F4. Un’idea di fotografia
Edward Burtynsky, Residui di nichel n. 30, Sudbury, Ontario, 1996
Dal 10 Giugno 2012 al 16 Settembre 2012
Treviso
Luogo: Villa Brandolini/ Antico Lanificio Andretta
Indirizzo: piazza Libertà 7
Orari: giovedì, venerdì e sabato 16-20; domenica e festivi 10-12/ 16-20.
Curatori: Carlo Sala
Enti promotori:
- Fondazione Francesco Fabbri
- Comune di Pieve di Soligo e Follina
Costo del biglietto: intero € 6; ridotto € 4
Telefono per informazioni: +39 334 9677948
E-Mail info: eventi@fondazionefrancescofabbri.it
Sito ufficiale: http://www.fondazionefrancescofabbri.it
Dal 10 giugno al 16 settembre andranno di scena sei mostre che spazieranno dalla fotografia di fine Ottocento fino alle ricerche legate alla contemporaneità; inoltre ci saranno vari collaterali con incontri, presentazioni di libri e workshop fotografici.
Il progetto, F4_ un’idea di fotografia, è curato da Carlo Sala e si avvale della collaborazione del Comune di Pieve di Soligo e di Follina; patrocinato da Provincia di Treviso e Regione del Veneto che lo hanno inserito nel circuito di manifestazioni regionali RetEventi Cultura Veneto.
Il tema dominante di questa edizione sono i paesaggi identitari e culturali, declinato secondo l’opera di maestri della modernità, protagonisti dell’arte contemporanea e autori emergenti. Il primo evento espositivo del festival è “Assenza di soggetto”, mostra che mette in relazione il grande fotografo moderno August Sander con il contemporaneo Michael Somoroff.
In mostra la celebre serie Ritratti del Ventesimo secolo con cui Sander ha saputo figurare i tratti caratteristici di un’epoca attraverso le sembianze degli abitanti della repubblica di Weimar. Di umili origini, l’autore impara l’arte della fotografica assistendo un professionista mentre realizzava degli scatti nella miniera dove è impiegato come operaio. Dopo varie attività professionali, negli anni Venti aderisce al "Gruppo degli Artisti Progressivi" di Colonia, cominciando a pianificare un lavoro che voleva essere un vero e proprio catalogo della società attraverso una serie di ritratti.
Il suo primo libro Face of our Time, pubblicato nel 1929, contiene una selezione di sessanta scatti tratti dalla serie Ritratti del Ventesimo secolo. Durante il regime nazista, Sander subisce varie limitazioni e oppressioni che culminano in atti di violenza verso il figlio Enrich. Quest’ultimo, membro del Socialist Workers' Party, subirà una condanna a dieci anni di reclusione morendo poco prima della scarcerazione.
Nel 1936, le copie di Face of our Time sono sequestrate e le lastre distrutte: analizzando l’opera non è difficile comprendere l’ostilità dell’autorità politica di allora. Il mito della razza ariana veniva profondamente messo in crisi da questo “catalogo” di umanità, suddiviso in sette sezioni: i Contadini, i Commercianti, le Donne, Classi e Professioni, gli Artisti, le Città e gli Ultimi (homeless, veterani, ecc.). Una visione plurale della società degli anni della Repubblica di Weimar, che tanto cozzava con gli ideali del partito di governo.
Michael Somoroff ha voluto interpretare a livello fotografico e video l’opera di Sander. L’autore americano ha lavorato in post-produzione sui lavori storici, cancellando digitalmente le figure narrate. E’ un lavoro concettuale, ma anche umanista, che vuole giungere all’essenza dei luoghi ed all’intrinseco rapporto tra la presenza antropica ed il paesaggio.
Un’azione all’apparenza arbitraria, ma che denota come Somoroff abbia intimamente compreso la lezione del tedesco, che non si voleva limitare ad un semplice ritrattismo, comune a parte della fotografia dell’epoca. Pur facendo emergere l’horror vacui di strade silenziose o il silenzio degli interni vuoti delle case, la figurazione dei tratti tipici di quella determinata società rimangono inalterati, rendendone un’immagine che tanto sa parlare di identità. La mostra è curata da Julian Sander e Diana Edkins
La seconda rassegna “L’uomo e la terra. Luci e ombre” è dedicata al fotografo contemporaneo Edward Burtynsky e curata da curata da Enrica Viganò con Carlo Sala. L’autore canadese, fin dall’inizio della sua carriera trentennale si è sempre confrontato con la natura in trasformazione e in particolare con l’effetto del progresso sul paesaggio.
Pochi autori della contemporaneità, come lui, hanno saputo cogliere un nuovo senso del sublime nei panorami manipolati dall’industrializzazione e dallo sfruttamento delle risorse naturali, portando lo spettatore a interrogarsi sugli effetti del consumismo esasperato. Le sue immagini raccontano dello sfruttamento delle risorse del pianeta, restituendo un paesaggio trasformato e ferito.
Fotografie che sono una metafora dell’eterna contraddizione dell’uomo, che da sempre prende dalla natura ciò che gli serve per “migliorare” la qualità della vita, ma inevitabilmente ne causa il deterioramento. Le opere di Burtynsky si fondano su un sottile equilibrio, figurando questi eventi tramite immagini dal fortissimo impatto estetico. L’uso di un’iniziale “bellezza” dell’immagine crea un’empatia tra opera e fruitore, che spinge inconsciamente verso una dimensione riflessiva. Un gioco che sfiora la contraddizione: dietro una magnificenza compositiva, si celano paesaggi che contengono il dramma di un’insostenibilità giunta al limite.
Le circa trenta opere di grandi dimensioni esposte nella mostra, manifestano questo incontro-scontro mediante la presentazione di luoghi dal valore emblematico come le miniere di nichel, lo sbancamento delle cave, i cimiteri di relitti navali o le imponenti costruzioni delle nuove città asiatiche. Luoghi lontani tra loro come gli Stati Uniti, la Cina, il Canada o il Bangladesh divengono teatro delle medesime problematiche universali.
Ultimo membro di una storica famiglia di artisti, Emma Ciardi si inserisce nell’alveo della trazione veneta del vedutismo portata avanti anche dal padre Guglielmo, esponente della “scuola veneziana dal vero”. Nella sua ricerca è evidente il tentativo di sintesi tra due “mondi” distinti, il realismo dell’Ottocento e l’avanzarsi della modernità. Nella mostra “Emma Ciardi. L’opera fotografica tra Venezia e Refrontolo”, curata da Carlo Sala, per la prima volta viene svelata la sua attività di fotografa grazie alle immagini proveniente dal Fondo Pasinetti del CISVe di Venezia.
Per la Ciardi l’uso del mezzo fotografico possiede vari significati e prima di tutto è sintomo di tradizione: tutto il vedutismo lagunare si approccia alla fotografia (o protofotografia) come inevitabile strumento per catturare la realtà. Ma per l’artista il vero è l’imprescindibile base di partenza di ogni quadro, anche quando viene stratificato e implementato da elementi narrativi, come nei suoi famosi personaggi settecenteschi. La sua struttura pittorica viene creata attraverso una forte sapienza cromatica che rende grande finezza nella trattazione delle qualità atmosferiche. Un gioco di luci ed una vividezza dei toni che non è solo funzionale all’impressione del momento, ma è strumento per la creazione di una visione che inizia a possedere dei caratteri introspettivi. In un tale contesto, la fotografia di Emma Ciardi non può essere vista come una semplice attività strumentale alla ricerca pittorica. Accanto ad alcuni scatti prettamente documentativi, vi sono immagini in cui l’autrice tenta di utilizzare le funzionalità di questo mezzo avvicinandoli alla sua poetica di pittrice.
Il percorso composto da trenta lavori, si esplica attraverso tre tematiche portanti. Innanzi tutto le visioni della città di Venezia, in cui appaiono colti canali, navi e bacini indugiando sul fascino dei riflessi nell’acqua del mare. Molto affascinanti gli scatti dei giardini - soggetto tipico dei quadri di Emma – popolati da statue antiche che rimandano a un gusto per la classicità. Infine gli scatti realizzati a Refrontolo, paese della campagna trevigiana dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. Immagini in cui appare una visione più rigorosa della realtà e sembra celarsi un diverso approccio al paesaggio, ora rurale e spartano, senza i decori e gli elementi decorativi del passato.
L’intervento di Cristina Treppo, intitolato Lo stato incerto delle cose, chiude le esposizioni a Villa Brandolini. L’artista lavorerà con delle opere ibride, realizzando delle installazioni site specific che contemplino in esse l’immagine fotografica. Le sembianze di oggetti quotidiani perdono nel suo lavoro la loro valenza funzionale, divenendo simulacri evidenti per la costruzione in senso evocativo di una memoria collettiva.
Il percorso espositivo della seconda edizione di F4 prosegue nei suggestivi spazi espositivi del Lanificio Andretta a Follina, attraverso l’opera di due autori contemporanei italiani della scena emergente: Michele Cera e Massimo Sordi. Il primo, con la serie di scatti “Dust” documenta il peculiare volto dell’Albania odierna. Interrogandosi sulle architetture “senza qualità”, l’autore ci narra di un paese in cui la vita quotidiana si accompagna ad un profondo senso di abbandono. Immagini scarne e minimali raccontano di luoghi marginali popolati da edifici fatiscenti o incompiuti. Sono raffigurati paesaggi fragili e perennemente in bilico come le esistenze delle genti che popolano quelle terre.
Massimo Sordi, autore profondamente legato all’India, rivela con le sue fotografie la complessità di questa nazione. Un paese che non vuole abbandonare le proprie tradizioni e al tempo stesso che sta gestendo delle profonde mutazioni sociali legate al progresso e alla globalizzazione. La mostra si compone di scatti in bianco e nero che sono un lungo viaggio dalle grandi megalopoli in continua crescita ai remoti villaggi delle regioni rurali.
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