Arahmaiani. Politics of Disaster. Gender, Environment, Religion

Arahmaiani, Handle Without Care, 1996/1997, performance at the 2nd Asia Pacific Triennial, Queensland Gallery of Modern Art, Brisbane, Australia, 1996.

 

Dal 25 Settembre 2020 al 25 Aprile 2021

Torino

Luogo: PAV - Parco Arte Vivente

Indirizzo: via Giordano Bruno 31

Orari: venerdì ore 15-18; sabato e domenica ore 12-19

Curatori: Marco Scotini

Prolungata: fino al 25 aprile 2021

Costo del biglietto: Per partecipare alle attività è necessaria la prenotazione

Telefono per informazioni: +39 011 3182235

E-Mail info: lab@parcoartevivente.it

Sito ufficiale: http://parcoartevivente.it/



Venerdì 25 settembre 2020 il PAV Parco Arte Vivente apre al pubblico Politics of Disaster. Gender, Environment, Religion, la prima personale italiana dedicata a una delle più iconiche e riconosciute artiste indonesiane. Anticonformista, blasfema e trasgressiva: così è stata spesso definita Arahmaiani per il suo radicalismo e per la sua intromissione in tematiche ai confini del politico. L’esposizione, a cura di Marco Scotini, si concentra, dopo l’indiana Navjot Altaf, su un’altra figura chiave dal contesto asiatico, nella specifica relazione che intercorre tra sfruttamento ambientale e soggetti oppressi, le donne e le minoranze. 
 
La carriera internazionale di Arahmaiani (Bandung 1961, vive a Yogyakarta) ha avuto pionieristici riconoscimenti già negli anni ‘90: invitata da Apinan Poshyananda alla mostra seminale Tradition/Tensions, presso l’Asia Society di New York (1996), tra i 100 artisti internazionali presenti nella celebre “exhibition-in-a-book” Fresh Cream (2000), fino alla 50a Biennale di Venezia dove ha rappresentato il Padiglione dell’Indonesia (2003). Nel 2007 partecipa a Global Feminism, prima e acclamata rassegna transnazionale sul genere, al Brooklyn Museum. 
 
L’approccio di Arahmaiani al femminismo si basa su un principio oppositivo di tensione ed “equilibrio tra energia femminile e maschile”, in cui tutti gli aspetti della vita sono interconnessi. La sua trentennale ricerca affronta temi quali il genere e la religione, le lotte per la giustizia sociale e l’ecologia, come parametri fondamentali per una critica al biopotere, nella società profondamente patriarcale indonesiana. 
 
«Quello che è diventato il centro della mia attenzione sono le situazioni, le forze che “muovono” il corpo», scrive l’artista nel 1993 in rapporto alla sua attività performativa. Come sottolinea Angela Dimitrakaki, questa affermazione diventa più concreta se si considera il lavoro di Arahmaiani nel suo insieme; la sua attenzione su specifici eventi storici, sul passaggio della storia in quanto tale, è imprescindibile. Questa storia è spesso enfatizzata come una storia del “disastro” – disastro di genere, politico, ecologico, in relazione al quale (piuttosto che in conseguenza ad esso, citando Dimitrakaki) Arahmaiani crea come una “sognatrice nomade”. 
 
Fin dagli esordi, si è avvicinata alla pratica artistica orientata a un approccio performativo come una forma di attivismo politico. Viene arrestata dal regime militare a causa della sua controversa performance Independence Day (1983) ed alcune delle sue storiche esposizioni, come «Sex, Religion and Coca Cola» (1994) e «Sacred Coke» (1995), hanno causato dure reazioni, violente polemiche, perché il genere e la religione rimangono, ancora oggi, questioni tabù in un paese che ha attraversato settarismo religioso e repressione politica, fino alla caduta del regime di Suharto nel 1998. Etalase (Display Case), una vetrina che conteneva una statuetta di Budda, una Coca-Cola, il Corano e una confezione di preservativi, provocò nel ’94 l’ira dei fondamentalisti islamici tanto da costringerla a lasciare il suo paese. Altrettanto provocativo il suo dipinto Lingga-Yoni (1993) rovescia l’iconografia induista dell’emblema fallico del lingam nella potenza femminile della yoni inserendo scritte arabe, malesi e hindi come concetto di unità cosmica. O ancora nella sua performance His-Story (2000) invita il pubblico a scrivere sul suo corpo in una società in cui nella sfera pubblica gli uomini non possono toccare le donne. 
 
Dal 2010, il focus del suo lavoro si è concentrato sulle questioni ambientaliste, a partire dalla regione dell’altopiano tibetano, dove ha collaborato attivamente con una comunità di monaci buddisti e abitanti dei villaggi locali per promuovere la conservazione ambientale. Politics of Disaster si apre con questo decennale progetto partecipativo posto al centro, fisico e concettuale, dello spazio espositivo: Memory of Nature (2013 – ongoing) prendendo in prestito la forma del tempio di Borobudur a Java, è un lavoro contemplativo e meditativo, che evoca la memoria dell’universo ed enfatizza i sistemi valoriali che ci motivano a rispettare la natura.
 
La mostra procede poi a ritroso nel tempo, proponendo la documentazione di diverse performance che l’artista ha dedicato, negli ultimi trent’anni, ai temi della mercificazione del corpo della donna e della distruzione ambientale. Un corpo soggetto a processi biopolitici che sembrano non fare differenza tra sfruttamento del lavoro riproduttivo delle donne e quello delle risorse naturali, corpi che il sistema capitalista sacrifica quotidianamente in nome delle leggi dell’economia neo-liberista. Le due sale conclusive sono dedicate a due tra i suoi lavori performativi più potenti, le performance Handle Without Care (1996) e His-Story (2000). 
 
La sua pratica, vicina al movimento delle donne in Indonesia, non è certamente ascrivibile alle categorie del femminismo occidentale, troppo preoccupato per l’indipendenza e l’auto-affermazione individuale, rispetto allo stato di disuguaglianza e drammatica iniquità del ‘sud del mondo’, risultato del colonialismo e di uno squilibrato processo di modernizzazione capitalista, la sua prossimità è, piuttosto, con le posizioni del femminismo marxista: la lotta per la liberazione della donna non può che essere una lotta di classe. 
 
Il lavoro di Arahmaiani è stato ampiamente esposto in musei e biennali di tutto il mondo, dall’Asia agli Stati Uniti, in Australia e in Europa: Biennale dell’immagine in movimento, Ginevra (2003); Biennale di Gwangju (2002); Bienal de São Paulo (2002), Performance Biennale, Israele (2001); Biennale di Lione (2000); Werkleitz Biennale (2000); Bienal de la Habana (1997); Asia Pacific Triennial (1996); Yogya Biennial, (1994).
 
La mostra è realizzata con il sostegno della Compagnia di San Paolo, della Fondazione CRT, della Regione Piemonte e della Città di Torino.
 
All’interno delle iniziative previste per l’approfondimento della mostra Politics of Disaster. Gender, Environment, Religion, le Attività Educative e Formative del PAV propongono La Lingua Madre della Terra, laboratorio di scrittura con l’alfabeto della natura. L’umanità vive oggi criticità di cui l’arte contemporanea si fa testimone e, come accade al PAV, s’impegna in una visione critica ed ecologica. La difficoltà a comunicare attraverso codici condivisi che possano favorire relazioni cooperative e costruttive, ci invita a ricercare una rinnovata, reciproca, comprensione e a trovare attraverso l’empatia una possibile lingua comune. 
 
Arahmaiani con la sua ricerca ci parla di differenze sociali, culturali ed economiche diffuse a livello globale. Gli alfabeti utilizzati dall’artista, saranno utili per individuare insieme un’inedita chiave di lettura, un linguaggio che prenda a modello la natura a partire dagli elementi vegetali presenti nel parco del PAV. 
 

 

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