Gianfranco Baruchello e Mirella Bentivoglio. La parola e la terra

Gianfranco Baruchello e Mirella Bentivoglio. La parola e la terra

 

Dal 21 Novembre 2015 al 31 Gennaio 2016

Martina Franca | Taranto

Luogo: Palazzo Barnaba

Indirizzo: via Principe Umberto 49

Curatori: Lidia Carrieri, Anna D’Elia

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 080 4801759

E-Mail info: info@carrierinoesi.it

Sito ufficiale: http://www.carrierinoesi.it



La mostra La parola e la terra fa dialogare Gianfranco Baruchello (Livorno 1924) e Mirella Bentivoglio (Klagenfurt 1922) due artisti romani di fama internazionale la cui ricerca è iniziata negli anni Sessanta e si caratterizza per radicalità critica e sperimentazione linguistica. Ad accomunarli è un’attenzione costante alla natura e alla cultura, che prende forma nell’uno in mappe mentali e video nastri, scrittura, fotografia come terreno d’incontro tra macro e microcosmo personale, nell’altra in metafore poetiche in cui collage di parole e immagini costruiscono narrazioni destabilizzanti che capovolgono il senso noto del reale, per svelarne aspetti inediti.
Tra i lavori di Baruchello si potrà vedere uno stralcio del libro La Quindicesima Riga che, come scrive l’autore, nacque nel 1968 “dall’operazione apparentemente demente di copiare quindici quindicesime righe di quattrocento libri, tirandole poi a sorte per farne un oggetto verbale”, e una selezione dei suoi video, Il grano 1974, Ballade 1996, Retard 1996, Tic Tac 1998, montati nell’opera The Coefficient del 2011, in cui sono sintetizzati alcuni temi centrali della sua ricerca: l’indagine sul tempo, il rapporto con l’agricoltura, il giardino come piccolo sistema all’interno del quale sperimentare nuove forme di convivenza tra le diverse specie e praticare forme di coesistenza tra linguaggi e competenze, avvalendosi di modelli produttivi lontani dalle leggi del mercato e del successo.
Tra i lavori della Bentivoglio saranno esposti collages, fotografie, oggetti, documentazioni di performance e azioni poetiche realizzate nell’arco di un cinquantennio, a partire dalla fine degli Anni Sessanta.
Le opere mostrano alcuni esempi della sua sperimentazione tesa a esprimere graficamente una visione complessa del reale, in cui l’inconscio fa affiorare l’origine remota da cui sono nate le parole. In tale scenario un posto centrale hanno tutte le specie viventi. “Nel desiderio di dare linguaggio umano agli animali ho visualizzato il corpo di alcuni di essi usando le forme della scrittura”.
Interessanti i due progetti dell’Uovo Trullo, nati dall’esperienza degli Incontri di Martina Franca: sintesi di uovo e pietra, simboli di fragilità e fossilizzazione, maschile e femminile in cui l’artista sintetizza nella sua forma primigenia la sua ricerca sull’analisi-metamorfosi della parola come punto di partenza per una trasformazione culturale.
Protagonisti di primo piano della ricerca artistica delle neoavanguardie, Gianfranco Baruchello e Mirella Bentivoglio hanno mantenuto una posizione eccentrica rispetto alle mode, scelta che ha consentito loro di approfondire la critica all’arte e alla cultura di cui ribaltano contenuti, forme espressive, schemi e norme. I loro lavori intrecciano, infatti, un sapere complesso in cui psicologia del linguaggio, economia, bioetica, scienze biologiche, naturalistiche, economiche convivono con la ricerca estetica. Baruchello, ad esempio, s’interroga sulle relazioni tra arte, cibo e agricoltura. La Bentivoglio esplora i rapporti che legano le parole alle cose e le modificazioni che nel corso dei secoli ne hanno capovolto il senso e l’uso. Ad accomunarli è uno sguardo attento alla natura nei cui confronti sollecitano comportamenti più rispettosi nel riconoscimento della vita che pulsa in uomini, animali e piante.
La mostra ha inizio con la documentazione sull’azione di Mirella Bentivoglio Poesia all’albero, realizzata a Gubbio nel 1976 e poi rivisitata in occasione della suo intervento a Martina Franca nel 1979 dal titolo Ab Ovo Ab Eva in cui motivo ispiratore è il trullo pugliese. In riferimento all’azione di Gubbio, l’artista scrive: “Un albero morto venne eretto per un pomeriggio in Piazza della Signoria. Ai passanti si chiese di dedicare a questa presenza alcune parole tracciate su piccoli fogli che, ripiegati, vennero via via appesi ai rami, come foglie. In seguito, l’assemblage dei biglietti, diede luogo a una poesia collettiva, ognuna delle scritte anonime si trasformò in verso, senza che nulla venisse modificato. …Capovolto, privato del tronco, l’albero-coppa ha l’ossatura di una capanna: la capanna è l’archetipo della casa. La poesia è stata letta all’interno dell’albero rovesciato: poesia come ‘rovescio’ di morte, come ingresso nel soggetto, come abitazione viva del soggetto”.
Questa prima sezione di carattere documentario è completata da sette cartelle sull’Uovo Trullo progettato a Martina Franca nel 1979.
Scrive l’artista: “L’uovo di sassi alto più di due metri e dedicato all’adultera lapidata è stato realizzato a Gubbio nell’agosto 1976 ed è la prima opera d’ispirazione femminista che sia stata collocata in un luogo comunitario. Nella struttura vengono messi a confronto (uovo) segno di femminilità e di origine; la materia (pietra) segno di oppressione e fossilizzazione.” A proposito dell’operazione a Martina Franca, l’artista scrive: “Il mio lavoro si svolge su due fronti. Da una parte la progettazione di strutture simboliche a misura architettonica, dall’altra teatro d’artista, operazioni miste compiute con mezzi audio visuali…In comune le due espressioni hanno la destinazione pubblica, la fuga dalla galleria.”. La sezione dedicata alla Bentivoglio prosegue con le opere: Forma lenta, 1967; Trotto dattilografico, 1968; Fiore nero, 1971; Tarta/ruga, 1975; Animale/Vegetale- Unità del Cosmo, 1990.
L’incontro sulle diverse forme della natura e della cultura è il filo conduttore di questo gruppo di lavori in cui l’uovo, il fiore, la lumaca e la tartaruga sono assunti quali simboli per una rilettura di alcuni fenomeni sociali, ad esempio, nella poesia visiva “Fiore Nero” è commemorato il funerale dell’uomo di colore Donald Rick Dowell ucciso dai poliziotti, in cui il lutto e la condanna dell’odio razziale vengono evocati dalla moltiplicazione del nero (vestiti, cavalli, fiori, bara). A commento dell’opera, l’autrice scrive: “L’artificio dei protagonisti accomuna semiologicamente il nero della pelle e del lutto, e denuncia, con l’annerimento degli elementi vegetali, l’offesa recata dal razzismo alla natura. Ma il ritaglio svela nella fotografia del funerale stesso i contorni di un fiore: perciò riscontra e offre la ricostituita naturalità della sfida poetica”. 
Altro tema caro all’artista è la ridefinizione del rapporto tra vita e morte. I cicli vitali della natura e l’adozione di alcuni animali-simbolo diventano lo spunto per riflettere sulla compresenza di inizio e fine. In Tarta/ruga, la protagonista è associata con l’immortalità, il guscio infatti suggerisce all’uomo le forme della scrittura. Dice l’artista: “ho visualizzato il guscio mediante percorsi circolari di T e di A, attingendo, tra un giro di lettere e l’altro, alla R che sta al centro”. Dal mondo animale l’autrice preleva metafore e immagini poetiche atte a ribaltare convenzioni e stereotipi culturali. Nell’opera dedicata alla lumaca, al mito della velocità l’artista oppone l’elogio della lentezza, visualizzando il ritmo lento con la ripetizione in forma di spirale delle lettere che, in un percorso labirintico, ricompongono la parola Lumaca. Nell’Animale-Vegetale un piccolo uovo di pietra, incastonato all’interno di un piccolo ramo, suggella la fusione tra creazione divina e umana, auspicando un rapporto rispettoso dell’uomo nei confronti della natura, madre e figlia. L’uovo è assunto come seme, simbolo della vita che rinasce, ma anche come forma archetipica del primo abitare (uovo grembo e grembo casa) richiamando poeticamente alla cura nei confronti dei luoghi in cui nasciamo e dimoriamo.
Un secondo gruppo di lavori di Mirella Bentivoglio comprende due collages: Scritto sull’Acqua Giglio di Fuoco.
La prima opera è dedicata a John Keats ed è ispirata dall’epitaffio scritto sulla sua tomba “qui giace uno il cui nome è scritto nell’acqua” che l’artista   ricompone usando fiori come lettere.
La seconda opera è un omaggio all’Uccello di Fuoco di Igor Federovic Stravinsky, la fotografia coniuga ancora una volta natura e cultura. Il titolo della composizione musicale è, infatti, visualizzato dal collage del fiore Fuerlilie.
L’ultimo gruppo di opere comprende la documentazione dell’azione fonico-gestuale realizzata nel 1981 da Mirella Bentivoglio agli “Incontri di Martina Franca su Arte e Teatro” dal titolo La parola della parola. Le fotografie sono di Fabio Donato.
Nell’opera La corrida del 2011 l’artista mette in atto un ribaltamento del valore simbolico della corrida che viene identificata con azione, danza e colore. Le due corna rovesciate del toro suggeriscono visivamente per analogia la lettera A che non solo è la prima vocale dell’alfabeto latino, ma è la lettera iniziale dell’Aleph (alfabeto ebraico), dell’Alfa (alfabeto greco) dell’Alif(alfabeto arabo). Tutte le lingue recano omaggio alla loro comune origine nel regno animale, la cui saggezza è ciò cui l’artista guarda per instaurare con le altre specie rapporti che non siano più di sopraffazione. In stretta relazione con quest’ultima sono altri due lavori: il primo dal titolo il Cavallo parlante, del 2011, è un omaggio all’opera Il cavallo dei libri (1938) del poeta, fotografo e pittore futurista Farfa (1879-1964). Qui il cavallo morde tra i denti una lettera, che non a caso è A. Il secondo, del 2009, è ispirato dalla poesia di Pina Bocci “… questo ragno appeso sospeso a un filo d’aria azzurra”.
Questo gruppo di opere della Bentivoglio porta avanti una riflessione sul linguaggio, sull’usura delle parole che, svuotate del loro senso, possono essere causa di effetti mortiferi. La parola, però, è farmaco e veleno, perciò compito dell’artista è volgerne l’uso al meglio.
La sezione su Gianfranco Baruchello comprende la proiezione di video e la riproposizione di alcune pagine dell’esperienza letteraria intitolata “La quindicesima riga”.
Filo conduttore dell’opera The Coefficient è la complessità del tempo sulla quale il giardino consente di riflettere. La memoria di cui si fa esperienza in un giardino è, infatti, molteplice poiché in essa confluiscono i tempi diversi della cura della pianta nelle varie fasi della sua crescita a partire dalla semina fino alla fioritura, alla potatura e alla rinascita.
Sin dagli anni Novanta il giardino diventa per Baruchello metafora di un lavoro sull’immaginazione poiché implica una relazione continua tra forme di vita diverse da quella umana. Il giardino assume, perciò, il carattere di un “coefficiente” che modifica la percezione e la consapevolezza storica di se stessi e degli altri. Il giardino è pensato, dunque, come spazio politico in cui si sperimenta la coesistenza tra diverse specie, spazio che mette in relazione saperi e persone nella realizzazione del cui progetto vengono sperimentate forme di relazione tra linguaggi e competenze.
La prima parte dell’opera The Coefficient, The Garden as a joint agent, ha inizio con le immagini che mostrano l’aratura di un campo come era nel 1973, cui fanno seguito quelle di un giardino ormai cresciuto ricco d’alberi e di piante. Nella seconda sezione intitolata Memory, Baruchello ripensa il massacro nazista attraverso una visita alle Fosse Ardeatine e dallo spazio della superficie-Giardino scende sottoterra per andare a trovare la tomba di un personaggio, il pittore Umberto Scattoni, morto nel corso dell’eccidio compiuto dai tedeschi a Roma, il 24 marzo 1944.
Nella sezione Measure, l’artista si interroga se sia possibile misurare con un orologio tempi differenti del divenire (quello di un fiore che sboccia, di un frutto che matura, i tempi diversi di maturazione e fioritura di mandarini, limoni, mandorli, nespoli, etc. la vita di un albero letta dalla sua corteccia, la crescita vorticosa delle piante selvatiche e quella più lenta delle piante di un prato).
Nell’ultima sezione Tendency, un metronomo scandisce col suo ritmo lento il tempo del susseguirsi di azioni diverse (un ventilatore, il tiro con l’arco, una ruota di bicicletta, piedi nudi sui gradini di una scala, in acqua, sulla terra, piedi e mano in controluce.) sollecitando l’immaginazione con la libera associazione di frammenti visivi.
La Quindicesima Riga, quando fu realizzata nel 1968 oltre alla pubblicazione del volume (Lerici, Roma1968) comprendeva un’azione che coinvolse pubblico e scrittori. Il libro fu realizzato prelevando da 400 pagine di libri quindici quindicesime righe per un totale di 6000 righe numerate con la tabella dei Numeri Casuali e conservate in un plico. Nella seconda fase 2940 furono incollate su 98 pagine e distribuite il 27 maggio 1967 a Fano, ai partecipanti all’Incontro degli scrittori del Gruppo 63. Nella terza fase 102 fogli residui ognuno formato da trenta righe, per un totale di 3060 righe (raccolte in un secondo plico) furono pubblicati nel libro. In luogo della prefazione e della postfazione furono pubblicati i due atti notarili nei quali il notaio dichiarava di aver ricevuto i due plichi dell’azione realizzata.
Il montaggio diventa il protagonista assoluto di questa provocatoria operazione che azzera ogni attesa tradizionale legata alla pubblicazione di un libro e alla sua lettura, per spostarla su altri fattori, tra cui rilevante è la ratifica notarile dell’azione, ironica constatazione del “potere” cui ogni atto creativo è sottoposto e delle norme che abilitano l’oggetto-libro, ben oltre il suo valore contenutistico o letterario.
Anna D’Elia

Inaugurazione 21 Novembre, ore 18.

Orario
venerdì, sabato, domenica ore 18-21.

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