roma che pullulava di gallerie e pittori, sicché cominciai a imitarli e ad esporre a via Margutta che era allora una terra d’avanguardia. Uno zio mecenate comperava gli invenduti e leggeva le mie poesie al magnetofono. Poi smisi di produrre perché il giornalismo mi assorbì per decenni ed ora ho ripreso affrontando tele che si dipingono da sole: devi svegliarle con colpi brutali e loro ti guidano, poi ti possiedono e ciascuna comanda rivelando segni e fantasmi che poi scopro dilatando le foto. Sono opere astratte? Per lo più sì, sono astratte e non significano nulla. Chi le guarda scopre significati suoi, come accade con le macchie d’inchiostro di Rorschach. Sono molto stupito e curioso dei messaggi personali degli osservatori, mentre io riconosco a malapena i miei stati d’animo.»
Paolo Guzzanti
«La pittura astratta, avendo per sua natura rinunciato ad un fine realistico, mantiene tuttavia alcuni elementi fondanti della rappresentazione: l’armonia, il ritmo, il gusto e l’effetto. Nei quadri di Paolo Guzzanti troviamo un attento accordo cromatico in grado di evocare simmetrie dell’anima, grazie a semitoni, incastri, grumi di materia.
È come se la stratificazione del tempo vivesse una sua esistenza indipendente, con la volontà ridotta al minimo rispetto all’ispirazione. Ciò avviene poiché in questi dipinti scorre un tempo interiore ben lontano dalla brulicante vita che circonda l’Autore.
Dalle sue finestre, affacciate sul centro storico della Capitale, si esibisce un mondo di fremiti entusiasti, l’alta borghesia conduce la propria parvenza di realtà; una sensuale ragazza dagli occhi a mandorla, nel palazzo di fronte, si asciuga i capelli con un telo bianco; un giovane seminarista acquista sotto, nella sartoria ecclesiastica, la prima casula o forse l’ultima; una scolaresca di biondine americane sfiora il vicolo stonando ‘O sole mio.
Intanto, oltre quei vetri, nella casa di Paolo, l’orologio dell’arte disattende i suoi appuntamenti con la vita e il Nostro artista, puntuale con la storia, finalmente decide di perdere alcuni treni. Dipinge, stratifica, spruzza, applica dorature acriliche, compone “acrostici indolenti”, respira solventi.
Ed ecco immagini folgoranti, piene di bebop e tormento, pozze di sfumature, ombre senza corpi, celle prive di numero. Sono steli, catacombe, logge che si rivelano nascondendosi, si incupiscono, seccandosi ogni giorno di più, come a voler mantenere in quell’irrigidimento continuo un’azione autonoma.
Intorno libri, un Novecento vivisezionato in rosso e nero, gli stessi colori che affondano nelle tele, che inchiodano in reticolati drastici ogni possibile conciliazione. E magari le sue teche dipinte sono librerie dell’anima, simili a quei piccoli scaffali della memoria dove i vecchi pescatori raccoglievano i souvenir portati dal mare.
I dipinti affollano la casa, si muovono nello spazio e lo abitano, come specchi di anni complessi. Tutto appare curioso e silenzioso.
Perché sono senza cornice? Forse teche e riquadri esistono già, dentro l’opera, atte a coronare una sempre maggiore solidificazione dell’idea, entro lo straziante, eterno lirismo della tela.»
Daniele Radini Tedeschi
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