I COLORI DELLA SERENISSIMA. Pittura veneta del Settecento in Trentino
Dal 02 Luglio 2022 al 23 Ottobre 2022
Trento
Luogo: Castello del Buonconsiglio
Indirizzo: Via Bernardo Clesio 5
Orari: 10.00 - 18.00, tutti i giorni escluso i lunedì non festivi
Curatori: Denis Ton, Andrea Tomezzoli
Telefono per informazioni: +39 0461 233770
E-Mail info: info@buonconsiglio.it
Sito ufficiale: http://www.buonconsiglio.it
E’ una mostra di intense emozioni quella che il Castello del Buonconsiglio annuncia per la prossima stagione estiva. I fantastici colori, le invenzioni, le grandi storie del più sontuoso Settecento veneziano brilleranno nei saloni del Magno Palazzo dei Principi Vescovi di Trento.
Non solo per conquistare con la loro bellezza ma per documentare, per la prima volta in modo realmente ampio, l’influsso dell’arte veneziana nella vallate del Trentino. Settanta opere, molte di grandi dimensioni, che arriveranno (alcune torneranno) a Trento da musei e collezioni europee e statunitensi. Sono dipinti che ornavano palazzi e chiese di queste vallate e che tempo, guerre, vicende familiari hanno disperso.
Con tenacia i curatori hanno inseguito le loro tracce, scovandole infine in musei o sul mercato antiquario internazionale, riuscendo a riunirle e, in alcuni casi, a ricomporle, in una esposizione dove ricerca scientifica e spettacolarità esprimono un perfetto connubio.
“La mostra – annuncia il Direttore del Buonconsiglio, Laura Dal Prà – vuole fornire un quadro delle presenze di artisti e di opere di maestri veneti nei territori del Principe Vescovo o del Tirolo meridionale tra la fine del Seicento e il Settecento, rivelando un’intensità di scambi che si possono ben comprendere per motivazioni storiche, per ragioni di gusto, per gli interessi e la formazione culturale dei committenti, per le relazioni che le comunità locali hanno intrattenuto con i principali centri della Repubblica di Venezia. La vicinanza ai territori della Serenissima ha inevitabilmente condotto a una serie di strettissimi legami, secondo ‘rotte’ percorse in una duplice direzione: da un lato con l’arrivo di opere d’arte inviate da Venezia o con la presenza di artisti veneti in Trentino; dall’altra con soggiorni di formazione di pittori del Principato Vescovile nei due centri principali della Repubblica Veneta, ovvero la capitale e Verona. È, infatti, rilevante il potere attrattivo esercitato lungo tutto il secolo dalla Scuola Veronese, che nel 1764 si organizzò in una vera e propria Accademia di pittura, riconosciuta ufficialmente e guidata dalla autorevole personalità di Giambettino Cignaroli. Ma molteplici sono i fattori che hanno contribuito a corroborare questi scambi, determinando una situazione quanto mai complessa e stratificata. Diversi territorio del Principato trentino erano, ad esempio, soggetti all’autorità religiosa dei vescovi veneti, senza tralasciare che dal Trentino si trasferirono a Venezia intere comunità, poi gli interessi in area trentina di alcune importanti famiglie, i Giovanelli in particolare, infeudati in Valsugana a partire dal 1662. Un contesto che ha trasformato il Principato vescovile e il suo territorio in un crocevia di esperienze che ne hanno marcato il clima artistico, facendolo diventare fertile terreno di confronto e di crescita, anche per gli artisti locali”.
“La mostra costituisce l’occasione per allargare lo sguardo e annodare fra loro con un filo rosso le opere sul territorio di artisti come Fontebasso o Giambattista Pittoni e Gaspare Diziani”, sottolinea Denis Ton. “Su tutti prende rilievo la presenza di Antonio e Francesco Guardi, indiscussi protagonisti della stagione pittorica tardo-settecentesca veneziana, ma con le proprie radici familiari in Val di Sole, dove torneranno più volte”. La mostra è curata da Andrea Tomezzoli (Università degli Studi di Padova) e Denis Ton (Castello del Buonconsiglio).
Tra Nord e Sud, al centro di influenze culturali, economiche e artistiche differenti, il Principato vescovile di Trento ha svolto per secoli un ruolo di ‘cerniera’ tra il mondo italiano e quello tedesco, cui, istituzionalmente, fece parte, in quanto lembo meridionale del Sacro Romano Impero, confederato alla provincia asburgica del Tirolo. Questo ha naturalmente determinato un linguaggio artistico composito, multiforme, influenzato da esperienze artistiche diverse. Tra le presenze più importanti spicca indubbiamente la pittura veneta che fu sempre tra le maggiormente apprezzate non solo nel Principato, ma anche più in generale in Tirolo e in tutta la confederazione imperiale.
La mostra, in particolare, intende fornire un quadro delle presenze di artisti e di opere di maestri veneti nei territori del Principe Vescovo o del Tirolo meridionale tra la fine del Seicento e il Settecento, rivelando un’intensità di scambi che si possono ben comprendere per motivazioni storiche, per ragioni di gusto, per gli interessi e la formazione culturale dei committenti, per le relazioni che le comunità locali hanno intrattenuto con i principali centri della Repubblica di Venezia.
L’esposizione, che valorizzerà molte opere già presenti nel territorio e la stessa committenza vescovile per la decorazione del Castello del Buonconsiglio, potrebbe costituire la prima tappa di una progressiva messa a fuoco delle componenti della cultura figurativa trentina nelle terre del Principato vescovile durante l’epoca barocca.
La vicinanza ai territori della Serenissima ha inevitabilmente condotto a una serie di strettissimi legami, secondo ‘rotte’ percorse in una duplice direzione: da un lato con l’arrivo di opere d’arte inviate da Venezia o con la presenza di artisti veneti in Trentino; dall’altra con soggiorni di formazione di pittori del Principato Vescovile nei due centri principali della Repubblica Veneta: oltre alla capitale, anche Verona. Non si dimentichi, infatti, il forte potere attrattivo esercitato lungo tutto il secolo dalla Scuola Veronese, che nel 1764 si organizzò in una vera e propria Accademia di pittura, riconosciuta ufficialmente e guidata dalla autorevole personalità di Giambettino Cignaroli. Ma molteplici sono i fattori che hanno contribuito a corroborare tali scambi, determinando una situazione quanto mai complessa e stratificata: l’appartenenza dei Quattro Vicariati (Ala, Avio, Brentonico e Mori) alla diocesi di Verona, perlomeno fino al nono decennio del secolo; e in parallelo l’estensione del potere spirituale del vescovo di Feltre sulla Valsugana; il trasferimento a Venezia di intere comunità che mantennero un forte legame con la terra d’origine (ben studiato, per esempio, il caso dei migranti dalle Giudicarie); gli interessi in area trentina di alcune importanti famiglie, i Giovanelli in particolare, infeudati in Valsugana a partire dal 1662. Tale contesto ha trasformato il Principato vescovile e il suo territorio in un crocevia di esperienze che ne hanno marcato il clima artistico, facendolo diventare fertile terreno di confronto e di crescita, anche per gli artisti locali.
Il progetto di questa mostra intende mettere a fuoco, prima di tutto, il cantiere della Santissima Annunziata con gli affreschi di Francesco Fontebasso. Non particolarmente apprezzata da Antonio Morassi in un pionieristico articolo del 1931, l’impresa va invece considerata – d’accordo con Nicolò Rasmo (1976) – un frutto già pienamente maturo e punto di riferimento imprescindibile per tutta la produzione giovanile dell’artista. Nonostante i gravi danni subiti durante la seconda guerra mondiale, le foto storiche e quanto ancora sopravvive attestano un completo dominio dello spazio da parte del pittore, oltre a una irresistibile vocazione alla vivacità cromatica, enfatizzata da cangiantismi e da una pittura di tocco e sfrangiata.
Rimangono ancora da chiarire le modalità della commissione e l’identità dell’intermediario tra l’artista e la potente confraternita trentina: incontro che diede forma a uno straordinario ambiente, dove gli affreschi di Fontebasso ancora dialogano con gli altari di Cristoforo e Teodoro Benedetti.
Specifica attenzione verrà riservata anche alla ricostruzione della fisionomia intellettuale e dei gusti artistici del principe vescovo Francesco Felice Alberti d’Enno, committente ancora una volta di Fontebasso, nel 1759, del grande ciclo di soggetto biblico per il Castello del Buonconsiglio: silloge che verrà per la prima volta integrata dai bozzetti preparatori emersi di recente nel collezionismo privato.
La mostra costituisce l’occasione per allargare lo sguardo e annodare fra loro con un filo rosso le opere sul territorio dello stesso Fontebasso, ma anche di Giambattista Pittoni e Gaspare Diziani. Su tutti prende rilievo la presenza di Antonio e Francesco Guardi, indiscussi protagonisti della stagione pittorica tardo-settecentesca veneziana, ma con le proprie radici familiari in Val di Sole, dove torneranno più volte.
D’altro canto, il versante veronese permette di mettere a fuoco perlomeno due episodi particolarmente interessanti di collezionismo privato: il primo legato alla figura eccentrica di Simone Brentana – che negli anni Trenta del Settecento esegue un ciclo di cinque tele fino a tempi recenti rimaste nella raccolta trentina dei De’ Negri di Sampietro – il secondo che vede come protagonista Giambettino Cignaroli, autore di una Susanna e i vecchioni commissionata dalla famiglia Bortolazzi.
SEZIONI
1. ANTEFATTI
Quale premessa all’articolazione della rassegna espositiva, la prima sezione convoca in mostra alcuni dipinti di altissima qualità, che documentano la stagione della pittura del Seicento barocco in Trentino nelle sue diverse declinazioni: le tele sono frutto del pennello di artisti veneziani o, seppur nati fuori dai confini della Serenissima, di pittori considerati di fatto assimilati e protagonisti della stagione pittorica veneziana. Questa sezione costituisce anche una sorta di ‘anticipazione’ di temi che affioreranno lungo tutto il percorso espositivo, caratterizzati dall’invio nella terra d’origine di opere d’arte da parte di singoli mercanti o di intere comunità trentine residenti a Venezia. Nell’arco di circa cinquant’anni – grosso modo tra il 1640 e il 1690 – i territori soggetti al principato vescovile vedranno arricchire le proprie chiese con una molteplicità di ‘parlate’ pittoriche: le esplosioni cromatiche di Bernardo Strozzi (Tiarno di Sopra) e Sebastiano Mazzoni (Daone); la lezione chiaroscurale e ‘tenebrosa’ di Johann Carl Loth, ricercato tanto in provincia (Storo) quanto da prestigiose committenze vescovili (la decorazione della cappella del Crocifisso nella Cattedrale, per la quale saranno convocati i due modelli preparatori oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze).
2. GLI ANNI TRENTA. DORIGNY AL DUOMO E FONTEBASSO NELLA CHIESA DELL’ANNUNZIATA
Un momento “forte” dei rapporti tra il Principato Vescovile e la Serenissima è rappresentato nel quarto decennio da due importanti cantieri. Il primo riguarda gli affreschi del duomo, grandiosa impresa eseguita dal 1732 al 1735 dell’ormai ottantenne Louis Dorigny (1654-1742). L’opera è andata distrutta, ma alcuni “testimoni” ci permettono di ricostruirla virtualmente: non solo i pochi lacerti sopravvissuti, ma anche i due disegni del pittore francese che si conservano nelle collezioni del Castello del Buonconsiglio, insieme alle fotografie storiche e alla litografia di Basilio Armani del 1845.
Sorte di poco migliore toccò al secondo importante ciclo, quello realizzato nel 1736 da Francesco Fontebasso (1707-1769) su soffitto e lunette della chiesa della Santissima Annunziata, che risultò gravemente danneggiato nel secondo conflitto mondiale. Ma la felicità cromatica e la freschezza esecutiva di quegli affreschi, oggi compromesse, saranno pienamente restituite dal modelletto per una delle scene parietali, quella con l’Adorazione dei pastori, ora conservato al National Museum of Art di Tokyo e che tornerà per la prima volta in Europa. Ogni sforzo sarà inoltre compiuto per recuperare il modelletto gemello, raffigurante la Presentazione al tempio, che Nicolò Rasmo aveva pubblicato nel 1976, dicendolo in collezione privata americana.
Egualmente agli anni Trenta spettano la maggior parte delle tele di Fontebasso, di soggetto sacro, conservate oggi nel Museo Diocesano di Trento e che potrebbero rappresentare una prima commissione legata agli incarichi vescovili.
3. UN CICLO DI TELE PER COLLEZIONISTI COLTI
Un ciclo di cinque tele di uguali misure, riapparso nel 2005 sul mercato antiquario apre una finestra sul collezionismo privato, considerando la loro provenienza dalla raccolta De’ Negri di Sampietro – una famiglia trentina della piccola nobiltà notarile – dove si era conservato fino a qualche anno prima, probabilmente insieme ad altri dipinti veneti: si tratta di opere di Simone Brentana (1656-1742), ben noto pittore che, veneziano di origine e formazione, dalla fine del Seicento era diventato uno dei protagonisti indiscussi della scena artistica veronese insieme ad Antonio Balestra e a Louis Dorigny. I dipinti convocati in mostra, particolarmente suggestivi per i colori brillanti stesi a larghe campiture piatte, si impongono anche per la singolarità dei soggetti, finora identificati in Apelle e Alessandro, Esaù e Giacobbe, Giuseppe spiega i sogni al faraone, Dionigi di Siracusa con le figlie, Storia di Belisario, ma sui quali è indispensabile ancora riflettere, alla ricerca di un eventuale programma iconografico unitario e coerente. E se l’autore qui non fa che confermare il suo carattere istrionico e anticonvenzionale, il cospicuo numero complessivo delle tele non può non fornire qualche indizio sui gusti del committente, che merita di essere identificato nello specifico e di essere messo compiutamente a fuoco. Alcune semplificazioni e geometrizzazioni nella forma autorizza a collocare l’intero ciclo non prima degli anni Trenta, in un momento, cioè, particolarmente vivace della cultura figurativa trentina.
4. PITTURA DEVOZIONALE PER LA CAPITALE E IL TERRITORIO
A Venezia si guardò anche per la decorazione di alcuni importanti altari nelle chiese del territorio. Talvolta, furono commissioni prestigiose, come quella legata alla corona spagnola e agli Asburgo, che favorì la chiamata, proprio al principio del secolo, di Paolo Pagani (1655-1716) per la chiesa dei Cappuccini a Chiusa d’Isarco, un artista lombardo di nascita ma veneziano di formazione, decisivo per l’evoluzione della pittura del Settecento. Talaltra, i legami tra i nobili infeudati nel territorio, come dimostra la forte concentrazioni di opere venete nella Valsugana dei Giovanelli. Tra questi, il San Matteo e l’angelo della parrocchiale di Borgo Valsugana, è un autentico capolavoro, quasi un ‘manifesto’, di uno dei maestri indiscussi del gusto rococò in laguna, Giambattista Pittoni (1687-1767). La pala, ancora oggi sull’altare dei Giovanelli, costituirà l’occasione per riflettere sull’importante ruolo mecenatistico che la famiglia di lontana origine bergamasca ebbe in Valsugana, favorendo peraltro la presenza di un altro artista veneto, strettamente legato all’arte del suo maestro Sebastiano Ricci, Gaspare Diziani (1689-1767) autore di una spettacolare pala d’altare per Novaledo.
5. L’ATTIVITÀ DI ANTONIO (1699-1760) E FRANCESCO (1712-1793) GUARDI
Il rapporto privilegiato della famiglia Guardi con la terra d’origine – la famiglia proveniva infatti da Mastellina, in Val di Sole – è documentato da un nucleo importante di dipinti che in mostra si intende rappresentare prima di tutto attraverso la pala proveniente dalla parrocchiale di Vigo di Ton: un esplicito omaggio del suo autore alla tela di Francesco Solimena già in palazzo Widmann a Venezia (ora a Dresda, Gemäldegalerie), da cui trae diretta ispirazione. Uno dei principali punti di interesse della rassegna si ritiene possa essere la Sacra Famiglia che Antonio Guardi ha dipinto nella prima metà del quinto decennio per la chiesa dell’Immacolata a Strigno ed ‘emigrata’ al Museum of Art di Toledo, ispirata alla Sacra Famiglia di Andrea Pozzo originariamente nella chiesa delle Laste a Trento: non esposta neppure nella mostra monografica trentina del 2012, essa ritorna per la prima volta in Italia
6. 1759: FRANCESCO FONTEBASSO PER IL CASTELLO DEL BUONCONSIGLIO
Al principe vescovo Francesco Felice Alberti d’Enno è legato lo spettacolare ciclo di diciannove tele di soggetto vetero-testamentario che Francesco Fontebasso eseguì nel 1759, destinate, come documentato dalle fonti, alla Sala Grande e alla Sala superiore del torrione. Obiettivo della mostra non è soltanto quello di riunire le tele superstiti del ciclo – attualmente divise tra Castello del Buonconsiglio, Villa Margone a Trento e, forse, Castello Sforzesco di Milano – ma anche i relativi modelletti preparatori: tre oggi nelle stesse Raccolte Provinciali, uno in collezione privata veneziana e altri quattro sul mercato antiquario genovese. Il confronto tra bozzetti e opere finite consentirà sia di integrare visivamente i soggetti, così da facilitare un’analisi del programma iconografico, sia di valutare le differenze tra fase progettuale e momento esecutivo.
7. IL PIENO SETTECENTO, TRA ‘CLASSICISMO’ VERONESE E COLORE VENEZIANO
In seno ai rapporti artistici tra la Serenissima e i territori del principe vescovo di Trento assumono un ruolo qualificante – con caratteri ben specifici che connotano una vera e propria scuola – le presenze veronesi. A consolidare un dialogo iniziato ben lontano nel tempo, questa sezione della mostra si apre con due importanti dipinti allegorici inviati nel 1698 da Antonio Balestra (1666-1740) e Alessandro Marchesini (1663-1738) al Magistrato Mercantile di Bolzano, porta di accesso ai mercati del nord. A farla da padrone si rivela però Giambettino Cignaroli (1706-1770), non solo con le pale – sempre di altissima tenuta formale, come il Martirio di sant’Andrea per la parrocchiale di Torbole (1742), che si intende portare in mostra – ma anche con un episodio di committenza privata: quello dei Bortolazzi, conti del Sacro Romano Impero, oggi documentato perlomeno dalla Susanna e i vecchioni (1756), tela confluita nelle raccolte del Castello del Buonconsiglio. Il prestito di due superbi capolavori di Cignaroli dallo Szépmüvészeti Múzeum di Budapest (1762-1764), permette di testimoniare da un lato l’affacciarsi di tematiche eroiche dalla forte impronta morale (Morte di Catone, Morte di Seneca), dall’altro il raggio d’azione internazionale di un committente del calibro di Carlo Firmian che, trentino di nascita, diventa il ministro plenipotenziario di Maria Teresa per la Lombardia austriaca.
8. FRANCESCO GUARDI: ULTIMO ATTO
Con la Santissima Trinità e i santi Pietro e Paolo per Roncegno si consuma l’ultimo atto della presenza di Francesco Guardi in Trentino, nel 1775. La commissione è ancora una volta particolarmente significativa, promossa dai Giovanelli per l’altare maggiore eretto da Tommaso Temanza. In realtà, un viaggio di Francesco, tre anni dopo, per curare gli affari di famiglia in Val di Sole, lascia traccia in una serie suggestiva di grandi disegni, attualmente in collezioni pubbliche e private (Ginevra, collezione Jean Bonna; New York, The Morgan Library and Museum). I fogli esposti in questa sezione sono importanti perché da un lato certificano l’interesse dell’artista nell’appuntarsi nella memoria i tratti dei paesaggi della propria storia familiare; ma nel contempo la sua irresistibile vocazione a trasfigurare il dato topografico secondo le regole interne della fantasia e dell’autonomia artistica. Risultato: autentiche poesie, intrise di profondo lirismo, per le quali basta un segno fratto di penna o una velatura trasparente di acquerello per evocare forme e atmosfere di Levico, Borgo Valsugana, Castel Telvana. Il viaggio attraverso la valle che conduce alla Serenissima, si conclude poi con uno straordinario dipinto rappresentante L’albero genealogico della famiglia Giovanelli, sullo sfondo di una veduta di Venezia.
Non solo per conquistare con la loro bellezza ma per documentare, per la prima volta in modo realmente ampio, l’influsso dell’arte veneziana nella vallate del Trentino. Settanta opere, molte di grandi dimensioni, che arriveranno (alcune torneranno) a Trento da musei e collezioni europee e statunitensi. Sono dipinti che ornavano palazzi e chiese di queste vallate e che tempo, guerre, vicende familiari hanno disperso.
Con tenacia i curatori hanno inseguito le loro tracce, scovandole infine in musei o sul mercato antiquario internazionale, riuscendo a riunirle e, in alcuni casi, a ricomporle, in una esposizione dove ricerca scientifica e spettacolarità esprimono un perfetto connubio.
“La mostra – annuncia il Direttore del Buonconsiglio, Laura Dal Prà – vuole fornire un quadro delle presenze di artisti e di opere di maestri veneti nei territori del Principe Vescovo o del Tirolo meridionale tra la fine del Seicento e il Settecento, rivelando un’intensità di scambi che si possono ben comprendere per motivazioni storiche, per ragioni di gusto, per gli interessi e la formazione culturale dei committenti, per le relazioni che le comunità locali hanno intrattenuto con i principali centri della Repubblica di Venezia. La vicinanza ai territori della Serenissima ha inevitabilmente condotto a una serie di strettissimi legami, secondo ‘rotte’ percorse in una duplice direzione: da un lato con l’arrivo di opere d’arte inviate da Venezia o con la presenza di artisti veneti in Trentino; dall’altra con soggiorni di formazione di pittori del Principato Vescovile nei due centri principali della Repubblica Veneta, ovvero la capitale e Verona. È, infatti, rilevante il potere attrattivo esercitato lungo tutto il secolo dalla Scuola Veronese, che nel 1764 si organizzò in una vera e propria Accademia di pittura, riconosciuta ufficialmente e guidata dalla autorevole personalità di Giambettino Cignaroli. Ma molteplici sono i fattori che hanno contribuito a corroborare questi scambi, determinando una situazione quanto mai complessa e stratificata. Diversi territorio del Principato trentino erano, ad esempio, soggetti all’autorità religiosa dei vescovi veneti, senza tralasciare che dal Trentino si trasferirono a Venezia intere comunità, poi gli interessi in area trentina di alcune importanti famiglie, i Giovanelli in particolare, infeudati in Valsugana a partire dal 1662. Un contesto che ha trasformato il Principato vescovile e il suo territorio in un crocevia di esperienze che ne hanno marcato il clima artistico, facendolo diventare fertile terreno di confronto e di crescita, anche per gli artisti locali”.
“La mostra costituisce l’occasione per allargare lo sguardo e annodare fra loro con un filo rosso le opere sul territorio di artisti come Fontebasso o Giambattista Pittoni e Gaspare Diziani”, sottolinea Denis Ton. “Su tutti prende rilievo la presenza di Antonio e Francesco Guardi, indiscussi protagonisti della stagione pittorica tardo-settecentesca veneziana, ma con le proprie radici familiari in Val di Sole, dove torneranno più volte”. La mostra è curata da Andrea Tomezzoli (Università degli Studi di Padova) e Denis Ton (Castello del Buonconsiglio).
Tra Nord e Sud, al centro di influenze culturali, economiche e artistiche differenti, il Principato vescovile di Trento ha svolto per secoli un ruolo di ‘cerniera’ tra il mondo italiano e quello tedesco, cui, istituzionalmente, fece parte, in quanto lembo meridionale del Sacro Romano Impero, confederato alla provincia asburgica del Tirolo. Questo ha naturalmente determinato un linguaggio artistico composito, multiforme, influenzato da esperienze artistiche diverse. Tra le presenze più importanti spicca indubbiamente la pittura veneta che fu sempre tra le maggiormente apprezzate non solo nel Principato, ma anche più in generale in Tirolo e in tutta la confederazione imperiale.
La mostra, in particolare, intende fornire un quadro delle presenze di artisti e di opere di maestri veneti nei territori del Principe Vescovo o del Tirolo meridionale tra la fine del Seicento e il Settecento, rivelando un’intensità di scambi che si possono ben comprendere per motivazioni storiche, per ragioni di gusto, per gli interessi e la formazione culturale dei committenti, per le relazioni che le comunità locali hanno intrattenuto con i principali centri della Repubblica di Venezia.
L’esposizione, che valorizzerà molte opere già presenti nel territorio e la stessa committenza vescovile per la decorazione del Castello del Buonconsiglio, potrebbe costituire la prima tappa di una progressiva messa a fuoco delle componenti della cultura figurativa trentina nelle terre del Principato vescovile durante l’epoca barocca.
La vicinanza ai territori della Serenissima ha inevitabilmente condotto a una serie di strettissimi legami, secondo ‘rotte’ percorse in una duplice direzione: da un lato con l’arrivo di opere d’arte inviate da Venezia o con la presenza di artisti veneti in Trentino; dall’altra con soggiorni di formazione di pittori del Principato Vescovile nei due centri principali della Repubblica Veneta: oltre alla capitale, anche Verona. Non si dimentichi, infatti, il forte potere attrattivo esercitato lungo tutto il secolo dalla Scuola Veronese, che nel 1764 si organizzò in una vera e propria Accademia di pittura, riconosciuta ufficialmente e guidata dalla autorevole personalità di Giambettino Cignaroli. Ma molteplici sono i fattori che hanno contribuito a corroborare tali scambi, determinando una situazione quanto mai complessa e stratificata: l’appartenenza dei Quattro Vicariati (Ala, Avio, Brentonico e Mori) alla diocesi di Verona, perlomeno fino al nono decennio del secolo; e in parallelo l’estensione del potere spirituale del vescovo di Feltre sulla Valsugana; il trasferimento a Venezia di intere comunità che mantennero un forte legame con la terra d’origine (ben studiato, per esempio, il caso dei migranti dalle Giudicarie); gli interessi in area trentina di alcune importanti famiglie, i Giovanelli in particolare, infeudati in Valsugana a partire dal 1662. Tale contesto ha trasformato il Principato vescovile e il suo territorio in un crocevia di esperienze che ne hanno marcato il clima artistico, facendolo diventare fertile terreno di confronto e di crescita, anche per gli artisti locali.
Il progetto di questa mostra intende mettere a fuoco, prima di tutto, il cantiere della Santissima Annunziata con gli affreschi di Francesco Fontebasso. Non particolarmente apprezzata da Antonio Morassi in un pionieristico articolo del 1931, l’impresa va invece considerata – d’accordo con Nicolò Rasmo (1976) – un frutto già pienamente maturo e punto di riferimento imprescindibile per tutta la produzione giovanile dell’artista. Nonostante i gravi danni subiti durante la seconda guerra mondiale, le foto storiche e quanto ancora sopravvive attestano un completo dominio dello spazio da parte del pittore, oltre a una irresistibile vocazione alla vivacità cromatica, enfatizzata da cangiantismi e da una pittura di tocco e sfrangiata.
Rimangono ancora da chiarire le modalità della commissione e l’identità dell’intermediario tra l’artista e la potente confraternita trentina: incontro che diede forma a uno straordinario ambiente, dove gli affreschi di Fontebasso ancora dialogano con gli altari di Cristoforo e Teodoro Benedetti.
Specifica attenzione verrà riservata anche alla ricostruzione della fisionomia intellettuale e dei gusti artistici del principe vescovo Francesco Felice Alberti d’Enno, committente ancora una volta di Fontebasso, nel 1759, del grande ciclo di soggetto biblico per il Castello del Buonconsiglio: silloge che verrà per la prima volta integrata dai bozzetti preparatori emersi di recente nel collezionismo privato.
La mostra costituisce l’occasione per allargare lo sguardo e annodare fra loro con un filo rosso le opere sul territorio dello stesso Fontebasso, ma anche di Giambattista Pittoni e Gaspare Diziani. Su tutti prende rilievo la presenza di Antonio e Francesco Guardi, indiscussi protagonisti della stagione pittorica tardo-settecentesca veneziana, ma con le proprie radici familiari in Val di Sole, dove torneranno più volte.
D’altro canto, il versante veronese permette di mettere a fuoco perlomeno due episodi particolarmente interessanti di collezionismo privato: il primo legato alla figura eccentrica di Simone Brentana – che negli anni Trenta del Settecento esegue un ciclo di cinque tele fino a tempi recenti rimaste nella raccolta trentina dei De’ Negri di Sampietro – il secondo che vede come protagonista Giambettino Cignaroli, autore di una Susanna e i vecchioni commissionata dalla famiglia Bortolazzi.
SEZIONI
1. ANTEFATTI
Quale premessa all’articolazione della rassegna espositiva, la prima sezione convoca in mostra alcuni dipinti di altissima qualità, che documentano la stagione della pittura del Seicento barocco in Trentino nelle sue diverse declinazioni: le tele sono frutto del pennello di artisti veneziani o, seppur nati fuori dai confini della Serenissima, di pittori considerati di fatto assimilati e protagonisti della stagione pittorica veneziana. Questa sezione costituisce anche una sorta di ‘anticipazione’ di temi che affioreranno lungo tutto il percorso espositivo, caratterizzati dall’invio nella terra d’origine di opere d’arte da parte di singoli mercanti o di intere comunità trentine residenti a Venezia. Nell’arco di circa cinquant’anni – grosso modo tra il 1640 e il 1690 – i territori soggetti al principato vescovile vedranno arricchire le proprie chiese con una molteplicità di ‘parlate’ pittoriche: le esplosioni cromatiche di Bernardo Strozzi (Tiarno di Sopra) e Sebastiano Mazzoni (Daone); la lezione chiaroscurale e ‘tenebrosa’ di Johann Carl Loth, ricercato tanto in provincia (Storo) quanto da prestigiose committenze vescovili (la decorazione della cappella del Crocifisso nella Cattedrale, per la quale saranno convocati i due modelli preparatori oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze).
2. GLI ANNI TRENTA. DORIGNY AL DUOMO E FONTEBASSO NELLA CHIESA DELL’ANNUNZIATA
Un momento “forte” dei rapporti tra il Principato Vescovile e la Serenissima è rappresentato nel quarto decennio da due importanti cantieri. Il primo riguarda gli affreschi del duomo, grandiosa impresa eseguita dal 1732 al 1735 dell’ormai ottantenne Louis Dorigny (1654-1742). L’opera è andata distrutta, ma alcuni “testimoni” ci permettono di ricostruirla virtualmente: non solo i pochi lacerti sopravvissuti, ma anche i due disegni del pittore francese che si conservano nelle collezioni del Castello del Buonconsiglio, insieme alle fotografie storiche e alla litografia di Basilio Armani del 1845.
Sorte di poco migliore toccò al secondo importante ciclo, quello realizzato nel 1736 da Francesco Fontebasso (1707-1769) su soffitto e lunette della chiesa della Santissima Annunziata, che risultò gravemente danneggiato nel secondo conflitto mondiale. Ma la felicità cromatica e la freschezza esecutiva di quegli affreschi, oggi compromesse, saranno pienamente restituite dal modelletto per una delle scene parietali, quella con l’Adorazione dei pastori, ora conservato al National Museum of Art di Tokyo e che tornerà per la prima volta in Europa. Ogni sforzo sarà inoltre compiuto per recuperare il modelletto gemello, raffigurante la Presentazione al tempio, che Nicolò Rasmo aveva pubblicato nel 1976, dicendolo in collezione privata americana.
Egualmente agli anni Trenta spettano la maggior parte delle tele di Fontebasso, di soggetto sacro, conservate oggi nel Museo Diocesano di Trento e che potrebbero rappresentare una prima commissione legata agli incarichi vescovili.
3. UN CICLO DI TELE PER COLLEZIONISTI COLTI
Un ciclo di cinque tele di uguali misure, riapparso nel 2005 sul mercato antiquario apre una finestra sul collezionismo privato, considerando la loro provenienza dalla raccolta De’ Negri di Sampietro – una famiglia trentina della piccola nobiltà notarile – dove si era conservato fino a qualche anno prima, probabilmente insieme ad altri dipinti veneti: si tratta di opere di Simone Brentana (1656-1742), ben noto pittore che, veneziano di origine e formazione, dalla fine del Seicento era diventato uno dei protagonisti indiscussi della scena artistica veronese insieme ad Antonio Balestra e a Louis Dorigny. I dipinti convocati in mostra, particolarmente suggestivi per i colori brillanti stesi a larghe campiture piatte, si impongono anche per la singolarità dei soggetti, finora identificati in Apelle e Alessandro, Esaù e Giacobbe, Giuseppe spiega i sogni al faraone, Dionigi di Siracusa con le figlie, Storia di Belisario, ma sui quali è indispensabile ancora riflettere, alla ricerca di un eventuale programma iconografico unitario e coerente. E se l’autore qui non fa che confermare il suo carattere istrionico e anticonvenzionale, il cospicuo numero complessivo delle tele non può non fornire qualche indizio sui gusti del committente, che merita di essere identificato nello specifico e di essere messo compiutamente a fuoco. Alcune semplificazioni e geometrizzazioni nella forma autorizza a collocare l’intero ciclo non prima degli anni Trenta, in un momento, cioè, particolarmente vivace della cultura figurativa trentina.
4. PITTURA DEVOZIONALE PER LA CAPITALE E IL TERRITORIO
A Venezia si guardò anche per la decorazione di alcuni importanti altari nelle chiese del territorio. Talvolta, furono commissioni prestigiose, come quella legata alla corona spagnola e agli Asburgo, che favorì la chiamata, proprio al principio del secolo, di Paolo Pagani (1655-1716) per la chiesa dei Cappuccini a Chiusa d’Isarco, un artista lombardo di nascita ma veneziano di formazione, decisivo per l’evoluzione della pittura del Settecento. Talaltra, i legami tra i nobili infeudati nel territorio, come dimostra la forte concentrazioni di opere venete nella Valsugana dei Giovanelli. Tra questi, il San Matteo e l’angelo della parrocchiale di Borgo Valsugana, è un autentico capolavoro, quasi un ‘manifesto’, di uno dei maestri indiscussi del gusto rococò in laguna, Giambattista Pittoni (1687-1767). La pala, ancora oggi sull’altare dei Giovanelli, costituirà l’occasione per riflettere sull’importante ruolo mecenatistico che la famiglia di lontana origine bergamasca ebbe in Valsugana, favorendo peraltro la presenza di un altro artista veneto, strettamente legato all’arte del suo maestro Sebastiano Ricci, Gaspare Diziani (1689-1767) autore di una spettacolare pala d’altare per Novaledo.
5. L’ATTIVITÀ DI ANTONIO (1699-1760) E FRANCESCO (1712-1793) GUARDI
Il rapporto privilegiato della famiglia Guardi con la terra d’origine – la famiglia proveniva infatti da Mastellina, in Val di Sole – è documentato da un nucleo importante di dipinti che in mostra si intende rappresentare prima di tutto attraverso la pala proveniente dalla parrocchiale di Vigo di Ton: un esplicito omaggio del suo autore alla tela di Francesco Solimena già in palazzo Widmann a Venezia (ora a Dresda, Gemäldegalerie), da cui trae diretta ispirazione. Uno dei principali punti di interesse della rassegna si ritiene possa essere la Sacra Famiglia che Antonio Guardi ha dipinto nella prima metà del quinto decennio per la chiesa dell’Immacolata a Strigno ed ‘emigrata’ al Museum of Art di Toledo, ispirata alla Sacra Famiglia di Andrea Pozzo originariamente nella chiesa delle Laste a Trento: non esposta neppure nella mostra monografica trentina del 2012, essa ritorna per la prima volta in Italia
6. 1759: FRANCESCO FONTEBASSO PER IL CASTELLO DEL BUONCONSIGLIO
Al principe vescovo Francesco Felice Alberti d’Enno è legato lo spettacolare ciclo di diciannove tele di soggetto vetero-testamentario che Francesco Fontebasso eseguì nel 1759, destinate, come documentato dalle fonti, alla Sala Grande e alla Sala superiore del torrione. Obiettivo della mostra non è soltanto quello di riunire le tele superstiti del ciclo – attualmente divise tra Castello del Buonconsiglio, Villa Margone a Trento e, forse, Castello Sforzesco di Milano – ma anche i relativi modelletti preparatori: tre oggi nelle stesse Raccolte Provinciali, uno in collezione privata veneziana e altri quattro sul mercato antiquario genovese. Il confronto tra bozzetti e opere finite consentirà sia di integrare visivamente i soggetti, così da facilitare un’analisi del programma iconografico, sia di valutare le differenze tra fase progettuale e momento esecutivo.
7. IL PIENO SETTECENTO, TRA ‘CLASSICISMO’ VERONESE E COLORE VENEZIANO
In seno ai rapporti artistici tra la Serenissima e i territori del principe vescovo di Trento assumono un ruolo qualificante – con caratteri ben specifici che connotano una vera e propria scuola – le presenze veronesi. A consolidare un dialogo iniziato ben lontano nel tempo, questa sezione della mostra si apre con due importanti dipinti allegorici inviati nel 1698 da Antonio Balestra (1666-1740) e Alessandro Marchesini (1663-1738) al Magistrato Mercantile di Bolzano, porta di accesso ai mercati del nord. A farla da padrone si rivela però Giambettino Cignaroli (1706-1770), non solo con le pale – sempre di altissima tenuta formale, come il Martirio di sant’Andrea per la parrocchiale di Torbole (1742), che si intende portare in mostra – ma anche con un episodio di committenza privata: quello dei Bortolazzi, conti del Sacro Romano Impero, oggi documentato perlomeno dalla Susanna e i vecchioni (1756), tela confluita nelle raccolte del Castello del Buonconsiglio. Il prestito di due superbi capolavori di Cignaroli dallo Szépmüvészeti Múzeum di Budapest (1762-1764), permette di testimoniare da un lato l’affacciarsi di tematiche eroiche dalla forte impronta morale (Morte di Catone, Morte di Seneca), dall’altro il raggio d’azione internazionale di un committente del calibro di Carlo Firmian che, trentino di nascita, diventa il ministro plenipotenziario di Maria Teresa per la Lombardia austriaca.
8. FRANCESCO GUARDI: ULTIMO ATTO
Con la Santissima Trinità e i santi Pietro e Paolo per Roncegno si consuma l’ultimo atto della presenza di Francesco Guardi in Trentino, nel 1775. La commissione è ancora una volta particolarmente significativa, promossa dai Giovanelli per l’altare maggiore eretto da Tommaso Temanza. In realtà, un viaggio di Francesco, tre anni dopo, per curare gli affari di famiglia in Val di Sole, lascia traccia in una serie suggestiva di grandi disegni, attualmente in collezioni pubbliche e private (Ginevra, collezione Jean Bonna; New York, The Morgan Library and Museum). I fogli esposti in questa sezione sono importanti perché da un lato certificano l’interesse dell’artista nell’appuntarsi nella memoria i tratti dei paesaggi della propria storia familiare; ma nel contempo la sua irresistibile vocazione a trasfigurare il dato topografico secondo le regole interne della fantasia e dell’autonomia artistica. Risultato: autentiche poesie, intrise di profondo lirismo, per le quali basta un segno fratto di penna o una velatura trasparente di acquerello per evocare forme e atmosfere di Levico, Borgo Valsugana, Castel Telvana. Il viaggio attraverso la valle che conduce alla Serenissima, si conclude poi con uno straordinario dipinto rappresentante L’albero genealogico della famiglia Giovanelli, sullo sfondo di una veduta di Venezia.
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