Avery Singer. Pictures Punish Words
Dal 12 Febbraio 2015 al 12 Aprile 2015
Torino
Luogo: Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Indirizzo: via Modane 16
Orari: giovedì 20-23 ingresso gratuito; venerdì, sabato e domenica 12-19
Curatori: Beatrix Ruf
Costo del biglietto: intero € 5, ridotto € 3
Telefono per informazioni: +39 011 3797600
E-Mail info: info@fsrr.org
Sito ufficiale: http://www.fsrr.org
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dal 12 febbraio al 12 aprile, presenta Pictures Punish Words, la prima personale in Italia di Avery Singer (New York, 1987), a cura di Beatrix Ruf (Direttore dello Stedelijk Museum di Amsterdam). Sorprendenti per tecnica e iconografia, i quadri di Avery Singer sovvertono le nostre aspettative visuali. A un primo sguardo si sottraggono a una classificazione precisa come dipinti o elaborazioni a stampa. Per questo sollevano l’interrogativo, ovvio e allo stesso tempo pressante per un’artista, sul modo in cui le informazioni digitali che ci circondano possono concretizzarsi – sotto forma di immagine piatta su carta o, più di recente, tridimensionale in plastica, o su ogni altra possibile superficie materiale.
Avery Singer ha realizzato un ciclo di opere pensate appositamente per questa sua prima personale. Dopo una prima presentazione alla Kunsthalle di Zurigo, la personale si sposta Torino, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Se da un lato l’analisi della pittura è una preoccupazione costante per Avery Singer dal 2010, l’artista sperimenta ed esplora anche metodi di elaborazione digitale delle immagini. Per i suoi soggetti trae ispirazione dall’inondazione iconografica, apparentemente infinita, di Internet. Nei suoi dipinti lavora anche su eventi e realtà della vita quotidiana e trae spesso ispirazione dalla letteratura. Con l’aiuto del programma di grafica SketchUp, utilizzato in architettura per la modellazione 3D, Avery Singer costruisce composizioni spaziali complesse, gremite di figure e oggetti astratti. Durante questo processo, i soggetti sono tradotti in forme geometriche e ridotti a semplici elementi: i capelli diventano linee a zig zag, le sopracciglia linee rette, le braccia si trasformano in blocchi e il petto femminile in un’escrescenza poligonale asimmetrica del corpo. Singer proietta questi schizzi generati al computer su una tela o su un pannello, separando una forma dall’altra con del nastro adesivo di carta, e creando superfici sulla tela con l’aerografo, in una gamma di grigi. Nel loro rifiuto del colore, queste opere si rifanno alla tradizione della grisaglia, stile pittorico diffuso soprattutto nella pittura su pannello medievale e rinascimentale, e frequentemente impiegato per ‘tradurre’ le sculture in pittura. La tecnica dell’aerografo esalta al massimo la bidimensionalità della superficie pittorica, e contrasta con la spazialità illusionistica delle composizioni di immagini: un approccio che va a toccare e sviluppare questioni legate alla storia dell’arte e alla percezione. Simili a trompe-l’oeil, queste opere di grande formato aprono spazi che invitano l’osservatore a entrare nell’immagine, o almeno a osare uno sguardo di là dalla tela, per vedere se non nasconda un altro spazio.
La bidimensionalità della tela è rotta anche dal modo in cui le opere sono presentate: lasciar fluttuare liberamente i quadri nello spazio, sospesi a sottili cavi metallici, piuttosto che appenderli a muro come da tradizione, permette all’artista di creare una costellazione spaziale all’interno della mostra per mezzo dei quadri stessi. Le caratteristiche fisiche, ma anche i temi, dei quadri di Singer contengono sempre riferimenti alla storia dell’arte, oltre che alla loro stessa genesi, cioè alle narrazioni e ai problemi connessi alla creazione di opere d’arte o immagini. Nelle sue opere si ravvisano anche allusioni a motivi e stili delle avanguardie storiche e al dibattito intorno al postmoderno. Ed emergono domande sull’impatto dei mutamenti di senso prodotti dal digitale e dal virtuale sulla sfera artistica oggi, anche e soprattutto sul mezzo pittorico. Gli emblemi delle “belle arti” si scontrano con i tropi dell’avanguardia, e motivi parodistico-autobiografici alludono continuamente ai cliché del mondo dell’arte. In tono umoristico, Avery Singer ci mostra rituali e schemi sociali, e ci fa conoscere gli stereotipi legati alle figure dell’artista, del curatore, del collezionista e del critico. In questo contesto, l’artista si appropria dei luoghi storicamente dedicati alla produzione dell’arte: lo studio, l’accademia di belle arti e lo spazio istituzionale, che nutrono il mito dell’artista e il culto del genio; come si diventa artisti? Come si crea l’arte? Il gruppo di persone rappresentato in Happening (2014) è intrappolato nell’atto del fare arte. L’istantanea che ci viene presentata in quest’opera è ispirata al genere di documentazione fotografica che Singer incontra regolarmente nel corso delle sue ricerche sull’arte performativa, ed evoca gli happening degli anni Sessanta. Anche l’opera dal titolo Director (2014) mette a tema l’attività artistica. È il ritratto di un suonatore di flauto dolce, che può anche essere considerato un artista o, come suggerisce il titolo, un direttore.
Lo strumento musicale in questione, che di solito è suonato dai bambini, fa di questo personaggio un potenziale intrattenitore e richiama la figura del musicista, ma anche del giullare, di corte. Come osserva la stessa Singer, il quadro allude anche all’idea di consapevolezza come modello costruito dal cervello: proprio come nella fiaba del pifferaio di Hamelin, la cui musica seduce i fanciulli e fa sì che lo seguano, noi, in quanto fruitori d’arte, possiamo abbandonarci alla seduzione del flautista che ci viene presentato in questo quadro. Nel quadro Gerty MacDowell’s Playbook (2014), Avery Singer collega l’opera performativa Seedbed (1972) di Vito Acconci con una scena dell’Ulisse di James Joyce (1922). L’opera ci mostra una donna inginocchiata su una struttura simile a un tavolo, mentre si piega in avanti con una gamba e un braccio alzati. Nello spazio sotto di lei vediamo un’altra figura che, con lo sguardo rivolto all’osservatore, si sta masturbando. La rappresentazione si ricollega a una scena del romanzo di Joyce in cui il protagonista, Leopold Bloom, si masturba sulla spiaggia mentre Gerty MacDowell, distesa a prendere il sole, gli mostra la sua biancheria intima. Anche la struttura su cui i due personaggi sono presentati fa riferimento al doppio pavimento in legno che Acconci costruì per la sua performance Seedbed presso la Sonnabend Gallery nel 1972, in cui era disteso sotto una rampa di legno e si masturbava fantasticando sui visitatori che gli camminavano sopra. Tramite il tema della masturbazione maschile, l’artista crea un collegamento fra le ambientazioni, legate all’avanguardia letteraria e alla storia dell’arte, di queste opere distanti nel tempo e nello spazio (e apparentemente irrelate), per ricavarne un’immagine nuova. Il ricordo fantasioso del primo viaggio di Singer in Svizzera fa da sfondo all’opera Heidiland (2014). Traboccante di impressioni ‘esotiche’ sulle montagne, i diversi dialetti e la leggendaria Street Parade di Zurigo, l’artista catapulta l’eroina Heidi, creata da Johanna Spyri nel 1880, nel presente e le fa vestire i panni di una raver svizzera con tanto di ciuccio, allusione alla scena tecno degli anni Novanta. Parodiando il motivo della toilette femminile, sempre in tema di storia dell’arte, Avery Singer acconcia la capigliatura della sua raver in modo che i riccioli le ricadano sull’impertinente seno nudo – insomma, una Heidi cresciuta, venuta dal ‘nuovo’ mondo.
Avery Singer ha realizzato un ciclo di opere pensate appositamente per questa sua prima personale. Dopo una prima presentazione alla Kunsthalle di Zurigo, la personale si sposta Torino, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Se da un lato l’analisi della pittura è una preoccupazione costante per Avery Singer dal 2010, l’artista sperimenta ed esplora anche metodi di elaborazione digitale delle immagini. Per i suoi soggetti trae ispirazione dall’inondazione iconografica, apparentemente infinita, di Internet. Nei suoi dipinti lavora anche su eventi e realtà della vita quotidiana e trae spesso ispirazione dalla letteratura. Con l’aiuto del programma di grafica SketchUp, utilizzato in architettura per la modellazione 3D, Avery Singer costruisce composizioni spaziali complesse, gremite di figure e oggetti astratti. Durante questo processo, i soggetti sono tradotti in forme geometriche e ridotti a semplici elementi: i capelli diventano linee a zig zag, le sopracciglia linee rette, le braccia si trasformano in blocchi e il petto femminile in un’escrescenza poligonale asimmetrica del corpo. Singer proietta questi schizzi generati al computer su una tela o su un pannello, separando una forma dall’altra con del nastro adesivo di carta, e creando superfici sulla tela con l’aerografo, in una gamma di grigi. Nel loro rifiuto del colore, queste opere si rifanno alla tradizione della grisaglia, stile pittorico diffuso soprattutto nella pittura su pannello medievale e rinascimentale, e frequentemente impiegato per ‘tradurre’ le sculture in pittura. La tecnica dell’aerografo esalta al massimo la bidimensionalità della superficie pittorica, e contrasta con la spazialità illusionistica delle composizioni di immagini: un approccio che va a toccare e sviluppare questioni legate alla storia dell’arte e alla percezione. Simili a trompe-l’oeil, queste opere di grande formato aprono spazi che invitano l’osservatore a entrare nell’immagine, o almeno a osare uno sguardo di là dalla tela, per vedere se non nasconda un altro spazio.
La bidimensionalità della tela è rotta anche dal modo in cui le opere sono presentate: lasciar fluttuare liberamente i quadri nello spazio, sospesi a sottili cavi metallici, piuttosto che appenderli a muro come da tradizione, permette all’artista di creare una costellazione spaziale all’interno della mostra per mezzo dei quadri stessi. Le caratteristiche fisiche, ma anche i temi, dei quadri di Singer contengono sempre riferimenti alla storia dell’arte, oltre che alla loro stessa genesi, cioè alle narrazioni e ai problemi connessi alla creazione di opere d’arte o immagini. Nelle sue opere si ravvisano anche allusioni a motivi e stili delle avanguardie storiche e al dibattito intorno al postmoderno. Ed emergono domande sull’impatto dei mutamenti di senso prodotti dal digitale e dal virtuale sulla sfera artistica oggi, anche e soprattutto sul mezzo pittorico. Gli emblemi delle “belle arti” si scontrano con i tropi dell’avanguardia, e motivi parodistico-autobiografici alludono continuamente ai cliché del mondo dell’arte. In tono umoristico, Avery Singer ci mostra rituali e schemi sociali, e ci fa conoscere gli stereotipi legati alle figure dell’artista, del curatore, del collezionista e del critico. In questo contesto, l’artista si appropria dei luoghi storicamente dedicati alla produzione dell’arte: lo studio, l’accademia di belle arti e lo spazio istituzionale, che nutrono il mito dell’artista e il culto del genio; come si diventa artisti? Come si crea l’arte? Il gruppo di persone rappresentato in Happening (2014) è intrappolato nell’atto del fare arte. L’istantanea che ci viene presentata in quest’opera è ispirata al genere di documentazione fotografica che Singer incontra regolarmente nel corso delle sue ricerche sull’arte performativa, ed evoca gli happening degli anni Sessanta. Anche l’opera dal titolo Director (2014) mette a tema l’attività artistica. È il ritratto di un suonatore di flauto dolce, che può anche essere considerato un artista o, come suggerisce il titolo, un direttore.
Lo strumento musicale in questione, che di solito è suonato dai bambini, fa di questo personaggio un potenziale intrattenitore e richiama la figura del musicista, ma anche del giullare, di corte. Come osserva la stessa Singer, il quadro allude anche all’idea di consapevolezza come modello costruito dal cervello: proprio come nella fiaba del pifferaio di Hamelin, la cui musica seduce i fanciulli e fa sì che lo seguano, noi, in quanto fruitori d’arte, possiamo abbandonarci alla seduzione del flautista che ci viene presentato in questo quadro. Nel quadro Gerty MacDowell’s Playbook (2014), Avery Singer collega l’opera performativa Seedbed (1972) di Vito Acconci con una scena dell’Ulisse di James Joyce (1922). L’opera ci mostra una donna inginocchiata su una struttura simile a un tavolo, mentre si piega in avanti con una gamba e un braccio alzati. Nello spazio sotto di lei vediamo un’altra figura che, con lo sguardo rivolto all’osservatore, si sta masturbando. La rappresentazione si ricollega a una scena del romanzo di Joyce in cui il protagonista, Leopold Bloom, si masturba sulla spiaggia mentre Gerty MacDowell, distesa a prendere il sole, gli mostra la sua biancheria intima. Anche la struttura su cui i due personaggi sono presentati fa riferimento al doppio pavimento in legno che Acconci costruì per la sua performance Seedbed presso la Sonnabend Gallery nel 1972, in cui era disteso sotto una rampa di legno e si masturbava fantasticando sui visitatori che gli camminavano sopra. Tramite il tema della masturbazione maschile, l’artista crea un collegamento fra le ambientazioni, legate all’avanguardia letteraria e alla storia dell’arte, di queste opere distanti nel tempo e nello spazio (e apparentemente irrelate), per ricavarne un’immagine nuova. Il ricordo fantasioso del primo viaggio di Singer in Svizzera fa da sfondo all’opera Heidiland (2014). Traboccante di impressioni ‘esotiche’ sulle montagne, i diversi dialetti e la leggendaria Street Parade di Zurigo, l’artista catapulta l’eroina Heidi, creata da Johanna Spyri nel 1880, nel presente e le fa vestire i panni di una raver svizzera con tanto di ciuccio, allusione alla scena tecno degli anni Novanta. Parodiando il motivo della toilette femminile, sempre in tema di storia dell’arte, Avery Singer acconcia la capigliatura della sua raver in modo che i riccioli le ricadano sull’impertinente seno nudo – insomma, una Heidi cresciuta, venuta dal ‘nuovo’ mondo.
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